Sono i temi più dibattuti del momento, cause di polemiche e liti. Li abbiamo analizzati uno per uno

PERICOLOSISSIMI VACCINI
Era il 1998 quando Andrew Wakefield confezionava la sua truffa, spingendo il piede sull’acceleratore nella nascita dei movimenti contro i vaccini. In quell’anno il medico inglese consegnava alla prestigiosa rivista Lancet uno studio nel quale sosteneva una correlazione tra somministrazione del vaccino trivalente contro morbillo, parotite e rosolia (Mpr) e autismo. Tutto falso: si trattava di una mera frode, orchestrata dietro compenso per sostenere i risarcimenti nelle cause dei genitori contro i produttori dei vaccini e per favorire la diffusione di vaccini separati (non trivalenti, come quello sotto accusa) brevettati dallo stesso Wakefield.

Lui, il medico inglese, venne radiato dall’albo e il suo studio ritirato e malgrado la comunità scientifica abbia più volte ribadito che non esiste nessuna correlazione tra autismo e vaccino trivalente (e più in generale con nessun vaccino dell’infanzia), le credenze generate dal caso sono tutt’oggi dure a morire. Lo dimostra il dilagare delle campagne contro i vaccini e il ritorno del morbillo negli Usa, dove era stato eliminato nel 2000, e lo dimostra il calo di vaccinazioni in Italia, dove nel 2013 si è registrato il più basso tasso di vaccinazioni obbligatorie degli ultimi dieci anni.

In calo anche quelle consigliate, come quella per il morbillo. È di pochi giorni fa la notizia della bimba non vaccinata morta per un’encefalite da morbillo e il nostro paese - tra i più colpiti dalla malattia tra il 2014 e 2015 in Europa - è lontano dal raggiungimento degli obiettivi di copertura vaccinale necessaria a bloccare la circolazione del virus alla fine del 2015 dal Vecchio continente, come auspicato dall’Organizzazione mondiale della sanità.
 
VANNONI E LE STAMINALI DEI MIRACOLI
Ictus, sclerosi multipla, leucodistrofia metacromatica, morbo Parkinson, lesioni spinali e sclerosi laterale amiotrofica sono solo alcune delle condizioni neurologiche che il metodo Stamina prometteva di curare, con una ricetta alquanto semplice e senza basi scientifiche: prelievo delle cellule staminali mesenchimali dal midollo osseo del paziente e re-infusione dopo la presunta (e dubbia, per la comunità scientifica) trasformazione in neuroni.
[[ge:espresso:plus:ebook:1.165120:article:https://espresso.repubblica.it/plus/ebook/2014/05/13/news/stamina-connection-1.165120]]
Ideatore del metodo Stamina (in realtà importato dall’Ucraina) Davide Vannoni, una laurea in lettere e filosofia e una cattedra di psicologia a Udine. Dopo i primi periodi passati a somministrare le sue cellule in uno scantinato torinese e un centro estetico a San Marino, Vannoni arriva al Burlo Garofolo di Trieste e quindi agli Spedali Civili di Brescia.

Nel maggio del 2012 però l’Aifa blocca la somministrazione delle staminali, giudicando inadeguati i laboratori di Stamina e sospende i trattamenti ai pazienti. Complice la visibilità offerta dalla tv, i trattamenti però continuano a essere applicati, anche grazie alle ordinanze di alcuni giudici del lavoro, tra lo sdegno unanime della comunità scientifica che ribadisce l’assenza di prove scientifiche a sostegno del metodo. La spinta mediatica apre le porte a una sperimentazione clinica, sospesa in seguito ai pareri negativi di ben due comitati scientifici chiamati a giudicare il metodo. Vannoni, indagato per associazione a delinquere finalizzata alla truffa ed esercizio abusivo della professione medica, tenta quindi di porre fine alla vicenda avanzando richiesta di patteggiamento (la decisione, in tal proposito, è attesa per il 18 marzo).  
 
L'AQUILA: SCIENZIATI COLPEVOLI, ANZI NO
Una scossa di magnitudo 6,3 nella notte del 6 aprile 2009 causa 309 vittime a L’Aquila, oltre 1600 feriti e lascia senza casa 65 mila persone. Di chi furono le responsabilità di un bilancio così infausto? Degli scienziati che nei mesi precedenti il sisma avevano rassicurato la popolazione, trasmettendo informazioni “inesatte, incomplete e contraddittorie”. Così almeno si espressero i giudici al processo di primo grado nei confronti dei membri della Commissione Grandi Rischi, che si riunì sei giorni prima del sisma, nella tristemente famosa riunione del 31 marzo 2009, per rispondere ai timori della popolazione.

Furono giudicati colpevoli (condannati a sei anni per omicidio e lesioni colpose) di leggerezza: sì, i terremoti non si possono prevedere (che ne dicesse Giampaolo Guliani), ma gli scienziati avrebbero comunque inciampato in errori di comunicazione. Ovvero, invece di prevedere e prevenire il rischio, rassicurarono la popolazione, laddove invece la condizione predominante era l’incertezza.
[[ge:espresso:attualita:1.187391:article:https://espresso.repubblica.it/attualita/2014/11/10/news/terremoto-l-aquila-scienziati-tutti-assolti-ecco-perche-e-una-sentenza-giusta-1.187391]]
La sentenza del processo di primo grado creò non poche polemiche, soprattutto tra la comunità scientifica che riteneva ingiusto attribuire la colpa dell’accaduto al lavoro degli scienziati. E così ritenne la corte d’appello dell’Aquila, che lo scorso novembre ha ribaltato la sentenza di primo grado assolvendo sei (scienziati) dei sette membri della Commissione Grandi Rischi (Giulio Selvaggi, Franco Barberi, Enzo Boschi, Mauro Dolce, Claudio Eva, Michele Calvi) e riducendo la pena a Bernardo de Bernardinis della Protezione Civile. Contro la decisione è stato appena depositato il ricorso in Cassazione. 
 
NIENTE OGM SUL SUOLO ITALIANO (MA BEN VENGANO DALL'ESTERO)
Che ognuno faccia per sé, decidendo o meno se coltivare organismi geneticamente modificati sulla propria terra. Così ha deciso, lo scorso gennaio, il Parlamento europeo in materia di coltivazioni geneticamente modificate (e l’entrata in vigore della nuova norma è attesa proprio per questa primavera). Totale libertà dunque ai singoli stati membri, che potranno dire “no” già durante le fasi di approvazione di nuovi organismi geneticamente modificati.

L’Italia è così autorizzata a proseguire la tradizione di vietare le colture transgeniche sul suolo della penisola. Lo ha fatto nel 2013 con un decreto che proibiva la coltivazione del mais ogm sul territorio italiano (mais Mon810 della Monsanto); prorogato per ulteriori 18 mesi lo scorso 23 gennaio e ribadito, per così dire, dalla decisione del Consiglio di Stato, che a febbraio ha respinto il ricorso dell’imprenditore agricolo Giorgio Fidenato, che voleva coltivare mais gm in Friuli Venezia Giulia.
[[ge:espresso:opinioni:satira-preventiva:1.183141:image:https://espresso.repubblica.it/polopoly_fs/1.183141.1412671730!/httpImage/image.jpg_gen/derivatives/articolo_480/image.jpg]]
Le ragioni? Sempre le stesse: questa coltura minerebbe la biodiversità delle specie del nostro paese. Ma le tesi di chi si dice contrario alle colture transgeniche si ripetono ormai da anni: metterebbero a rischio anche la tipicità dei nostri prodotti, la tradizione delle nostre colture, senza contare il rischio di omologazione. Il tutto condito di vaghe allusioni alla dubbia sicurezza alimentare degli ogm. Finora però di prove che le coltivazioni transgeniche siano più dannose per l’ambiente o la salute di quelle tradizionali non ce ne sono e i nostri prodotti “tradizionali”, dai salumi ai formaggi, provengono da animali alimentati da mangimi contenenti ogm, come la soia. L’innovazione, in Italia, preferiamo importarla.
 
QUELL'INUTILE SPERIMENTAZIONE
Siamo arrivati tardi, consegnando per ultimi il compito e uscendo anche fuori tema. La “consegna” è quella della nuova norma sulla sperimentazione animale, che l’Italia ha confezionato appena un anno fa, in ritardo rispetto al resto degli stati membri sul recepimento della direttiva europea 63/2010 per la “protezione degli animali utilizzati a fini scientifici”.

La norma sulla sperimentazione animale che ne è uscita è, a detta degli scienziati, una legge fin troppo restrittiva ai fini della ricerca e a tratti anche paradossale. La nuova legge introduce, dal 2017, il divieto di utilizzare animali per gli xenotrapianti (trasferimento di organi da una specie all’altra) o di effettuare test sugli effetti delle sostanze stupefacenti, complicando la strada delle ricerche che si occupano di sviluppare organi artificiali, testare l’efficacia di nuovi farmaci antitumorali e di studiare le tossicodipendenze.

Ma non è tutto: secondo le nuove disposizioni, è vietato allevare su territorio italiano cani, gatti e primati non umani da destinare alla ricerca scientifica, senza però vietare che questi possano essere utilizzati, giungendo dall’estero (un po’ quello che facciamo con gli ogm), con aumento dello stress per gli animali stessi e innalzamento dei costi. Una legge che accontenta (ma solo in parte) il fronte animalista che, secondo alcuni esperti, spera così di rendere talmente difficile fare sperimentazione animale in Italia da costringere gli scienziati a portare le loro ricerche all’estero. Ma sappiamo che i modelli animali sono ancora necessari alla ricerca biomedica.