Comparso insieme a Renzi alla festa dell'Unità di Bologna, il leader della sinistra iberica ha diversi punti in comune con il fiorentino: dall'obiettivo di rottamare la vecchia classe dirigente al consenso plebiscitario di cui gode. Anche se non sta simpatico proprio a tutti

Più che un “rottamatore” dell’immagine da perdente che il Partito Socialista Operaio Spagnolo si è guadagnato negli ultimi anni, Pedro Pérez-Sánchez Castejón, il nuovo segretario generale del Psoe (che ha chiuso la Festa dell’Unità a Bologna con Renzi), è un “rottamatore” della bruttezza dei suoi colleghi precedenti che, di certo, non erano degli adoni.

Se, infatti, José Luis Rodriguez Zapatero, il premier socialista travolto dalla crisi economica e dal suo immobilismo, era paragonato, quando gli andava bene, a Mr. Bean e a Nosferatu, il dimissionario segretario Alfredo Pérez Rubalcaba, per la satira assomigliava a una capra e a un grigio burocrate inguardabile. Lui, invece, dall’alto del suo metro e novanta, per il francese Le Monde «è il Cary Grant latino», e «il Matteo Renzi di Spagna», senza però spiegare se la somiglianza all’italiano dipenda dall’età o dalla voglia di sfasciare l’establishment.

Il señor Sánchez ha 42 anni, un volto giovane e fresco che nella società dell’immagine conta parecchio. Ha la stessa età che aveva nel 1982 Felipe González, il leggendario presidente del Consiglio socialista che reinventò la Spagna degli anni Ottanta, un Paese che stava uscendo en braguitas, in mutande, dal trentennio franchista.

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Il “Bel Pedro”, alle primarie del Psoe del 13 luglio, ha sbaragliato tutti, prendendosi prima il 49 per cento dei voti sugli altri candidati e poi l’investitura a segretario coll’86 per cento del consenso. Un risultato sorprendente che ha catapultato questo illustre sconosciuto all’attenzione degli spagnoli che ignoravano la sua esistenza. Forse è una scelta opportunista del marketing politico, che col giovane militante, senza macchia né paura, vuole cambiare pelle, ma Sánchez da subito ha tirato fuori le unghie come un leader navigato e ha ordinato ai suoi di votare contro l’elezione del conservatore lussemburghese Jean Claude Juncker alla Presidenza della Commissione Europea. «Sei un irresponsabile!», gli ha strillato El País, foglio di tradizione socialista. E lui, senza muovere ciglio: «Che provino loro a spiegare ai militanti di base un nostro sì a Juncker».

E come dargli torto: Juncker è stato l'uomo dell'austerità a capo dell'Eurogruppo, un fedele esecutore degli ordini di Berlino e Francoforte, odiatissimo dalla sinistra spagnola, quando ha imposto a Madrid la sanguinosa cura al suo bilancio che ha prodotto le proteste degli Indignados. In un’intervista il “Bel Pedro” ha detto di Juncker: «Non bisogna puntare su di lui se in Europa vogliamo una politica più solidale e attenta agli ultimi».

Il nuovo volto del Psoe l’economia ce la ha nel sangue. Laureato in economia a Madrid, con master a Bruxelles, è professore di “Struttura Economica e Storia del Pensiero Economico” all'Università Camilo José Cela. Ha una visione ben chiara di come deve essere la Ue. Come Renzi vuole innescare la marcia del cambiamento sostanziale, senza prendere ordini dalla Ue: rifiuta le sue politiche economiche e condanna il servilismo a Bruxelles del Partito popolare. E, soprattutto, dice cose di sinistra, come: «Non spetta soltanto alla classe media e alla classe dei lavoratori sopportare la crisi» e «Chi ha di più deve dare di più, altrimenti chi ha meno sarà costretto a dare tutto». E a chi gli chiede che farà da premier, risponde: «La Spagna ha bisogno di una nuova “transizione”, ma questa volta economica per recuperare lo Stato Sociale».

E Sánchez, nel suo piccolo di ex illustre sconosciuto, ha già fatto un miracolo: piace a quei riottosi di Podemos (“Possiamo”, il terzo partito nato dalla protesta del movimento degli Indignados, terzo alle ultime europee). Ora deve far riavvicinare gli Indignados e i Desencantados all’elettorato del Psoe. Le sue carte sono la lotta alla   corruzione e all’evasione fiscale, «Perché non sono spagnoli - ha tuonato non appena eletto segretario - coloro che quando devono scegliere tra patria e patrimonio, scelgono il paradiso fiscale». È lui il “riformatore”: vuole cambiare il fisco, equiparare le rendite da capitale a quelle del lavoro. Vuole abrogare le vecchie leggi socialiste su lavoro e aborto. E, soprattutto, vuole una riforma costituzionale per trasformare la Spagna in un Paese federale, in grado di garantire l’unità tra le diverse identità spagnole. Senza dimenticare “la patata bollente” della disoccupazione al 26 per cento e con picchi del 65 per cento tra i ventenni.

Sánchez gode di un sostegno così solido del suo partito che non ha bisogno di nuove primarie per decidere il candidato socialista alla Presidenza del Governo. Un fatto che potrebbe dare molto fastidio a qualcuno, soprattutto perché rappresenta la generazione dei quarantenni quando dice che lui «Non c’entra nulla con gli errori del passato dei leader socialisti che mi hanno preceduto».

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