E' stata depositata la sentenza della Consulta che chiude il cerchio di pareri favorevoli (alla non obbligatorietà dell'operazione) dopo vari tribunali e Cassazione. La persona dovrà sempre e comunque compiere un percorso sanitario e amministrativo, verificato dallo Stato, che poi la porterà all'agognata modifica
Per cambiare sesso all'anagrafe non è necessario un intervento chirurgico: il principio ha ormai valore di legge, perché dopo i verdetti favorevoli di alcuni tribunali, e in luglio della Cassazione, è stato sancito dalla Corte costituzionale. Un percorso che negli ultimi anni la comunità transgender ha compiuto gradino per gradino e che alla fine è stato pienamente riconosciuto. Relatore della sentenza della Consulta
depositata il 5 novembre è il giudice costituzionale ed ex presidente del consiglio Giuliano Amato.
Il caso approdato in Corte costituzionale era stato sollevato dal Tribunale di Trento, in relazione alla vertenza di un transessuale FtM, donna alla nascita, che aveva chiesto il riconoscimento di una nuova identità maschile, ma senza doversi sottoporre necessariamente a un intervento ai genitali. Nel dicembre scorso
era intervenuta anche la Presidenza del consiglio, con un parere dell'Avvocatura generale vidimato dall'allora sottosegretario Graziano Delrio, favorevole alla posizione dell'interessato.
La Consulta è stata chiamata a interpretare la legge 164 del 1982 sul cambio di sesso, che i giudici italiani avevano sempre tradizionalmente applicato imponendo alla persona transgender l'obbligo di operarsi come prerequisito per ottenere la rettifica all'anagrafe. Ma poi, negli ultimi anni, sono intervenute le sentenze di alcuni tribunali – Roma, Siena, Rovereto, Messina – e
quella della Cassazione, del luglio scorso, relativa alla richiesta di Sonia Marchesi, transgender piacentina che si era vista rifiutare il nuovo documento prima dal tribunale di Piacenza e poi da quello di Bologna.
La Corte costituzionale, nella sua sentenza, ha richiamato gli articoli 2 e 32 della Costituzione (diritto all'identità di genere come diritto dell'espressione della personalità e diritto alla salute) e l'articolo 8 della Cedu (Convenzione europea dei diritti dell'uomo). Scrive la Consulta nella sentenza: "Interpretata alla luce dei diritti della persona ? ai quali il legislatore italiano, con l’intervento legislativo in esame, ha voluto fornire riconoscimento e garanzia ? la mancanza di un riferimento testuale (nella legge del 1982,
ndr) alle modalità (chirurgiche, ormonali, ovvero conseguenti ad una situazione congenita), attraverso le quali si realizzi la modificazione, porta ad escludere la necessità, ai fini dell’accesso al percorso giudiziale di rettificazione anagrafica, del trattamento chirurgico, il quale costituisce solo una delle possibili tecniche per realizzare l’adeguamento dei caratteri sessuali".
"L’esclusione del carattere necessario dell’intervento chirurgico ai fini della rettificazione anagrafica - prosegue il testo redatto da Giuliano Amato - appare il corollario di un’impostazione che - in coerenza con supremi valori costituzionali - rimette al singolo la scelta delle modalità attraverso le quali realizzare, con l’assistenza del medico e di altri specialisti, il proprio percorso di transizione, il quale deve comunque riguardare gli aspetti psicologici, comportamentali e fisici che concorrono a comporre l’identità di genere".
Va anche sottolineato che questa nuova e più moderna interpretazione della legge non permette – come era stato dichiarato da alcuni oppositori all'indomani della sentenza della Cassazione – di "svegliarsi la mattina e cambiare sesso", perché comunque la concessione del cambio all'anagrafe rimane prerogativa del giudice.
Carlo Giovanardi nel luglio scorso aveva parlato ad esempio di "sentenza abnorme", che permetterebbe a una transessuale famosa come Efe Bal, "all'anagrafe uomo e sposata con una donna, di potersi iscrivere all'anagrafe come donna, e nel futuro magari di nuovo come uomo".
Non sarà così, perché la persona dovrà sempre e comunque compiere un percorso sanitario e amministrativo, verificato dallo Stato, che poi la porterà all'agognata modifica. Solo che non le verrà più imposto l'intervento chirurgico. Spiega infatti la Consulta: "Rimane così ineludibile un rigoroso accertamento giudiziale delle modalità attraverso le quali il cambiamento è avvenuto e del suo carattere definitivo. Rispetto ad esso il trattamento chirurgico costituisce uno strumento eventuale, di ausilio al fine di garantire, attraverso una tendenziale corrispondenza dei tratti somatici con quelli del sesso di appartenenza, il conseguimento di un pieno benessere psichico e fisico della persona".
Il trangender trentino era stato affiancato nella sua battaglia da diverse associazioni Lgbti: Mit, Onig, Associazione Radicale Certi Diritti, Libellula, la Fondazione Gic, la Rete avvocatura Lenford. Che adesso esprimono soddisfazione per la sentenza della Consulta.