L’accordo è ancora lontano. Si cerca un cronoprogramma e impegni concreti. Renzi lo sa, «c’è un lavoro da fare», dice, ma si mostra ottimista: «L’Italia è leader»

«Dobbiamo parlarci molto chiaramente. Non c’è sviluppo possibile se non contrastiamo il cambiamento climatico». Matteo Renzi comincia così l’intervento alla Conferenza Onu sul clima a Le Bourget, a nord di Parigi. Fuori la città è blindata, dentro 150 leader mondiali si ascoltano. Il numero che racconta l’importanza dell’evento è questo: ai tempi del trattato di Kyoto i paesi firmatari erano 35, che rappresentavano il 12 per cento delle emissioni globali. Oggi i paesi sono 197 e le emissioni il 94 per cento («Mai una conferenza ha riunito così tanti paesi», ha introdotto Hollande). E sono gli Stati Uniti (con India e Cina campioni di inquinamento) a mostrarsi questa volta più disponibili: «Sono venuto qui di persona come leader della prima economia mondiale e del secondo paese inquinatore», è stato l’intervento solenne del presidente Obama, «per dire che non solo riconosciamo il nostro ruolo nell'aver creato il problema ma che ci assumiamo anche la responsabilità di fare qualcosa in proposito. Possiamo cambiare il futuro qui, e farlo ora».
Lo spirito con cui è intervenuto Renzi è invece opposto: «Vi porto la voce di un Paese che ha le carte in regole», ha detto.
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Prima di intervenire Matteo Renzi aveva già affidato a Facebook quanto avrebbe detto. «C'è una sfida che riguarda tutti noi, i nostri figli e i nostri nipoti: il futuro del pianeta», ha scritto col suo solito taglio: «Senza allarmismi inutili, ma dobbiamo prendere atto che siamo a un bivio. L'Italia vuole stare tra i protagonisti della lotta all'egoismo, dalla parte di chi sceglie valori non negoziabili come la difesa della nostra madre terra». Anche su Facebook Renzi si è mostrato orgoglioso come sempre: «Siamo tra i paesi leader nella ricerca con scienziati di altissimo livello. Siamo tra i protagonisti della Green economy (biomasse, solare, geotermia). Abbiamo ridotto le emissioni del 23 per cento negli ultimi 20 anni. Sull'efficienza energetica, con i contatori intelligenti, puntiamo alla leadership mondiale». L’Italia che racconta il premier del Pd sul social network fa sempre la sua parte: «Noi facciamo la nostra parte», scrive, e semmai tocca agli altri, «abbiamo bisogno di un accordo internazionale, altrimenti tutto sarà inutile. Siamo a Parigi per trovare un compromesso alto». Anche parlando ai cronisti presenti a Parigi, Renzi conferma la sua versione: «Gli italiani devono essere orgogliosi e fieri del lavoro che stanno facendo aziende, imprenditori, politici e associazioni italiane. Stiamo facendo la nostra parte». E dal podio elogia Eni e Enel, «che hanno saputo cambiare pelle».

«Il mondo di oggi e di domani guarda a Parigi. L'Italia non si tira indietro», è la buona intenzione che mette nero su bianco Matteo Renzi, ancora su Facebook prima dell’intervento. Intenzione importante, ma forse troppo generica, almeno per rispondere a chi anche qui in Italia e non solo a Parigi, domenica sfilava al sole di Roma, con la Marcia per il clima. «Matteo» era il nome con cui cominciavano molti cori. Di Greenpeace che chiedeva più solare, di Legambiente che nei giorni precedenti alla conferenza ha ricordato come si sia passati dai 10.663 megawatt di nuovi impianti fotovoltaici ed eolici del 2011 ai 733 del 2014. E dei NoTriv che chiedevano di bloccare le trivellazioni, care invece al governo che pure rivendica i dati sulla geotermia, sul risparmio energetico e sul solare. Non capisce, il movimento che ha sfilato a Roma e in molte altre città, perché cercare nuovo petrolio se è il petrolio e le sue emissioni che si voglio abbattere e perché farlo vicino alle coste. Perché, qui in Italia, serve un referendum, per bloccare le trivelle. Un referendum promosso da alcuni movimenti, da Possibile di Civati, e dalle regioni, soprattutto, molte delle quali amministrate dallo stesso Pd. Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Abruzzo, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise. Sei quesiti, appena ammessi dalla Corte di Cassazione, chiedono l'abrogazione di un articolo dello Sblocca Italia e di cinque articoli del decreto Sviluppo.

Renzi, comunque, da Parigi si è mostrato consapevole del fallimento dei precedenti accordi. «L'accordo va trovato», ha detto ancora a margine dell’incontro, «Copenaghen fu un mezzo fallimento, nel 2009, vediamo se questa volta riusciamo a portare a casa il risultato, mi sembrano tutti ben ispirati». La conferenza durerà fino all’11 dicembre. «Io sono ottimista», ha aggiunto il presidente del consiglio, «ma c'è un lavoro da fare». Se l’obiettivo è ridurre le emissioni e fermare il surriscaldamento del pianeta, Renzi ha chiesto un accordo vincolante, perché altrimenti, «se è scritto sulla sabbia, non serve a niente».

E gli impegni vincolanti, per Renzi, non avranno ripercussioni sul Pil, che è ancora l’indicatore più caro alla politica. «Non ho alcun timore», ha detto Renzi. Non ne ha per il prodotto interno lordo italiano, che «andrà a crescere non a rallentare», e non ne ha per quello degli altri paesi: «Sono preoccupato», ha invece detto, «per la tenuta del pianeta, per un equilibrio che il mondo rischia di non avere se tutti non rispetteranno gli obiettivi». «Fino a qualche anno fa», è una delle frasi del suo intervento, «erano i biologi che si occupavano di disastri climatici. Oggi sono soprattutto gli economisti». I cambiamenti climatici e il contenimento delle emissioni, dunque, è «una questione etica e di una questione morale». Ma anche una questione economica.