La seduta fiume a Montecitorio per esaminare la riforma del Senato si trasforma in una palude piena di coccodrilli. Alle due di notte piomba Renzi in persona in Aula, mentre i grillini danzano sopra i brandelli del patto del Nazareno e la minoranza dem cerca sponde con i forzisti allo sbando
Alle nove di sera, Renato Brunetta twitta: “ E’ una palude”. Ma se è palude, l’Aula della Camera impegnata nelle sedute fiume per esaminare il ddl che riforma il Senato, è una palude piena di coccodrilli furiosi. Volano mandibole, roteano le code, insomma è il caos. A mezzanotte e un quarto i deputati grillini battono i faldoni degli emendamenti sui banchi, gridando all’”onestà”, tanto che il presidente di turno,
Roberto Giachetti, ne espelle ben cinque. A mezzanotte e mezza alcuni deputati sono in piedi: in piedi sui banchi.
[[ge:rep-locali:espresso:285514865]]Si scagliano gli uni contro gli altri, anche in settori in aspettati. Un deputato di Sel, per dire, si avventa contro un piddino, gridandogli “pezzo di merda”. Alle due meno dieci, in stile Zeus, Matteo Renzi in persona si cala in Aula. Forse a constatare di persona gli effetti della morte del patto del Nazareno, forse a ricordare alla minoranza Pd di non alzare troppo la cresta. Chissà.
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Comunque la baraonda è davanti agli occhi di tutti.
La fine dell’asse tra Pd e Forza Italia, psicologico e politico prima che numerico (alla Camera la pattuglia azzurra non è determinante), ha dato la stura a tutte le ambizioni grilline di fare davvero la minoranza spacca tutto: una funzione originaria sulla quale il Movimento inscena quasi una danza dionisiaca e liberatoria. Perché stavolta davvero le loro mosse possono contribuire a smantellare la cattedrale.
Durante la giornata, per ore e ore, il Pd tenta una mediazione per accogliere parte dei loro emendamenti in cambio di una presenza in Aula più quieta: ma non c’è niente da fare. Prima il dialogo salta, e il Movimento abbandona l’Aula dando a Renzi e renziani dei “nazisti”. Poi, verso le dieci di sera, il grillino Fraccaro avanza un’altra proposta: quella di accantonare fino a marzo tutta la parte relativa al referendum confermativo, compreso l’emendamento a cinque stelle che prevede non vi sia il quorum; ma il capogruppo Pd Roberto Speranza risponde con un niet, e ricomincia la danza. Passata la mezzanotte, il relatore al ddl Emanuele Fiano dà infine il suo via libera; dai Cinque stelle arriva quella che politicamente è una pernacchia. “Troppo tardi”, rispondono infatti. E la seduta fiume continua.
Non che nel resto dell’emiciclo vada meglio. Forza Italia è ridotta a brandelli, tra chi rimpiange il patto con Renzi, chi guarda a Salvini, e chi nessuno dei due: e solo la richiesta di Berlusconi di non dare troppo spettacolo fa tacere i più (ma durerà poco). Nel Pd, la minoranza ha ricominciato a chiedere a gran voce modifiche al testo, evocando la libertà di voto (nelle prossime ore, i deputati incontreranno Renzi). Sel digerisce malissimo il fatto che, stando così le cose, il governo cerchi di trattare con i grillini: “Sembra quasi che cerchino un patto B, dopo che è saltato il patto A”.
Intanto caos, si fa strada un nuovo fenomeno: quello del dialogo tra bersaniani e azzurri, quasi in una sorta di contro-patto del Nazareno. E’ gioco forza, del resto, che le istanze oppositorie della minoranza piddina e della neo-minoranza azzurra cerchino una qualche sponda reciproca. Ma l’effetto è curioso: si vede per esempio l’azzurro fittiano
Daniele Capezzzone difendere un emendamento del Pd, e il democratico
Pippo Civati che per celia dice all’azzurro Sisto: “Forse ho sbagliato partito”. Perché appunto, son saltate le marcature. Politicamente sembra il giorno zero della legislatura: a quanto pare toccherà al premier provare a mettere un po’ di ordine, se non altro per portare a casa la riforma, ma l’impresa è dura.