Un cocktail drammatico di radicalismo musulmano, errori occidentali, falsi profeti e nuovi media esercita un'attrazione irresistibile sugli estremisti e ne accresce le fila. Parla Paul Salem, vice presidente del Middle East Institute. Che propone la sua ricetta

Il cocktail del fanatismo 2.0, quello dello Stato Islamico in Siria e in Iraq, è semplice da preparare. Prendete un kalashnikov, un cellulare collegato a internet, un versetto del Corano che dice di tagliare la testa agli infedeli, mettete tutto vicino a una bandiera nera e la chiamata al jihad, la guerra santa, produrrà i suoi effetti: violenza, sopraffazione, razzismo e morte. Paul Salem, vice presidente del Middle East Institute, un think tank di Washington, profondo conoscitore e studioso di quell’area tormentata del mondo, collaboratore de “L’Espresso” da molti anni, riconosce che lo Stato Islamico e il suo fanatismo ha genitori noti: «Il padre è la guerra civile in Siria e Iraq, innescata da due governi che rifiutano di includere nella gestione del potere i sunniti ed usano la violenza contro chi reclama il diritto alla partecipazione; la madre è il radicalismo musulmano che è sempre esistito, e regolarmente arriva sulla scena ogni volta che la politica è incapace di gestire i fermenti di una società».

In che cosa si differenzia dagli altri il fanatismo dello Stato Islamico, per esempio da quello di al-Qaeda che ha imperversato a partire dalla fine del Ventesimo Secolo ed è tuttora presente sulla scena?
«Si muove nello stesso solco tracciato da Al Qaeda ed è una delle molte varianti che si sono manifestate ogni volta che l’Islam ha imboccato la deriva dell’estremismo e del fanatismo. Al Qaeda per molto tempo si è presentata come un network replicabile in molti luoghi e come una entità che combatteva governi e istituzioni. Ayman al Zawahiri, il successore di Osama bin Laden, non si è mai discostato da questa linea. Abu Bakr al-Baghdadi, invece, prima ha detto “Voglio il califfato” e poi lo messo in pratica conquistando pezzi di terra in Siria e in Iraq, facendosi Stato. Però lo Is non è una novità perché l’estremismo fanatico islamico si è presentato spesso sulla scena».

Paul Salem
Quando questo fenomeno è apparso nei termini che descrive?

«L’11 settembre e l’attacco alle Torri Gemelle è un esempio. Ma andando non troppo indietro c’è l’attacco dei fanatici musulmani alla Mecca nel 1979 o ancora prima le azioni radicali dei Fratelli Musulmani alla fine degli anni Sessanta. Ed anche più recentemente, anche se in misura molto contenuta, abbiamo assistito a manifestazioni di radicalismo e fanatismo in Tunisia e in Egitto dopo la primavera araba, quando gli oltranzisti islamici hanno provato a scalare il potere; in qualche caso si sono imposti anche nelle elezioni ma poi o le hanno perse, come in Tunisia, o hanno messo in moto la reazione dei militari come in Egitto. La novità che arriva con lo Stato Islamico è che radicalismo e fanatismo hanno trovato uno spazio, sia pur piccolo, nel cuore degli arabi a causa delle guerre civili di Siria e Iraq, degli errori degli Stati Uniti e del silenzio complice di Russia e Cina».

Quanto grande è questo spazio di simpatia?
«Se dobbiamo giudicare da alcuni sondaggi fatti recentemente nei paesi del Medio Oriente l’adesione oscilla tra l’uno e il due per cento degli intervistati. Però c’è un’area più grande di persone che, pur non condividendo questo radicalismo fanatico, restano in silenzio e fanno questo ragionamento: è vero che i loro metodi non mi piacciono ma i miliziani dell’Is combattono il despota siriano Bashar al Assad che ha compresso il desiderio di libertà con la tortura, l’omicidio, le armi chimiche e la violenza generalizzata e il governo di Baghdad che si rifiuta di comprendere nella gestione del potere tutte le componenti del Paese e manda contro chi protesta polizia, esercito e squadre della morte».

Il fanatismo dello Stato Islamico ha dunque alla sua origine anche il secolare conflitto per il potere che divide l’Islam con gli sciiti da una parte e i sunniti dall’altra in perenne lotta per il potere non solo religioso, ma economico, politico e militare?
«Non c’è alcun dubbio che le cose stiano in questo modo. Il fenomeno è reso più grave dall’interferenza settaria di stati come l’Iran che ha inviato le sue milizie in Siria come in Iraq a difendere gli sciiti o gli Hezbollah libanesi che si sono schierati al fianco dell’alauita al Assad. Si capisce bene perché poi nel mondo sunnita siriano e iracheno il fanatismo dell’Is trovi silenziose complicità attraverso il motto “il nemico del mio nemico può essere un mio amico”».

Questa complicità interessata vale anche per le autorità religiose dell’Islam?
«No, loro hanno parlato forte e chiaro dicendo che quella lettura dell’Islam è sbagliata e tutti gli atti che ne conseguono sono da condannare. Purtroppo i media occidentali non hanno diffuso e valorizzato abbastanza la scomunica dei capi religiosi dell’Islam».

Il fanatismo dell’Is si manifesta anche attraverso una lettura letterale del Corano. Vedi per esempio il versetto 5:33 che invita alla punizione e alla crocifissione di chi combatte Allah o l’8:12 che invita a portare il terrore nel cuore di chi non crede e a punire con la decapitazione. Come spiega questo ritorno all’origine della interpretazione del libro sacro di una religione?
«Intanto, è bene ricordare che non solo il Corano ma anche la Bibbia contiene inviti che presi alla lettera portano a comportamenti ad alto contenuto di fanatismo e di violenza. Ma sono stati cancellati secoli di letture dei libri sacri - tutti - durante i quali i capi religiosi, gli intellettuali, gli studiosi di religione avevano interpretato i libri sacri. Ma può accadere, ed è il caso di questo fanatismo, che una persona che sa leggere prende il Corano o la Bibbia, la legge e la presenta così com’è, cancellando secoli di questa interpretazione, e grida al mondo che questa è la verità, e lui la rappresenta. Poi, se ha un telefonino, possiede di fatto un veicolo di propaganda televisiva e mediatica potentissimo e porta il suo messaggio su YouTube o sul web e mostra a tutti come lui sia il fedele interprete del Corano nei fatti e con l’azione. In questo caso la modernità e la tecnologia diventano strumenti del fanatismo, come lo sono stati - soltanto pochi anni fa - per diffondere gli ideali della Primavera Araba, che era l’esatto contrario del fanatismo dello Stato Islamico».

Come spiega la corsa a divenire combattenti dello Stato Islamico di centinaia di giovani musulmani che sono nati, cresciuti e hanno studiato in Paesi dove le istituzioni hanno un buon grado di funzionamento, dalla Francia al Regno Unito, dall’Italia agli Stati Uniti?
«Gli avvenimenti siriani, il massacro che Bashar al Assad ha fatto e sta facendo del suo popolo ha funzionato come un magnete irresistibile. Questo flusso è cominciato per quattro ragioni. La prima: la violenza della guerra civile in Siria ha funzionato da detonatore per la scelta di partire e io conosco molte persone che hanno deciso di andare in Siria a combattere e sono finiti tra le schiere dell’Is, perché hanno visto donne e bambini massacrati. La seconda: c’è stata una attrazione puritana e radicale dei giovani alla ricerca di una identità e ha funzionato il messaggio che facendo questa scelta si agisce in nome di un dio. La terza: i giovani possono vivere la frustrazione di non avere potere ma se arriva qualcuno che dice “eccoti un kalashnikov” e da quel momento hai potere su centinaia di persone, può scattare la decisione di aderire perché ti senti un eroe. La quarta: la violenza e il fanatismo dell’Is sono come la pornografia, possono esercitare una attrazione irresistibile. E così è stato».

Quali sono le sue previsioni? Il fanatismo dello Stato Islamico si allargherà o invece comincerà un fenomeno opposto, di rifiuto di questa visione della politica e della religione?
«Se le istituzioni politiche riprendono a funzionare, il declino dello Stato Islamico comincerà molto presto».