Secondo le agenzie di intelligence occidentali e secondo la stampa statunitense e inglese Abdelhakim Belhadj sarebbe il nuovo comandante militare dell’Islamic State in Libia. Belhadj avrebbe già organizzato campi di addestramento per i miliziani islamici nella zone est del paese.
Ma chi è veramente questo signore della guerra, presunto leader del jihad in Libia? Il ruolo di Belhadj divide il mondo occidentale da più di dieci anni. Di sicuro, il comandante militare libico ha avuto rapporti con i governi occidentali nella gestione del dopo Gheddafi. Ha ricoperto il ruolo di governatore militare nel comitato nazionale di transizione dopo la liquefazione della Libia, ha fondato un suo partito e dispone di un esercito.
[[ge:espressoarticle:eol2:2207810:1.54775:article:https://espresso.repubblica.it/attualita/cronaca/2013/05/27/news/italia-libia-e-l-uomo-misterioso-1.54775]]Negli ultimi due anni ha fatto la spola tra le capitali occidentali ed è stato ricevuto con tutti gli onori a Washington, Londra e Roma, recitando un ruolo da protagonista nelle giornate in cui si tentava inutilmente di comporre il puzzle libico. Fino a pochi giorni fa, Belhadj era considerato un islamista moderato, un uomo con cui le cancellerie occidentali avrebbero potuto dialogare per riportare la pace in Nord Africa.
Di Belhadj, L’Espresso ha scritto nel maggio del 2013, raccontando di una sua personale rete diplomatica tra Sicilia, Tripoli e uffici consolari, rete che lo aveva fatto assurgere al ruolo di risolutore delle controversie più disparate, tra tutte la storica partita tra marineria siciliana e motovedette libiche, sempre pronte a sequestrare i nostri battelli. Il comandante ora sospettato di alimentare il fuoco islamista, nel recente passato ha anche agevolato il percorso delle imprese made in Italy nella ricostruzione libica.
Il primo contatto con la Sicilia risale al 5 ottobre del 2011, quando una missione umanitaria fa sbarcare nell'isola diciassette combattenti libici feriti negli scontri di Bengasi. Il governo di Gheddafi ha le ore contate e la nostra diplomazia è già pronta a seguire il regime change. Si celebra così la strana e insolita alleanza che legherà - da allora almeno sino al 2014 – pezzi del nostro Stato, l’amministrazione siciliana e la nostra intelligence a un personaggio di primo piano del jihadismo globale.
La sua immagine da ufficiale militare in tuta mimetica sarà ripresa dalle foto scattate in quelle ore. Il comandante libico verrà ricevuto, in quei giorni, con grandi attenzioni nei palazzi della burocrazia regionale siciliana. Non cammina mai senza scorta, lo proteggono dei giovani soldati con occhiali scuri e armati di tutto punto. Quel primo contatto con il nostro Paese non sarà l’ultimo.
Da un anno e mezzo a questa parte sarà un fluire di veline e comunicati stampa dal tono entusiastico. Belhadj viene descritto come un amico della Sicilia, facilitatore di affari e risolutore di crisi locali. Per alcuni mesi sarà a capo delle milizie di Tripoli, per poi lasciare quel ruolo in vista di una sfortunata candidatura alle elezioni sotto le bandiere del partito Al Watan. Quando nell’autunno del 2012 ospita a Bengasi la visita del nostro console De Sanctis (oggi in servizio in Qatar) e del dirigente del distretto della pesca per la regione siciliana Giovanni Tumbiolo, in realtà il comandante libico non ha più alcun incarico ufficiale nel governo transitorio. L’ultimo appuntamento istituzionale è del maggio 2013: le telefonate sulla linea Palermo, Mazara del Vallo, Bengasi non si fermavano mai. Belhadj è l’uomo delle mediazioni. La sua parola è verbo in Libia. A lui, il ministero degli Esteri e la Sicilia si affidano per risolvere i continui sequestri di pescherecci siciliani, accusati dalla marina libica di violare le acque territoriali.
Eppure non sarebbe stato difficile ricostruire la biografia di Abdelhakim Belhjadi, leggenda tra i combattenti di Allah in tutto il mondo. Ha speso metà dei suoi 47 anni a combattere in giro per il mondo. E’ uno dei fondatori del Gicl, il gruppo islamista combattente libico. In fuga dalla Libia, dal 1988 al 1992 la sua formazione ultraradicale andrà a serrare le fila dei mujhaeddin afgani guidati da Osama Bin Laden. In Afghanistan gli uomini di Belhadj metteranno su due campi di addestramento. Nel 1992 lascerà le montagne afgane, secondo il racconto delle intelligence internazionali, per quello che sembra il tour perfetto del jihad: prima in Sudan, seguendo come un’ombra i fedelissimi dello sheik, per poi approdare in Pakistan, Turchia e Iraq.
La corsa di Belhadji finirà nel 2004 in Thailandia, quando verrà catturato dagli agenti della Cia. Torture, sevizie e umiliazioni nelle carceri di Bangkok, saranno il menu quotidiano del combattente libico, che poi sarà inviato prima nella base “Diego Garcia” per essere consegnato alla Libia, nelle segrete della terribile fortezza di Abu Salim. Questa detenzione durerà pochi mesi. Nel 2010, poco prima della crisi che lo travolgerà, Gheddafi concede l’amnistia a 170 detenuti accusati di jihad.
Tra loro c’è anche Belhjadi: ha trattato con il regime del rais per arrivare alla firma di un monumentale documento di oltre 400 pagine con cui i jihadisti fanno abiura della guerra santa come strumento di lotta. Ma il regime scricchiola e al reduce afgano basteranno pochi mesi di libertà per mettere su uno schieramento di forze imponente, uno schieramento su cui si dovranno appoggiare i governi occidentali e i paesi arabi per ottenere la caduta di Gheddafi.
Belhadj diventerà il leader del partito Al Watan, diventato forza di opposizione nel fragilissimo paese del nord Africa. Secondo alcuni report dell’intelligence inglese, può disporre di un gruppo forte di oltre ventimila unità, ma in realtà i suoi fedelissimi armati non sarebbero più di 700. Vive sorvegliato 24 ore su 24 in un hotel bunker a Bengasi. Parla da moderato, ha fortissime coperture in Qatar e sembra non avere perso il vizio della guerra santa: il suo movimento paramilitare è indiziato di essere uno dei principali partner nella fornitura di uomini e armi per la guerra anti Assad che si combatte a Damasco, con in testa la formazione jihadista Jabhat al-Nusra.
Una partnership, quella tra Belhadji e la piccola nazione del golfo che è stata testata nella primavera libica e ora sembra di nuovo attiva sul fronte siriano, grazie al supporto strategico e finanziario di cui dispone la fazione del miliziano libico, legato da un patto di ferro al generale Hamad Ben Ali al-Attiyah, capo di Stato maggiore della difesa del piccolo stato del golfo. Ora, le lancette della storia girano di nuovo al contrario e la comunità occidentale rischia di trovarsi sul campo di battaglia contro Belhadj, di nuovo nei panni del nemico, ma venerato sino a poco fa come un vessillo per la salvezza della Libia.