Le regole europee per gli istituti di credito si fanno sempre più stringenti e non fanno stare tranquillo il governatore Ignazio Visco. Ma a farne le spese sarà soprattutto chi ha bisogno di prestiti. E azionisti e depositanti non hanno di che stare allegri

Le sofferenze bancarie faranno soffrire i clienti

banche, banca, risparmi
L'incubo delle sofferenze bancarie continua a visitare quotidianamente qualsiasi discorso sulla ripresa economica. Soprattutto in Italia, dove una presenza di piccole e medie imprese, più esposte alla crisi e al rischio di non poter restituire i prestiti ricevuti, ha peggiorato lo scenario.

A cominciare dal 2015 il ritmo della crescita delle sofferenze si è leggermente ridotto, ma non si è affatto fermato. Come dichiara l'Abi, l'associazione bancaria, a luglio di quest'anno le sofferenze lorde erano pari a 197 miliardi contro i 172 raggiunti dodici mesi prima. E il rapporto sofferenze lorde-impieghi aveva raggiunto il 10,3 per cento medio, ma con una punta del 17,1 per i piccoli operatori economici.

Peggio che andar di notte se si guardano le cifre delle sofferenze nette, cioè di quella quota di crediti incagliati che ha già subìto una rettifica di valore nei bilanci bancari: sempre a luglio, hanno raggiunto gli 84,8 miliardi dai 78,3 dell'anno precedente.

Fotografata a marzo, la situazione dei rapporti banche-clienti sui prestiti segnalava un milione e 200 mila soggetti che non avevano rispettato gli impegni sui soldi ricevuti.

Non è un caso quindi che Ignazio Visco, governatore della Banca d'Italia, non perda occasione per battere sullo stesso ferro: «Con il Fmi concordiamo sulla necessità di liberare i bilanci delle banche da una quota molto ampia di sofferenze e crediti deteriorati, che sono 350 miliardi, di cui 200 di sofferenze», ha detto a Lima, dove si svolge la sessione annuale del Fondo. «Le sofferenze non sono tali da rendere le banche non in grado di sopravvivere», ha spiegato, «ma pesano, perché alla fine le sofferenze diventano perdite, le perdite devono essere compensate con aumento di capitale e gli aumenti di capitale tendono a salire anche per motivi prudenziali». Le banche stanno diventando macchine mangiasoldi solo per riuscire a fare il loro mestiere, cioè dare soldi al sistema.

La questione si sta facendo più urgente che mai perché è in corso lo Srep, sigla che sta per Supervisory Review and Evaluation Process. Eseguito dalla Bce, questo esame ravvicinato dei conti delle banche è in corso da mesi, ma proprio da settembre ha incominciato a dare i suoi risultati, sotto forma di suggerimenti per ulteriori requisiti di capitale. Quelli già fatti potrebbero non bastare.

All'Abi un primo allarme è già suonato, perché dall'Europa hanno cominciato a storcere il naso sul cosiddetto “supporting factor” chiesto dalle banche italiane: proprio per tener conto della specifica esigenza del nostro sistema del credito di finanziare le Pmi, l'Italia ha chiesto di poter derogare, solo per queste quote di portafoglio, dalle regole di Basilea 3, e quindi di potersi fermare pro quota ai requisiti di capitale pre-crisi (all'8 per cento) invece che arrivare al livello superiore richiesto oggi per i prestiti.

I requisiti di capitale sono infatti il nodo cruciale per la sopravvivenza delle banche e per la loro operatività sul mercato. Tanto che le regole sono diventate via via sempre più stringenti, in base al principio: più rischio uguale più capitale in cassa. Ecco un esempio: se con il requisito patrimoniale dell'8 per cento (stabilito da Basilea 2) con 100 euro di capitale una banca poteva dare prestiti per 1250 euro, ora che con Basilea 3 è richiesto un cuscinetto di capitale del 13 per cento, con gli stessi 100 euro di capitale il prestito che può dare scende a 950 euro. Per le banche con rilevanza sistemica (le grandi banche di stazza internazionale), poi, il requisito sale al 16,5 per cento, per cui con un capitale di 100 può erogare credito per soli 606 euro. Meno della metà di prima.

Ora con lo Srep la regola del requisito minimo di capitale sta per diventare addirittura personalizzato. Come spiega Andrea Nobili, responsabile dell'ufficio tributario dell'Abi, «La revisione “one to one” implica un rapporto costante con gli uffici per le verifiche richieste sulla tua struttura finanziaria e i tuoi crediti, per cui ti può arrivare una richiesta di fare qualcosa di più, oltre alla regola generale sui requisiti valida per tutti. Ma questo manderebbe all'aria qualsiasi programmazione all'interno di un istituto».

Rumors dicono che la Bce sia pronta a rivolgere alle banche italiane la richiesta di alzare il requisito minimo di capitale di 50 punti base (lo 0,50 per cento) rispetto alla richiesta precedente, facendo saltare sulla sedia lo stesso Visco, che ha subito risposto a Francoforte sottolinenando che una simile pretesa potrebbe seriamente compromettere la ripresa.

Ma le nuove regole europee non si limitano al capitale delle banche. Hanno cambiato anche la classificazione degli stessi crediti. Prima, secondo le regole di Bankitalia, quando un credito non veniva restituito passava attraverso vari stadi di “pericolosità”: si andava dal credito scaduto (da più di 90 giorni), al credito ristrutturato, all'incaglio, alla sofferenza, l'ultimo stadio di rischio. Tutti insieme nella famiglia dei crediti deteriorati. Adesso, in base alla classificazione decisa dalla Bce, è stata introdotta la nuova definizione “ inadempienze probabili”, cioè non ancora materializzati ma appunto probabili, per cui anche piccoli sconfinamenti vengono considerati febbre alta. Risultato? La questione non è nominalistica, perché anche qui si traduce in maggiori accantonamenti richiesti, maggiore assorbimento di capitale, minore capacità di effettuare nuovo credito.

L'ultimo siluro alle banche verrà dall'adozione, a partire dal 2018, di un nuovo principio contabile (IFRS9) che serve per l'indicazione in bilancio delle rettifiche di valore sui crediti, ed è basato sulla “previsione” dell'evento: in pratica, spiegano all'Abi, si tratterà di anticipare in bilancio le variazioni del rischio di credito, e quindi le perdite non saranno più da “eventi verificati”, ma da “eventi attesi”. Con il risultato di un prevedibile aumento della quota di questi ultimi per prudenza, e quindi di nuovo con effetti sugli accantonamenti e sulla libertà di erogare nuovo credito.

Se tutto questo scenario non fa dormire sonni tranquilli ai banchieri e al governatore, figuriamoci come devono sentirsi i depositanti e gli azionisti delle banche. Ma nessuno glielo dice, almeno fino al momento in cui lo scandalo bancario esplode.

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