Il motore di ricerca darà risultati diversi di qua e di là dell'Atlantico: in America nessuna cancellazione, da noi invece non appariranno i link a pagine che “devono essere dimenticate”. Questo l'esito finale del  documento riservato di Mountain View. Ma tra i "saggi" emergono spaccature. Durissimo Jim Wales, il fondatore di Wikipedia: «Violata la libertà di Internet»

Nel maggio dello scorso anno una sentenza  della Corte di Giustizia Europea ha stabilito che qualunque cittadino Ue ha diritto a chiedere a Google la de-indicizzazione dal motore di ricerca dei contenuti che lo riguardano, se «non più rilevanti per la società» e se possono invece «alterare o ridurre il diritto, per i cittadini, all’autodeterminazione della propria immagine sociale».

IL DOCUMENTO Ecco il report di Google

È il famoso diritto all'oblio: che con questa sentenza la corte europea ha delegato di fatto alle decisioni in merito, caso per caso, di Google, attribuendo un potere enorme a questa corporation.

[[ge:espresso:attualita:1.198329:article:https://espresso.repubblica.it/attualita/2015/02/06/news/google-il-diritto-all-oblio-e-la-frittata-indigesta-cucinata-dalla-ue-1.198329]]Adesso il Consiglio dei “saggi” promosso da Google ha finalmente prodotto  l’atteso documento finale per stabilire i criteri d'azione, dopo un intenso lavoro e confronto  con esperti, avvocati, magistrati, giornalisti e professori universitari in un tour di incontri pubblici che ha toccato le principali capitali europee.

Obiettivo di Google era quello di individuare una serie di punti fermi, delle linee guida, che potessero semplificare e definire la linea di condotta del motore di ricerca, in risposta alle centinaia di migliaia di richieste di de-indicizzazione finora pervenute e destinate, in breve tempo, a divenire milioni.

Intervista
Diritto all'oblio: “Un compromesso, ma non è colpa nostra”
6/2/2015
Il documento si articola in cinque sezioni (introduzione generale, introduzione al quadro normativo, natura dei diritti nella sentenza, criteri di valutazione delle richieste di de-indiczzazione, elementi procedurali) e un’appendice.

Le conclusioni
?Uno dei punti principali del documento (ed anche più controverso), riguarda la competenza territoriale delle de-indicizzazioni, che secondo il Council deve interessare tutte le estensioni europee del motore di ricerca, ma non quelle extra Ue: ovvero, nel caso di Google, un link non sarebbe più raggiungibile nelle ricerche effettuate dai siti europei del motore di ricerca, mentre resterebbe indicizzato, ad esempio, su Google.com (Usa). Questa indicazione è in aperto contrasto con quanto richiesto dai garanti europei, che hanno chiaramente indicato che la rimozione dovesse essere completa. Il risultato comunque è che, di fatto, Google offrirà indicizzazioni complete in America e “censurate” in Europa.

[[ge:espresso:attualita:1.198332:article:https://espresso.repubblica.it/attualita/2015/02/06/news/diritto-all-oblio-ecco-il-report-di-google-1.198332]]Altro aspetto di rilievo, già oggetto di molte discussioni tra gli esperti, è la figura dell’editore, che nella sentenza della Corte non è minimamente contemplata. I saggi raccomandano che il “content-publisher” (che sia l’editore, il blogger o il webmaster) possa essere considerato come una delle parti in gioco e quindi informato delle de-indicizzazioni che lo riguardano.

Ulteriore punto centrale nella discussione riguarda i criteri da utilizzare per la de-indicizzazione: il Council suggerisce che, per opinioni espresse su tematiche filosofico-religiose, la rimozione del link possa seguire un procedura rapida, in considerazione della particolarità del tema.

Le divergenze
?Ma il gruppo dei saggi non ha trovato al suo interno una univocità di posizioni e un pensiero comune, tanto che il report contiene diversi distinguo e manifestazioni di dissenso su alcuni dei punti più importanti. Uno degli otto saggi, Frank La Rue, Inviato Speciale delle Nazioni Unite per la promozione e la tutela del diritto alla libertà di opinione ed espressione dell'Unhcr, non ha praticamente partecipato alla stesura del documento.

In questa difformità di vedute si sono scontrate due culture, quella americana, per cui le decisioni della Corte di Giustizia sono in assoluta violazione della libertà di espressione e quella europea, dove il diritto alla privacy (e quindi all’oblio) è sancito dalla legislazione (Direttiva CE 95/46) e dalla giurisprudenza (la sentenza Costeja, quella che ha portato alla sentenze della corte europea).

Tale scontro di culture emerge in maniera evidente dalla riserva scritta che, Jimmy Wales, fondatore di Wikipedia e uno degli otto “saggi” di Google, contrario a tutto l’impianto normativo europeo, ha posto in calce al documento: «Mi oppongo totalmente ad uno status giuridico in cui una società commerciale è costretta a diventare giudice dei nostri più fondamentali diritti come la libertà di espressione e la privacy, senza consentire alcuna appropriata procedure di appello per gli editori le cui opere vengono soppresse. Il Parlamento Europeo dovrebbe immediatamente modificare la legge per fornire un adeguato controllo giudiziario e protezioni rafforzate per la libertà di espressione».

Se non fosse che la legge europea è sostanzialmente più complessa ed articolata in quanto essa è subordinata al regime regolamentale di applicazione dei vari paesi dell’Unione e delle relative autorità garanti della protezione dei dati e quindi, di fatto, consente una più estesa ed articolata possibilità di difesa e di ricorso avverso le de-indicizzazioni del motore di ricerca.

Altra riserva scritta è stata posta da Sabine Leuthesser-Scnerrenberger, tra i “saggi” e ministro federale di giustizia tedesco, che invece ha rappresentato una posizione ferma sull’obbligo di de-indicizzazione dei contenuti estesa anche alle sedi extra Ue dei motori di ricerca.

Twitter: @antoniorossano