Angelo Provenzano è diventato, per fare soldi, un'attrazione per gli americani che arrivano in Sicilia e vogliono immergersi nelle atmosfere del Padrino. E una vecchia intercettazione di una discussione col fratello spiega cosa significa avere il boss dei boss come padre

L'attrazione per i turisti americani che pagano un viaggio di andata e ritorno per la Sicilia, anzi per Corleone, è diventato Angelo Provenzano, 39 anni, figlio del vecchio capomafia Bernardo Provenzano. Gli Yankees sono ancora legati alle immagini del film il Padrino. Immagini che raccontavano di don Corleone e del clan siciliano.

Oggi un tour operator sfrutta quel mito grazie anche al fatto che il punto finale della visita guidata a Palermo è proprio Corleone, dove i turisti incontrano personalmente la star, Angelo Provenzano, ingaggiato dalla società americana. E lui racconta a modo suo la mafia, la sua vita e la latitanza del padre.

Scelte personali che hanno il solo scopo di fare soldi.

A sei mesi dall'arresto di Bernardo Provenzano i poliziotti avevano registrato un'interessante conversazione fra i figli del boss Angelo e suo fratello Paolo. È il 28 settembre 2005 e gli agenti ascoltano i due fratelli, mentre chiacchierano in una cabina della motonave La Suprema, il ferryboat che da Palermo li porta a Genova. Paolo sta trasferendo tutte le sue cose in Germania dove in quel momento si trasferiva per un periodo di insegnamento, ed ha chiesto al fratello di guidare con lui un’auto piena zeppa di bagagli.
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È una conversazione importante che alla luce del risvolto “turistico” di Angelo Provenzano è utile ricordare per analizzare la vita dei due ragazzi e della loro madre. Per comprendere che rapporto avevano con il padre, durante la latitanza. Questa intercettazione l'avevamo riportata per la prima volta nel libro “I Complici” scritto con Peter Gomez, in un capitolo che raccontava proprio di “due fratelli in barca”.

Il rumore della sala macchine è un cupo ronzio confuso, i due figli del boss stanno cenando. Sul tavolino pieghevole di formica c’è il cibo che Saveria, loro madre, ha preparato a casa. I ragazzi lo guardano e pensano che nelle ultime settimane le incomprensioni in famiglia sono aumentate.

Le tensioni sono ormai evidenti: a zio Simone, il fratello di Binu che li ha allevati in Germania, è stato persino vietato di entrare in casa quando Saveria è sola. Ha fatto troppe domande che non doveva, anche sull’operazione alla prostata di suo fratello Bernardo, si è lasciato sfuggire molte parole di troppo. Ma il capo dei capi lo ha scoperto, si è adirato e ha disposto l’ostracismo nei suoi confronti. «Lo zio Simone non si lamenta. Dice soltanto che ci sono delle cose mal riportate oppure che quello [Binu] è uscito folle. Altra soluzione non ne ha», spiega Paolo.

«E le cose che sono mal riportate [secondo lui] da dove vengono? [Intende dire] che gliele andiamo a riportare male noi altri? Giusto». «O la mamma, Angelo».

Dunque zio Binu, in quelle prime settimane di autunno, è ancora lì, vicinissimo a Corleone, tanto vicino che i suoi parenti lo vanno a trovare, discutono con lui, parlano di un’abitazione che deve essere lasciata in eredità a qualcuno, riaprono vecchie ferite, solo nascoste, ma mai del tutto rimarginate.

Il suo arrivo, dopo quattordici anni di lontananza, in un nucleo familiare che ormai era riuscito a trovare da solo i propri equilibri, sta minando dalle fondamenta ogni certezza. E oltretutto Paolo, che ha solo ventitré anni e che di fatto non frequenta più il padre da quando ne aveva nove, si è dovuto confrontare con un genitore che è per lui un estraneo. Dice al fratello: «Tra l’altro, ci sono sempre state cose che a me hanno dato fastidio: perché quando lui [nel 1992] ha detto di partire [cioè di tornare a Corleone], siamo dovuti partire a prescindere da tutti nostri cazzi di problemi e nessuno se ne è mai fatto un baffo? [E anche] questa volta [quando] io sono arrivato [dal mio nuovo lavoro in Germania, era] il primo sabato [libero], va bene? E siamo dovuti andare là, siamo andati a finire là [nel suo nascondiglio]. L’interesse suo non so quale sia. Io non vedo interesse in un colloquio, in un dialogo con lui: almeno personalmente con me non c’è mai stata una cosa del genere. [...] Quando mi dovevo laureare [nel marzo del 2005] e dovevo fare l’ultimo esame, non gliene è fottuto a nessuno se io potevo avere i miei problemi e invece dovevo andare a fare la bella statuina da lui. Perché poi io vado a fare [solo quello] da lui. Tu [Angelo] bene o male, sei sempre stato più coinvolto, ma io da lui ho sempre fatto la bella statuina, fin da piccolo».

Il doloroso sfogo sul difficile rapporto con un padre latitante (nel vero senso della parola) va avanti per cinque minuti buoni.

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La cabina della motonave si riempie di risentimenti, di recriminazioni, di frasi che forse Paolo vorrebbe non aver mai pronunciato. Poi il fratello maggiore lo interrompe: «Paolo, vuoi sapere come la penso? Lui nel posto dove si trova ci si è davvero trovato per caso». «E io dovrei essere contento di una cosa del genere? Io devo essere contento che le cose succedano per caso? Io devo essere contento che ora si sta ricostituendo questa sorta di unione [familiare]… per caso! Anzi no, io lo chiamo caso e lui la chiama invece volontà di Dio [...] e poi neanche te lo ammettono che è per caso, Angelo».

«No, assolutamente perché…». «[Pensa di aver fatto per noi] tutte cose, lui. [Papà continua a ripetere:] “ora ti racconto di quando [io e gli zii] eravamo piccoli”. [Dice] che suo padre gli dava le bastonate e che lui a nove anni se ne andava a vendere i [parola incomprensibile], e invece noialtri [abbiamo avuto tutto]. [Ma] quando ti [fa] la domanda: “Ti è mai mancato niente?” [si può] mai aspettare una risposta positiva? [Perché la fa,] perché cerca sicurezza? [...] Mi dispiace [dirlo], mi dispiace».

Angelo non lo contraddice, ma invita a riflettere. In famiglia, come in ogni famiglia, tutti hanno le loro colpe, le loro responsabilità. Ce l’ha Saveria, loro madre, «che ha subito tutte le decisioni, che non ha mai avuto il coraggio di dire: “questa cosa mi piace, questa cosa non mi piace, facciamola così, facciamola colì”». E ce le hanno anche loro, perché in casa Provenzano «hanno subito tutti».

«Se poi ci sono anche delle responsabilità personali questo è un discorso. [Lo possiamo] addossare al destino, alla volontà di Dio... [Ma] i dati di fatto sono che noi abbiamo subìto tutta una serie di situazioni e le continuiamo a subire. Non ci si può né ribellare né provare ad aggiustare la croce per portarla con comodo. [Io] non l’ho mai detto a nessuno, [...] ma quanti si sono resi conto che la situazione, che abbiamo vissuto noi, è addirittura peggiore di avere un padre morto?».

Quante domande, quanti interrogativi senza risposta. «[Stiamo vivendo] cose assurde, Angelo. O assurdo sono io. Boh, mi piacerebbe tanto saperlo certe volte. Mi piacerebbe veramente cominciare a capire la vita come va… e se continua così». «Quando ci sveglieremo e lo avremo capito avremo settanta anni ciascuno, Paolo, e sarà troppo tardi».

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