Il secondo fronte della battaglia per gli F-35 si apre adesso. Perché solo ora comincia la sfida per capire chi gestirà il ricco affare della manutenzione dei super-caccia. L'organismo a guida statunitense che dirige il programma militare più costoso di tutti i tempi infatti ha deciso: ci saranno tre poli continentali per gestire la revisione e il mantenimento degli aerei nei decenni futuri.
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Uno per il Nord America, uno per l'Europa e uno per il Pacifico. Il business è ghiotto: adesso vale circa 100 milioni di euro l'anno, ma nel 2022 salirà a oltre un miliardo e mezzo l'anno. E si tratta di una questione fondamentale che influirà anche sulle scelte del governo di Matteo Renzi. Continuare a investire nell'operazione, contro la quale c'è una crescente opposizione parlamentare e popolare, cercando di ottenere che la base piemontese di Cameri diventi la centrale europea per i lavori sull'F-35? Oppure proseguire con l'attuale blocco degli ordini, ritenuto una premessa al taglio del numero di F-35 acquistati dal nostro Paese?
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Il verdetto dovrà arrivare entro dicembre. Finora il governo ha preso tempo: il numero di supercaccia verrà stabilito sulla base del Libro Bianco che determinerà le linee future della nostra Difesa. Un documento che il ministro Roberta Pinotti intende fare approvare dal Parlamento entro la fine dell'anno. Ma il generale americano Chistopher Bogdan, che dirige il programma F-35, ha annunciato che la decisione sul centro europeo per la manutenzione sarà presa entro dicembre. Ed inevitabilmente risentirà degli orientamenti di Roma. Perché – è stato detto a chiare lettere – sarà il Pentagono a dire l'ultima parola sul business delle revisioni.
Come ha notato la stampa specializzata statunitense, la decisione di aprire la gara per i poli di manutenzione continentali pare accogliere le pressioni del nostro governo, manifestate dal ministro Pinotti nella recente visita a Washington. La titolare della Difesa infatti ha chiesto che all'Italia venisse garantito un ritorno industriale più forte nella partita del supercaccia. Il che significa più appalti e più posti di lavoro per lo stabilimento di Cameri.
Quello piemontese è l'unico impianto europeo dove vengono assemblati gli F-35 ed è in pole position per questa commessa. «Il governo italiano ha investito circa 800 milioni di euro per costruire lo stabilimento. Non sarebbe saggio per noi non tentare e non fare leva su questo investimento», ha dichiarato il generale Bogdan al sito Defensenews «Non è una forma di compensazione, ma gli italiani hanno investito una somma molta significativa e ora offrono un'opportunità per l'intero programma per risparmiare risorse sfruttando quell'investimento».
Nonostante i voli siano stati sospesi dopo gli ultimi problemi al motore, gli Stati Uniti non intendono rinunciare al progetto. I frequenti stop vengono considerati solo normali incidenti di percorso nella messa a punto di un velivolo che reputano strategico per conquistare la superiorità tecnologica. E mentre i paesi europei devono fare i conti con bilanci ristretti, la corsa agli armamenti in Asia sembra aprire altri mercati. Tutti i compratori però sono preoccupati dal lievitare dei prezzi, soprattutto per gli inevitabili aggiornamenti dei mezzi. Per questo il vertice del programma adesso vuole stabilire i criteri per la manutenzione, centralizzando i lavori in modo da ottimizzare i costi.
Non sarà un accordo facile. La Gran Bretagna – ad esempio – fa costruire i suoi F-35 direttamente negli Usa e si è candidata a ospitare la manutenzione degli esemplari europei. Ma l'Italia possiede già l'impianto e un accordo con l'Olanda, mentre Israele sembra favorevole a una cooperazione con la nostra industria. Più freddi i norvegesi e dichiaratamente contrari i turchi. «Portare gli operatori in Europa e nel Pacifico a dipendere completamente da questi centri logistici sarà una sfida. Ci sono interessi politici e nazionali che spingono a dire: “Noi abbiamo bisogno di controllare questa capacità e non vogliamo affidarla all'estero. Io credo che l'approccio migliore sia di creare questi poli unici che si occupino di tutti gli aerei. Se potranno trovare qualche modo per dividere i profitti di questa attività, ritengo che riusciremo a rendere funzionale questa soluzione».
Per l'epopea italiana sugli F-35 si tratta di un bivio. Se tagliamo ancora i caccia o annulliamo del tutto il programma, l'impianto di Cameri rischia di diventare una cattedrale nel deserto. La fabbrica è stata voluta dal governo Berlusconi, gettando il cuore oltre l'ostacolo: abbiamo costruito uno stabilimento senza certezze sui futuri carichi di lavoro. Una scommessa al buio, che sa di azzardo. Anche la scelta per il polo di manutenzione europeo seguirà criteri di competitività: bisogna garantire il miglior prezzo e la migliore qualità.
La struttura piemontese – stando ai dati ufficiali appena presentati – è costato 795,6 milioni di euro: una cifra enorme per una fabbrica, seppur ad altissima tecnologia. Insolita anche la procedura degli appalti: si è costruito su suoli pubblici, all'interno di un aeroporto militare, affidando il compito di general contractor all'Alenia Aermacchi, ossia una ditta aeronautica e non di impiantistica. Le commesse più importanti sono andate alla Maltauro, la stessa azienda al centro delle inchieste per tangenti sull'Expo e sul Mose.
Quanto ci sta costando il supercaccia? Le previsioni ufficiali sono contenute nel documento programmatico della Difesa appena presentato: sfiorano già i 13 miliardi di euro. Oltre agli 800 milioni per Cameri, finora l'Italia ne ha versati circa 900 come contributo quale partner alla progettazione dell'aereo. Altri 700 milioni andranno pagati da qui al 2047 per lo sviluppo del programma. Ulteriori 465 milioni di euro sono stati stanziati per adeguare le basi di Aeronautica e Marina ai nuovi velivoli. Mentre si conta di spendere in tutto 10 miliardi per l'acquisto e la manutenzione dei 90 F-35 previsti. Se il governo vorrà proseguire nello shopping, nel 2015 serviranno 644 milioni e l'anno successivo altri 735.
Quest'anno, il congelamento degli ordini ha permesso di risparmiare circa 160 milioni di euro, utilizzati per finanziare gli 80 euro voluti da Renzi nelle buste paga. Lo stop definitivo permetterebbe di garantire più del doppio nel prossimo biennio: fino a 800 milioni in un paio d'anni. In pratica, la stessa somma usata per tirare su la fabbrica piemontese che però così verrebbe condannata alla chiusura.