Una retrospettiva e una mostra dedicata al grande cineasta di Elephant Man dal Lucca Film Festival. Sessanta opere che accompagnano ben 45 anni di lavoro cinematografico. E un'intervista esclusiva targata Studio Universal

Ha una casa quasi vuota, è un guru della meditazione trascendentale, ma se è riuscito a trasformare gli spazi esterni in luoghi zen («per non disturbare lo spirito», dice), quella che invece continua ad essere affollata è la sua testa. David Lynch, il cineasta di “Elephant Man” e “Mulholland Drive” è un infaticabile collezionista di visioni oniriche. A volte discendono direttamente da un surrealista come Magritte, altre sono un meraviglioso bricolage di ossessioni fai-da-te. Al regista, classe 1946, il Lucca Film Festival (dal 28 settembre) dedica una retrospettiva. E prima ancora, dal giorno 20, la mostra “David Lynch. Lost Images” (a cura di Alessandro Romanini).
[[ge:rep-locali:espresso:285131384]]
Sessanta opere che hanno accompagnato 45 anni di lavoro cinematografico e che prendono due direzioni: “Small Stories”, una sorta di diario in soggettiva, e “Women and Machines”, 16 fotografie scattate nell’atelier Item di Parigi, che stampava le litografie di Picasso, Matisse e Chagall.
[[ge:rep-locali:espresso:285503660]]
Evocative, anche degli incubi dell’infanzia, «sono storie senza parole, ognuna si svolge nella testa dello spettatore», spiega il filmmaker pittore. Il quale viene celebrato anche al Mast di Bologna (dal 17 settembre, a cura di Petra Giloy-Hirtz) come fotografo industriale, con 124 scatti di impianti e ciminiere realizzati tra Stati Uniti, Berlino e Polonia. In bianco e nero, ispirati da una sensibilità spaziale che arriva a sfiorare il labirintico

LEGGI ANCHE

L'edicola

25 aprile ora e sempre - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso

Il settimanale, da venerdì 18 aprile, è disponibile in edicola e in app