E' uscito "La retour à la raison", ultimo album del musicista di Pordenone. Campane tibetane, chitarre Midi, un quartetto d’archi, mega bass, coltelli e altre esotiche percussioni gettati nell’alambicco elettronico e opportunamente trasfigurati, per coinvolgere l’ascoltatore in un vortice di emozioni contrastanti
Teho Teardo sostiene che aveva da molto tempo un appuntamento con Man Ray. La sua prima band, quando aveva sedici anni a Pordenone, si chiamava Rayogramma. Punk e Dada che se ne vanno a braccetto con la stessa aggressività e l’irriverenza tipiche della gioventù. Non immaginava però che dopo tante colonne sonore composte per il cinema, “Il Divo” di Paolo Sorrentino, “La ragazza del lago” di Andrea Molaioli, “Diaz” di Daniele Vicari per citare le più note, l’incontro con il suo idolo sarebbe avvenuto proprio grazie a un film.
L’opera in questione s’intitola “Le retour à la raison”, era stata realizzata da Man Ray nel 1926 e rappresenta assieme a “Emak Bakia” e “L’étoile de mer” il nucleo immaginifico che ha ispirato il nuovo progetto musicale (pubblicato ora anche su cd) di questo artista dinamitardo e sorridente.
Questo lavoro non somiglia per niente a una colonna sonora tradizionale. Campane tibetane, chitarre Midi, un quartetto d’archi, un pianoforte, le scure profondità dei mega bass, una quantità di coltelli e di altre esotiche percussioni gettate nell’alambicco elettronico e opportunamente trasfigurate, coinvolgono l’ascoltatore in un vortice di emozioni contrastanti.
«Alla fine, l’incontro con Man Ray è avvenuto dialogando con i suoi film», spiega Teardo. «Un giorno l’ho perfino sognato, mi ripeteva ossessivamente un numero, quaranta! Così mi è venuta l’idea di chiamare quaranta chitarristi (e l’esperienza si ripete a ogni concerto) per suonare il possente accordo dell’ultimo brano, “Marcia funebre del 900”».