Il Consiglio d'Europa pubblica un rapporto sulle attività dei paesi Ue per il contrasto ai maltrattamenti. E noi siamo in fondo alle classifiche: pochi posti letto, poca prevenzione, poca formazione. Anche se le leggi ci sono. E gli omicidi per la prima volta sembrano in diminuzione. Mentre continua la polemica sui fondi

Qualcosa sta cambiando. La lotta alla violenza sulle donne - endemica in Italia e in Europa – sta coinvolgendo le istituzioni. E non solo per dichiarazioni spot davanti alle telecamere. Ma per la ricerca di effetti concreti: leggi, corsi di formazione, monitoraggio degli interventi. Ad occuparsi di quest'ultimo punto, nella Ue, è il Concilio d'Europa. Che oggi ha pubblicato una lunga relazione sull'attività, per l'appunto, istituzionale, di più di quaranta paesi. Dal rapporto emerge che anche l'Italia si è mossa per contrastare le botte di genere. Ma non abbastanza. Perché veniamo dopo il Portogallo, la Slovacchia, l'Albania, l'Irlanda e l'Estonia ad esempio per numero di letti a disposizione delle vittime per le emergenze: 560 nel 2013, contro i 9000 della Gran Bretagna, che ha una popolazione di poco superiore alla nostra. O i 2200 dell'Olanda, i 6800 della Germania. Ed è solo uno dei ritardi che abbiamo. Gli altri riguardano la formazione degli operatori (magistrati e poliziotti che intervengono sul posto), il coinvolgimento delle associazioni, la pubblicazione di dati e statistiche ufficiali (attraverso le informazioni delle forze dell'ordine ad esempio) sulla violenza: in Italia esistono ma non sono accessibili.

Assunta Cignano, uccisa dall'ex marito a marzo


Nelle 80 pagine di approfondimento, i ricercatori del Consiglio d'Europa riassumono le esperienze e gli strumenti messi in campo dagli stati per combattere i soprusi. Guardando agli effetti concreti che portano. Come aveva raccontato anche l'Espresso nel novembre scorso, sottolineano come la possibilità di successo sia legata soprattutto alla velocità d'intervento. Solo misure immediate, processi rapidi, risposte concrete di protezione nei confronti delle vittime possono fermare i violenti. Uno degli esempi citati è l'Austria, dove gli agenti – che seguono corsi dedicati – possono imporre subito obblighi di allontanamento, e sono chiamati a controllare che i divieti siano rispettati. Funziona? Secondo i dati riportati da Redattore Sociale, i femminicidi in Italia si sarebbero dimezzati, in questi primi sei mesi dell'anno, rispetto allo scorso. Ma è un risultato ancora non ufficiale e difficile quindi da verificare.

Per superare il divario che ci separa dagli altri paesi Ue, intanto, il governo Renzi ha stanziato 17 milioni di euro. Soldi che dovrebbero servire ad aumentare la disponibilità di posti nei centri d'accoglienza e i punti di contatto con le vittime di abusi. Ma sul “come” sono stati distribuiti questo fondi è scoppiata la polemica. Il piano infatti - approvato poche settimane fa dalla Conferenza delle Regioni – prevede che la maggior parte dei finanziamenti vadano alle Regioni, che apriranno delle gare per scegliere a chi inviare i contributi. Ai centri anti-violenza esistenti, 67 solo quelli riuniti nella rete “Di.re”, non andranno che le briciole: seimila euro ciascuno se va bene. E sì che questi sono i luoghi dove negli ultimi decenni si è affrontato, nel silenzio dei governi, il problema: offrendo supporto legale, psicologico, e dando spazio alle donne che avevano la forza di allontanarsi dagli orchi. Da Bologna a Roma, sono iniziate così le proteste di volontari ed esperti del settore, preoccupati all'idea che i fondi (necessari, vista la mancanza di protezione che le strutture pubbliche possono dare oggi alle vittime) finiscano in rivoli e progetti secondo interessi più politici che ideali.