
Secondo il giudice la frase riportata dai giornalisti potrebbe esistere fra le intercettazioni che non sono state messe a disposizione delle parti, dalla procura, in occasione dell'incidente probatorio richiesto dagli imputati. Inoltre, in base a quanto sostenuto dai pm non ci sono gli elementi per chiedere il giudizio immediato saltando l'udienza preliminare. Adesso tutto viene rimandato alla procura che dovrà riformulare una nuova richiesta.
La vicenda fa riferimento all'intercettazione, pubblicata in estate da l'Espresso, poi smentita dalla procura di Palermo che ha indagato Messina e Zoppi chiedendone a settembre il giudizio immediato. Ma adesso il giudice «non ritiene che la prova a sostegno dell'accusa» sia evidente. E per questo ha rigettato la richiesta dei pm, così come avevano chiesto gli avvocati Carlo Federico Grosso, Nino Caleca e Fabio Bognanni, difensori degli imputati.
Il gip nella sua ordinanza ridimensiona l'impianto accusatorio e scrive: «Nulla consente di escludere che l'espressione incriminata, o altra similare, possa essere stata pronunciata dal Tutino o da altri nel corso di una conversazione non compresa tra quelle allegate al procedimento».
Per il giudice «l'accertata inesistenza agli atti del procedimento di una conversazione tra il Crocetta e il Tutino avente il contenuto riferito non prova con la forza necessaria a giustificare l'omissione dell'udienza preliminare né la falsità della notizia né l'insussistenza del reato attribuito alla presunta parte offesa».
«Il pm infatti ha introdotto nel presente procedimento, che costituisce una costola del procedimento principale a carico di Matteo Tutino e altri, alcune intercettazioni intercorse tra questi e Crocetta che non esauriscono affatto il compendio delle conversazioni intercettate ed intercorse tra molteplici soggetti coinvolti a vario titolo nell'indagine», scrive il giudice. Che poi aggiunge: «Certamente tra le tante conversazioni intercettate ve ne era almeno una, in cui qualcuno aveva affermato che era necessario “far fuori” l'assessore, sia pure in senso politico e/o con esclusivo riferimento al ruolo ricoperto».
Per il giudice, insomma, dal complesso materiale probatorio emergono, «con riguardo agli ipotizzati reati di calunnia, elementi non univoci», da cui si evince inoltre «chiaramente che tra l'imputato Messina e l'ufficiale del Nas vi era una relazione di amicizia e frequentazione; che più di una volta i due avevano trattato l'argomento Tutino/Borsellino».