
Prudente, sempre una radio accesa in ufficio, musica italiana, cantautori, Claudio Baglioni, rilassa e protegge le conversazioni, non si sa mai. Permaloso, occhio a quello che si scrive di lui, non replica con lettere e telefonate ma se lo ricorda dopo mesi di distanza: «Lei mi ha paragonato a Antonio Conte imitato da Crozza. Un’immagine ag-ghiac-cian-te!». E sì che con l’attuale ct della nazionale condivide la fede juventina e la funzione: il commissario. A Conte è toccata la Nazionale dopo il disastro dei mondiali brasiliani, a lui toccherà il commissariamento di Roma alla vigilia delle prove più difficili. I prossimi sviluppi dell’inchiesta Mafia Capitale che angosciano i palazzi del potere romano. E il Giubileo di papa Francesco che si annuncia da numeri record e ad altissimo rischio terrorismo.
Franco Gabrielli, 55 anni, toscano di Viareggio, è stato nominato una settimana fa prefetto di Roma dal governo Renzi dopo una carriera tutta in ascesa, dalla Digos e dall’anti-terrorismo alla guida del Sisde (il servizio segreto civile, oggi Aisi) alla protezione civile del difficile dopo-Guido Bertolaso. In una città che vive in un clima di surreale sospensione. Nell’attesa di una Tangentopoli romana, con gli stessi meccanismi di quella milanese. Nel 1992 tra l’arresto di Mario Chiesa e le prime manette per i politici passarono tre mesi. Sembrava un cataclisma locale e invece venne giù la Prima Repubblica. A Roma, quattro mesi dopo l’inizio di Mafia Capitale, è ripartito il tam tam. La paura irrazionale di nuovi arresti. Liste di nomi che circolano incontrollabili.

Notti da incubo per la classe politica capitolina, per un’ondata che potrebbe coinvolgere la regione Lazio presieduta da Nicola Zingaretti e la giunta comunale del sindaco Ignazio Marino. Due importanti esponenti del Pd sotto attacco della destra: Francesco Storace si esibisce nelle profezie e passa alle conseguenze politiche con richiesta di dimissioni per il presidente della regione. E poi il municipio di Ostia commissariato, con il mini-sindaco del Pd Andrea Tassone costretto a lasciare. Giornalisti sotto scorta (Federica Angeli di “Repubblica”), omertà, il litorale romano che sembra uscito da un capitolo di Gomorra.
Il vulcano Roma sembra sul punto di esplodere, alla vigilia dell’Anno Santo che rappresenta per l’Italia un’occasione da non perdere, soprattutto se il risultato dell’Expo di Milano dovesse essere inferiore alle previsioni.
Per prevenire il botto alla vigilia di Pasqua Matteo Renzi ha accelerato la nomina di Gabrielli a prefetto di Roma. Una scelta gradita e perfino caldeggiata da Marino. Ma che nei fatti si tradurrà in un commissariamento del sindaco. In una capitale che negli ultimi mesi ha vissuto un commissariamento dopo l’altro. Il Pd, il partito più forte, è commissariato, dal presidente del Pd Matteo Orfini, e i suoi vertici sono stati azzerati. Nella giunta Marino l’uomo forte è un ex magistrato, l’assessore alla Trasparenza Alfonso Sabella, in crescita di popolarità al punto da impensierire il sindaco, denuncia «la macchina amministrativa fuori controllo» e i burocrati sensibili alla corruzione più dei politici. E c’è la sentinella della legalità venuta dal Sud che sorveglia dal tribunale di piazzale Clodio, il procuratore capo Giuseppe Pignatone.

Il primo sponsor si chiama Renzo Lusetti, deputato di lungo corso con una carriera tutta democristiana. Nel 1982 è un ragazzo di 24 anni, allievo a Reggio Emilia del futuro cardinale Camillo Ruini, già impegnato nel movimento giovanile della Dc, si trova in vacanza a Cinquale, provincia di Massa Carrara, gli hanno parlato bene del quasi coetaneo Gabrielli, lo va a trovare. Fanno amicizia, è l’anno dei Mondiali di Spagna, la finale la vedono insieme a casa di Gabrielli, festeggiano con Sandro Pertini che si sbraccia nel teleschermo. Due anni dopo si giocano la loro partita, conquistare la leadership dei giovani democristiani che non celebrano un congresso da anni. Congresso combattutissimo, a Maiori, sulla costiera amalfitana. Candidati sono Lusetti, Luca Danese (nipote di Giulio Andreotti) e il veneto Mauro Fabris (futuro capogruppo dell’Udeur di Mastella). Vince il demitiano Lusetti, dopo giorni di risse. A un certo punto fanno irruzione i carabinieri, richiamati dalle urla di alcuni delegati che protestano per le liste manipolate. A rassicurarli che è tutto in ordine c’è il giovane viareggino che sarà capo della Digos di Roma e del servizio segreto civile.

Gabrielli è l’organizzatore della squadra di Lusetti, il capo staff. Il regista di alcune trovate ad effetto: la crociera Giò-Boat a bordo dell’Achille Lauro. Le cene di autofinanziamento con il segretario della Dc De Mita. Le bibbie portate a Mosca di nascosto. Nel gruppo ci sono l’avvocato di Ferrara Dario Franceschini, il responsabile dei rapporti con i giovani democristiani europei Enrico Letta, il giovanissimo Angelino Alfano, figlio del vice-sindaco di Agrigento. Nomi che Gabrielli ritroverà nella sua second life da alto funzionario dello Stato. Ma tra gli amici di quel tempo mai persi di vista il più influente è ora il pisano Simone Guerrini, successore di Lusetti alla guida dei giovani della Dc alla fine degli anni Ottanta. Dopo una carriera alle relazioni istituzionali di Finmeccanica, oggi è consigliere ascoltatissimo e braccio destro di Sergio Mattarella al Quirinale.
Anche per Gabrielli poteva spalancarsi una carriera politica di alto livello, deputato, ministro. Se non fosse per quell’altra passionaccia. Quell’altra ambizione. Comandare, controllare, conoscere. «Se vinco il concorso mollo tutto e faccio il poliziotto», aveva avvisato gli amici di corrente.
Nel 1990 lascia la politica e entra in polizia. A Imperia e poi a Firenze, nel 1993, l’anno della strage di via dei Georgofili. Un segugio. Un culo di pietra che lavora maniacalmente per intrecciare informazioni, dati, schede telefoniche, numeri di cellulare. Alla guida dell’anti-terrorismo dopo mesi di indagini sgomina le cellule dormienti delle nuove Brigate rosse che hanno assassinato Massimo D’Antona e Marco Biagi.
Un’operazione che gli vale il primo scatto di notorietà e poi il grande balzo, la nomina alla guida del Sisde nel 2006. A designarlo è il secondo governo Prodi, a Palazzo Chigi il sottosegretario competente è Enrico Letta con cui i rapporti di amicizia non si sono mai interrotti.
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Gabrielli si muove per crearsi una base di potere, rapido, spregiudicato, forse troppo. Dura poco, due anni dopo il governo Berlusconi lo elimina. A richiamarlo in servizio è un altro Letta, Gianni, nel momento più drammatico, il giorno del terremoto dell’Aquila, il 6 aprile 2009, diventa prefetto della città devastata. Poche ore dopo è in campo a coordinare i soccorsi. Con il capo della protezione civile Guido Bertolaso, di dieci anni più anziano, sono vite parallele: tocca a Gabrielli sostituirlo alla protezione civile quando l’uomo in giubbotto scivola nelle inchieste sulla Cricca. E tra qualche mese spetterà a lui gestire il Giubileo straordinario, come fece Bertolaso nel Duemila.
C’è chi fa notare che Gabrielli è un anti-Bertolaso per modalità comunicative, via le magliette dentro la giacca e la cravatta e soprattutto via le deroghe e le emergenze e ritorno al rispetto formale delle regole, ma in realtà i due si assomigliano per un certo piglio autoritario, per l’uso dei media, per la considerazione di sé, per la tenacia con cui costruiscono la loro immagine e il loro successo.
L’esperienza dei due anni arrembanti alla guida del Sisde è servita, oggi Gabrielli è più attento a gestire la sua scalata. «La Concordia gli ha cambiato la vita», racconta un suo amico. In quei trenta mesi all’isola del Giglio ha assaporato la potenza della comunicazione, una conferenza stampa ogni due ore nei momenti clou per dimostrare l’esistenza dello Stato nella procedura di rimozione della nave affidata ai privati, e si è fatto scoprire da Renzi con cui aveva avuto una violenta polemica nel 2010 quando una nevicata a Firenze aveva spezzato in due la penisola. L’amicizia con Letta poteva consegnarlo a un destino da rottamando. Invece il premier stravede per lui, al punto da sceglierlo per la missione più delicata: Roma.
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Roma vacilla. Roma trema. Roma viene giù. Roma è un pozzo di veleni senza fondo. La prima fase dell’inchiesta Mafia Capitale ha puntato sugli uomini legati alla giunta Alemanno e alla destra post-fascista, ma gli ultimi sviluppi giudiziari toccano il Pd che governa il Comune e la Regione.
Nell’ultima settimana in Regione si è dimesso il capo di gabinetto di Zingaretti Maurizio Venafro, uomo-chiave per venti anni dei governi locali del centrosinistra. E a Ostia è saltato il presidente del X municipio Tassone: non è una vicenda locale perché nel Pd è scattata la caccia ai dossier, molto ambito e ricercato quello sui voti di preferenza raccolti dai singoli candidati nelle tre competizioni elettorali di fine 2012-inizio 2013. Le parlamentarie, le primarie per scegliere i candidati del Pd alla Camera e al Senato. Le elezioni regionali del febbraio 2013. Le elezioni comunali di maggio. È tutto da dimostrare uno scambio di favori e di voti. Ma i riscontri dell’inchiesta Mafia Capitale raccontano di una classe politica, di destra e di sinistra, asservita ai boss locali. Un inquinamento degli appalti che arriva fino ai piani alti. Nella Capitale il marcio arriva a sfiorare il potere nazionale.
Al prefetto di Roma, per un vuoto normativo della legge Severino, spetta un campo di intervento che va ben al di là del raccordo anulare. Poteri di commissariamento sulle opere pubbliche decise a Roma, come il Mose o l’alta velocità, poteri di sanzione su casi di omessa trasparenza e di conflitti di interessi.
In più, è in arrivo il Giubileo che non richiederà grandi opere pubbliche ma un’azione minuziosa e capillare sul tessuto della città. Gabrielli lo sbirro è pronto a esercitare fino in fondo i suoi super-poteri. Figura centaura, a cavallo tra la politica e gli apparati di sicurezza, più che a un Bertolaso di era renziana assomiglia a quello che fu il prefetto Vincenzo Parisi nel passaggio tra la Prima e la Seconda Repubblica: l’uomo che custodiva i segreti, il capo della polizia, che è la poltrona più desiderata da Gabrielli. Ma prima ci sarà da gestire il terremoto di Roma.