Non sono aumentati i misfatti dei banchieri. ?Ma solo quelli che vengono allo scoperto. Contro la corruzione, però, i processi penali non bastano
Non passa giorno senza una notizia di nuove incriminazioni di banchieri: dalle Marche a Vicenza da Padova a Milano. Non vengono indagati solo per bancarotta, ma anche per distrazione di fondi, uso della banca a fini personali, perfino favori a personaggi in odore di mafia. Con i tempi che corrono quando un cliente entra in banca teme maggiormente di essere derubato da un banchiere che da un rapinatore. Che sta succedendo?
Non penso che il motivo sia un aumento della criminalità tra i banchieri: ad essere aumentata è solo la frequenza con cui i loro crimini vengono esposti. Di questo dobbiamo ringraziare principalmente la crisi e l’Europa. La crisi, perché negli anni di vacche grasse era facile coprire i misfatti. Oggi, dopo anni di recessione e di crediti insoluti, tutti i nodi vengono al pettine.
A facilitare il processo, però, contribuisce anche l’Europa. Il trasferimento della vigilanza dei nostri maggiori istituti di credito dalla Banca d’Italia alla Banca centrale europea ha fatto emergere miliardi di perdite nascoste, rendendo più difficile per i banchieri coprire i misfatti.
Ma il motivo principale è la nuova regola per gestire le insolvenze bancarie che entrerà in vigore il 1° gennaio 2016. Questa nuova regola impedisce al Governo di aiutare le banche in difficoltà senza prima aver fatto pagare le perdite non solo agli azionisti, ma anche agli obbligazionisti e ai depositi al di sopra di 100 mila euro. Passati sono i tempi in cui la Banca d’Italia poteva evitare perdite ai creditori del Banco Ambrosiano con generosi prestiti. Forzando le perdite sui creditori e i depositanti, la nuova regola europea aumenta enormemente il costo politico di un’insolvenza bancaria. Per paura di incappare in questi problemi in futuro o ispirata dalla Bce, la Banca d’Italia è diventata meno tollerante.
Se da un lato
dobbiamo rallegrarci che queste notizie non significhino necessariamente un aumento della criminalità dei colletti bianchi, dall’altro dobbiamo preoccuparci della diffusione geografica e sociale di questi crimini. Appropriazione indebita, abuso di ufficio e corruzione sono reati che generalmente associamo alla pubblica amministrazione e ai politici. Ma in tutti i casi sopra menzionati si tratta di reati che sarebbero stati commessi da non politici, nel settore privato. Anzi da Padova a Spoleto, da Vicenza alle Marche le accuse vedono coinvolto il “fior fiore” dell’imprenditoria locale. Per la stragrande maggioranza i reati sarebbero anche stati commessi al Centro-Nord, non al Sud.
Questo dimostra che la cultura dell’illegalità non è presente solo al Sud e non è diffusa solo tra i politici, coinvolge l’intera Penisola e gran parte della nostra classe dirigente.
Se dobbiamo rallegrarci per questa operazione “banche pulite”, dobbiamo preoccuparci che non faccia la stessa fine dell’omologa operazione effettuata quasi 25 anni fa nel settore della pubblica amministrazione. Come scrive giustamente l’ex sostituto procuratore della Repubblica Gherardo Colombo che di Mani Pulite fu un protagonista, «non è attraverso un processo penale che si può risolvere un problema endemico come la corruzione in Italia». È un meccanismo necessario (soprattutto se si risolve in tempi brevi e minimizzando gli inevitabili errori), ma non sufficiente. «La cultura - ci ricorda sempre Colombo - viene prima delle regole» e «se non si cambia la cultura, le regole che non le sono coerenti non vengono rispettate».