Luciano Floridi, professore di filosofia ed etica dell’informazione all’università di Oxford, membro del Google Council sul diritto all'oblio, spiega qui il suo parere sulle conclusioni del comitato dei “saggi” che ha deciso quali linee guida ispirarsi per decidere, caso per caso, sulle richieste di deindicizzazione
Professor Floridi, finalmente il Report è pubblicato, siete soddisfatti del lavoro svolto?“Sono soddisfatto dati i vincoli in cui abbiamo dovuto operare. Abbiamo fatto la pizza con gli ingredienti che ci sono stati dati, ed è venuta la migliore pizza possibile. Avremmo voluto parlare anche di altro, di come affrontare il problema al di fuori della sentenza Costeja, ma non era il nostro compito”.
Ma vi sono stati dissensi, espressi nero su bianco nel report…La situazione era molto complicata, abbiamo cercato, ci siamo sforzati di raggiungere un compromesso per dare a Google delle risposte da utilizzare come criteri per quelle aree grigie dove è difficile decidere sul diritto all’oblio. Avremmo dovuto prendere decisioni chiare, fornire suggerimenti operativi, che fossero compatibili con il quadro della legislazione europea. Non doveva essere una discussione del tipo “ a me piace o non piace” come in effetti, invece, è accaduto.
Infatti in questo senso, vi è una riserva scritta di Jimmy Wales, il fondatore di Wikipedia, che esprime contrarietà proprio sul dispositivo normativo…Si. È un po’ come dire “io volevo giocare a tennis” mentre stai facendo una partita a scacchi. Se me lo avessero chiesto “Ti piace questa legislazione?”, avrei risposto “non tanto, ci sono delle cose da modificare”: ma non è questa la richiesta di Google. Dovevamo fornirgli delle soluzioni.
Quindi un report di solisti, non un coro che intona la stessa canzone?Io ed altre due colleghe (Peggy Walke e Sylvie Kauffman), come si evince dal report, ci siamo sforzati di trovare un compromesso, per dare una risposta a Google ed un senso a tutto il lavoro, ma altri quattro hanno manifestato opinioni in dissenso.
Quali i punti su cui non avete trovato un accordo?Un primo punto importante e controverso ha riguardato le opinioni di tipo religioso e filosofico e su questo vi è stata una discussione vivace. Alcuni di noi hanno ritenuto che, poiché sono informazioni particolarmente sensibili, la de-indicizzazione andrebbe facilitata rispetto ad altre tematiche. Poi sono giunti, in ritardo, alcuni pareri contrari che quindi sono finiti in appendice, tra i dissensi. Ma è chiaro che, tematiche di questo tipo sono particolarmente complesse, vanno affrontate caso per caso e non si può fare di tutta un’erba un fascio. Altro problema nasce sulla territorialità: l’indicazione di limitare le de-indicizzazioni al contesto europeo è, ovviamente un compromesso. Perché non vi è una soluzione che risolva il problema completamente. La rete non può essere “controllata”, è come un colabrodo: se tappiamo tutti i buchi domani arriva qualcuno che ne fa un altro. Se domani dovesse passare l’idea che deve essere effettuata una de-indicizzazione globale, questo genererà semplicemente l’arrivo di un qualche motore di ricerca proveniente da paesi come la Cina, la Nord Corea o la Russia che consentirebbero di fare ricerche a tutto campo.
Quali le prospettive sul diritto all’oblio?Questo del Council è un episodio di un dibattito che non finisce oggi e che andrà avanti con la società e la sua evoluzione. Bisogna passare attraverso un cambio di mentalità e di cultura, ma anche la legge e la tecnologia devono evolversi. La speranza è che questi dibattiti contribuiscano ad indirizzare la tecnologia nella direzione giusta. Oltre questo report, che è delimitato dal dettato della Corte di Giustizia, il mio suggerimento per i grandi attori della rete, Google, Microsoft e gli altri, sarebbe di cominciare a guardare come modificare la tecnologia, per averne una più rispettosa di questi valori. E questo si può fare.