Inchieste
marzo, 2015

La seconda generazione di Tangentopoli

Perotti, Li Calzi, Trane, Gaspari: hanno ereditato da padri e zii le posizioni chiave negli appalti. E adesso li sostituiscono anche come protagonisti degli scandali. Lo spaccato più amaro di come funziona l'Italia

Largo ai giovani. Basta con i vecchietti di Mani Pulite, gli anziani reduci alla Primo Greganti e Gianstefano Frigerio che hanno continuato a smistare mazzette per decenni. Anche per loro è arrivata la rottamazione, perché adesso la scena è tutta per la seconda generazione di Tangentopoli: i figli di coloro che vent'anni fa dominavano il mercato delle bustarelle e degli appalti. L'inchiesta di Firenze segna uno storico passaggio di testimone, anzi di imputato: nel 1992 erano stati i padri a finire in cella, adesso la stessa sorte tocca a loro.

L'ereditarietà della corruzione è incarnata dalla saga della famiglia Perotti. Negli anni Sessanta Massimo è stato l'enfant prodige degli appalti: entra all'Anas con concorso ed è il più giovane ingegnere a dirigere i lavori dell'Autosole. Scala la gerarchia interna fino a diventare direttore generale dell'Azienda pubblica: costruisce due terzi delle strade siciliane, arbitrando quei cantieri che fanno da sfondo al “Giorno della civetta” di Leonardo Sciascia. Una carriera che negli anni Ottanta lo porta alla presidenza della Cassa del Mezzogiorno, la più grande mangiatoia della Prima Repubblica, con l'incarico di liquidarla. Venne arrestato dalla procura di Milano nel 1985, in uno scandalo di grandi opere e finanziamenti alla politica che anticipava Mani Pulite: la vittima più celebre fu Pietro Longo, il segretario del Psdi, che perse la poltrona e si ritrovò poi per cinque mesi a Rebibbia con una condanna definitiva. Perotti senior dovette lasciare la Cassa, pur respingendo le accuse di concussione. Dopo un mese di cella è tornato a casa. E che casa: una villa che domina Firenze, usata pochi mesi fa per girare lo spot di un marchio di calze interpretato da Julia Roberts.
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La dimora con vista sulla cupola di Brunelleschi non è l'unico lascito che Massimo Perotti ha consegnato all'erede Stefano, protagonista assieme a Ercole Incalza dell'ultima retata. In un ventennio di appalti il babbo aveva intessuto rapporti con tutti i signori delle infrastrutture, un capitale senza prezzo, trasmesso integralmente al rampollo. Lo racconta la moglie di Perotti junior, parlandone al figlio Philippe, destinato a essere il terzo della dinasty: «Tuo padre sì si è sposato a 23 anni, a 24 ha dato la tesi a 25 aveva appena appena iniziato a lavorare. Come  te, uguale. E  non aveva fatto un cazzo nella vita. Aveva avuto tanto da suo padre, perché aveva avuto già una casa, il permesso di sposarsi senza guadagnare però nient'altro».

Eccolo, il modello dominante dell'Italia di sempre: il merito non esiste, contano le relazioni, conta essere dentro il giro importante, dimostrare la fedeltà a una consorteria. «Per cui  tu non devi pensare: “Io oggi non sono come papà”... Perchè che tu ti devi paragonare con i soldi che fa  papà è questo che sbagli Philo... Perchè papà oltretutto se guadagna bene e tanto e anche perchè  ci sono state delle coincidenze. Papà è bravo...  però ha avuto delle coincidenze fortunate di entrare nel mondo della politica grazie a suo padre... okay? Grazie ad un certo giro di politica... lavori pubblici  eccetera  che  non è detto che  in futuro sarà sempre  uguale a come  è stato fino adesso...».

Il passaggio dinastico è simile anche per Giovanni Li Calzi, figlio dell'architetto rosso di Tangentopoli. Il padre Epifanio ebbe un posto in pole position: fu Mario Chiesa ad accusarlo nel primo verbale firmato a San Vittore. Progettista di grido, ex assessore ai Lavori Pubblici delle giunte di sinistra della Milano da bere, alla fine di febbraio 1992 Epifanio Li Calzi fu chiamato a sostituire proprio il “mariuolo” Chiesa come direttore dei lavori dell'ospedale Sacco. L'incarico durò poco: è entrato in carcere come collettore del Pci-Pds nella spartizione metropolitana. Era già stato indagato quattro anni prima, nello scandalo delle “Carceri d'oro” e poi assolto. Dai processi di Mani Pulite invece esce grazie alla prescrizione. E torna in affari.

Con il figlio Giovanni Li Calzi crea la InAr, che macina appalti in Lombardia e nel mondo: costruiscono i padiglioni degli ospedali in Brianza e nel Sud Sudan. Creano anche una fondazione per promuovere l'architettura sociale. Ormai il suo passato rosso è dimenticato e gravita nell'area ciellina, la stessa del ministro Maurizio Lupi ma soprattutto del Celeste Roberto Formigoni che dal Pirellone domina la Regione. Li Calzi senior è morto l'anno scorso, quando il quarantenne Giovanni – come dimostrano le intercettazioni del Ros che lo hanno fatto finire nel registro degi indagati – è ormai pienamente inserito nel sistema di potere.

Una grande differenza tra padri e figli è l'orientamento politico. La prima generazione aveva referenti chiari nei partiti. Perotti era considerato uomo del Psi, Li Calzi del Pci anche se gli atti giudiziari li descrivono come maestri nell'applicare il manuale Cencelli alla spartizione degli appalti: sanno stare al mondo e dialogare con chiunque.

I quarantenni si sono evoluti e sembrano avere sostituito i rapporti personali alle tessere. Come Pasquale Trane, erede del leggendario Rocco ed esponente di punta della “Sinistra ferroviaria” di matrice socialista. Rocco Trane era l'ombra di Claudio Signorile, potente ministro dei Trasporti, il factotum nelle transazioni oscure. Come le mazzette sul piano aeroporti da 1350 miliardi di lire che gli fruttarono una condanna per concussione. Ma solo in primo grado. Perché la prescrizione è stata una benedizione per gli assi di denari della Prima Repubblica. Rocco Trane si è spento all'improvviso due anni fa, mentre partecipava al meeting di Rimini di Comunione e Liberazione: un altro indizio di come si sia spostato il baricentro degli interessi. Ma il giovane Pasquale è rimasto lungo gli stessi binari: sempre treni, anche se ad alta velocità. Per i quali adesso è sotto inchiesta.

Nel settore di famiglia si è radicato un altro nome da amarcord: Giovanni Paolo Gaspari, nipote di quel Remo entrato negli annali come il “cementificatore d'Abruzzo”. Lo zio è stato un pilastro della Dc, al governo per quasi trent'anni; il giovane subito dopo la laurea è entrato alla Comunità europea, due anni dopo era all'Eni. Nel 1994 è direttore finanziario della Tav e dal 2001 con Pietro Lunardi si installa al dicastero delle Infrastrutture, come consigliere del ministro, incarico che ha mantenuto ancora oggi passando indenne attraverso i cambiamenti di maggioranza. È sua la frase intercettata che per i pm incastra Ercole Incalza: «Ercolino… è lui che decide i nomi… fa il bello e il cattivo tempo ormai là dentro…o dominus totale».

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