Grandi potenze e attori regionali finalmente sono seduti allo stesso tavolo. Con serie intenzioni ?di fermare la guerra. E sconfiggere lo Stato Islamico

Siria
Se non avessimo fiducia, commetteremmo un errore. Senza dubbio ci saranno occasioni di scontro, e tuttavia i colloqui sulla Siria in corso in questi giorni hanno davvero la possibilità di andare a buon fine, per due motivi.

Uno: si tratta dei primi colloqui che vedono Iran, Arabia Saudita e Turchia - le tre potenze regionali senza l’accordo delle quali questo conflitto non potrà finire - sedute infine al tavolo con le grandi potenze, requisito indispensabile per il buon esito dei negoziati. L’altro motivo per ben sperare che si possa approdare a una soluzione è in ogni caso ancora più importante. Mi riferisco a Vladimir Putin, il presidente russo al quale sono servite meno di tre settimane per riportare una sconfitta militare in Siria e comprendere che non potrà tirare fuori dai guai Bashar al-Assad.

Anche se la sua aeronautica ha bombardato a tappeto le aree in mano agli insorti, le forze del regime non sono riuscite a recuperare il vantaggio che avevano, malgrado l’Iran le aiutasse sul terreno. La Russia non ha sbaragliato l’insurrezione, lasciando il regime faccia a faccia con lo Stato Islamico, e comunicando alla comunità internazionale che la scelta è tra Damasco o i jihadisti e che è quindi indispensabile far fronte comune con Bashar al-Assad.

In mancanza di una vittoria veloce, che i Paesi sunniti hanno impedito dotando l’insurrezione di armi anticarro, la Russia ha intravisto la possibilità di restare in una posizione di stallo e ha subito scelto l’unica alternativa rimasta. Pragmatica fino in fondo, Mosca ha scelto dunque di farsi artefice di un accordo negoziato che potrà imporre a Bashar al-Assad, adesso che quest’ultimo è così indebolito e dipendente in tutto e per tutto dai russi. Mosca non l’ha abbandonato: non l’ha fatto perché Bashar al-Assad è il suo asso nella manica. Mosca ha soltanto fatto comprendere agli americani che un giorno potrebbe offrirgli un esilio dorato, a patto che gli Stati Uniti ammettano la Russia al tavolo dei grandi negoziatori.

Gli americani hanno acconsentito, Stati Uniti e Russia hanno iniziato a vagliare insieme le posizioni di Arabia Saudita e Turchia, i due Paesi sunniti che più si oppongono al fatto che Bashar al-Assad resti al potere. Dopo questo primo incontro, avvenuto a Vienna, difficile e talora anche molto acceso e tuttavia abbastanza risolutivo, se ne è infatti organizzato un altro allargato all’Iran, alle potenze europee e ad altri Paesi sunniti.

Si è così messo in moto un processo di pace e finalmente tutti adesso hanno interesse che approdi a un risultato concreto. La Russia lo auspica perché un successo la riporterebbe al livello degli Stati Uniti sullo scacchiere internazionale, da potenza economica inferiore ma della quale sarebbe impossibile fare a meno dal punto di vista diplomatico. Con i sauditi in prima fila, lo auspicano anche i sunniti, avendo compreso che i negoziati di Vienna potrebbero consentire loro di sbarazzarsi di Bashar al-Assad, l’uomo degli iraniani, senza far precipitare la Siria nelle grinfie dello Stato Islamico.

Dal canto suo Teheran si è resa conto che non avrebbe possibilità alcuna di salvare il presidente siriano, nemmeno con l’aiuto dei russi, e che soltanto una soluzione negoziata le darebbe l’occasione di conservare un’influenza in Siria senza dover pagare il prezzo di una guerra senza fine con tutti i sunniti. Gli europei, naturalmente, non aspettano altro che un accordo di pace, perché l’afflusso dei rifugiati mette a rischio la coesione dell’Unione. Quanto agli americani, non si preoccupano di offrire un successo politico alla Russia se ciò potrà servire a scongiurare un loro nuovo coinvolgimento diretto in Medio Oriente.

Paradossalmente, proprio perché ha perso sul terreno di battaglia, ora Vladimir Putin potrebbe trasformare questo smacco in una vittoria politica e contribuire a riportare la pace in Siria. Ma resta ancora molto da fare. Occorre definire gli accordi costituzionali in grado di garantire la sicurezza e la rappresentanza politica di tutte le comunità siriane. Occorre fare della Siria uno Stato federale nel quale Iran e Arabia Saudita abbiano modo di controbilanciarsi. Occorre arrivare a un cessate-il-fuoco. Occorre organizzare le elezioni e, nel frattempo, far sparire Bashar al-Assad. Nulla di tutto ciò sarà semplice, ma se non altro oggi vi lavorano tutti.

traduzione di Anna Bissanti