Ci aggrappiamo spesso all'idea di essere la patria del genio. Ma un report smonta questa convinzione. Perché, secondo la ricerca, il talento passa anche da ricerca, investimenti e tolleranza. Tutti campi in cui abbiamo enormi lacune
Però – si dice – siamo sempre il popolo più creativo del mondo. Forse è meglio dirlo a bassa voce ma, in realtà, siamo ventunesimi. O almeno è quello che afferma il
Global Creativy Index. Il Paese più creativo non sarebbe quindi l'Italia ma l'Australia. Poi Stati Uniti, Nuova Zelanda, Canada e Danimarca.
Ma come si misura la creatività? Contrariamente a quanti affermano che “siamo i migliori”, il report ha tentato di dare dei parametri obiettivi. E per certi versi sorprendenti: ha preso in considerazione tre “T”: tecnologia, talento e tolleranza.
La tolleranza è creativaChe cosa c'entra la tolleranza con la creatività? Per gli analisti c'entra eccome: “I Paesi più aperti alla diversità hanno la capacità di attrarre talenti, generare nuove idee e sviluppare nuovi settori”. Non solo: se la differenza è un valore, “l'omogeneità blocca la crescita economica”.
Ecco perché, per individuare il Paese più creativo, sono stati analizzati anche l'atteggiamento verso le minoranze etniche e religiose e nei confronti di gay e lesbiche. L'Italia, da questo punto di vista, perde posizioni: è 38esima. Appena tre gradini meglio dell'Ungheria di Viktor Orbán.
È questa la “T” con le performance peggiori: siamo 68esimi per apertura alle minoranze etniche e 29esimi per quanto riguarda gli omosessuali.
Popolo di inventori?L'intero report muove da un principio: la creatività è sterile se non porta sviluppo. Un discorso che vale ancor di più per la tecnologia, definita come tutto ciò (dai software alla robotica) che rende un’economia più efficiente: nuove invenzioni, ricerca e sviluppo. Anche qui l'Italia è indietro: gli investimenti in R&S valgono poco più dell'1 per cento del Pil. Un dato che ci relega in 26esima posizione. Chi guida la classifica, Israele, investe in ricerca e sviluppo il 4,4 per cento del Prodotto interno lordo.
E in barba alla consolazione di essere un popolo di inventori, va ancora peggio per il numero di brevetti pro capite: l'Italia è 30esima. Non si tratta di un problema di dimensioni né di ricchezza. Nella top ten ci sono Paesi molto diversi: dai soliti noti asiatici (Sud Corea, Giappone, Singapore) ai big (Usa e Germania), fino a Danimarca e Nuova Zelanda.
Talento (sprecato?)La creatività italica esce malconcia anche dalla terza voce presa in considerazione: il talento. Anche in questo caso è lecito chiedersi come si misura qualcosa di così poco tangibile. Lo studio ha scelto di prendere in considerazione il numero degli occupati in mestieri creativi. Il report parla di “creative class” in contrapposizione con la classe operaia: arte, cultura, scienza, innovazione tecnologica, media. Ma anche educazione, business, salute e giurisprudenza. Un'idea allargata di creatività (funzionale), che vede l'Italia al 31esimo posto.
Il talento, quando c'è, va nutrito. Ecco perché conta anche il grado di scolarizzazione. E anche qui l'Italia, 29esima, è lontana dai migliori (Corea del Sud, Stati Uniti, Finlandia).
Non c'è creatività senza sviluppoIl Creativity Index non rappresenta la verità assoluta. Lo affermano chiaramente i suoi autori: “La creatività non può essere misurata con gli stessi canoni della produzione. Non è un magazzino di merci che può esaurirsi ma una risorsa rinnovabile”. Ha però il pregio di abbandonare l'idea astratta e consolatoria del “talento” per tentare di misurarne le ricadute sulla vita di tutti i giorni. Sul lavoro e sull'economia (la crescita è più solida), sugli squilibri sociali (l'ineguaglianza tende a ridursi) e lo sviluppo.
Ne viene fuori un planisfero assai lontano dagli stereotipi, con Australia, Stati Uniti, Nuova Zelanda e Canada a guidare la classifica dei Paesi più creativi.
L'Italia, convinta di essere la patria della creatività, sembra aver perso terreno. Scoprendo che l'italico ingegno risulta spesso sterile, proprio in un momento in cui – afferma il report – “la crescita si basa su innovazione, conoscenza e talento”.