Andrea Ranieri, ex senatore Pd, scenderà in piazza il 5 maggio con i sindacati. «Questa riforma è un arretramento culturale, altro che rivoluzione: e vi spiego perché»

“Il governo faccia marcia indietro: bisogna instaurare un dialogo col mondo della scuola, col decisionismo non si attuano buone riforme”.  Andrea Ranieri – ex senatore Pd, ex assessore della cultura a Genova, civatiano ed attuale membro della direzione nazionale del partito – è pronto il 5 maggio a scendere in piazza coi sindacati. Contro il governo Renzi e il disegno di legge sulla buona scuola. Nel Pd è battaglia aperta. “Tra l’altro in Liguria sosterrò Pastorino, non Paita (la candidata nazionale del Pd, ndr). Chissà, forse a breve mi butteranno fuori dalla direzione” ride Ranieri. Poi torna serio: “Il provvedimento va modificato, sulla scuola non si scherza”.

Eppure il ministro Stefania Giannini ha bollato come “squadristi” i contestatori di Bologna…
"Non mi concentrerei sul singolo episodio, qui l’intero mondo della scuola sta criticando questo ddl. Non convince nessuno, soprattutto chi la scuola la vive quotidianamente. Nei giorni scorsi è uscito un documento siglato da sindacati, studenti, insegnanti, associazioni, si stanno mobilitando tutti: dalle componenti maggiormente restie alla protesta, vedi Azione Cattolica, a Libera, Legambiente e gli altri soggetti che costruiscono veramente la “buona scuola”, dal basso, con le proprie battaglie per la legalità e la democrazia. Lo sciopero del 5 maggio sarà una giornata significativa e partecipata, le adesioni aumentano di giorno in giorno. Il premier Renzi ha rivitalizzato il sindacato: in un momento di forte crisi della rappresentanza, alle ultime elezioni delle Rsu ha votato l’80 per cento dei docenti.  Se le critiche sono così diffuse qualcosa vorrà dire, o no? Il governo faccia marcia indietro."

L’esecutivo insiste sulla portata “rivoluzionaria” del provvedimento. Non era necessario introdurre un principio di meritocrazia nel nostro sistema scolastico?
Ma quale portata rivoluzionaria, è un arretramento culturale: la buona scuola è cooperazione didattica, scambio reciproco, verifica dei saperi, percorsi interdisciplinari, formazione permanente, contrasto alla dispersione scolastica. Non c’è traccia di questo nel ddl. Tra l’altro la parola “meritocrazia” non mi piace. Preferisco “capacità”. Gli essere umani sono diversi, le intelligenze variegate e la scuola ha il compito di far emergere, senza gerarchie, le varie capacità di ognuno per una scuola inclusiva che non lasci nessuno indietro. Nel testo non si spende una riga, ad esempio, nemmeno su quello che tutte le indagini, nazionali e internazionali, individuano come il maggior problema della scuola italiana: è la più diseguale d'Europa, quella in cui i rendimenti scolastici dipendono più che in ogni altro Paese, dalle condizioni socioeconomiche della famiglia.

Uno dei fulcri del provvedimento è la maggiore autonomia della scuola, dove emerge la figura del preside-manager. Qual è il suo giudizio in proposito?
E’ sbagliato concentrare, in maniera verticistica, il potere decisionale nelle mani del dirigente scolastico. I presidi diventeranno i proprietari del plesso scolastico con la facoltà arbitraria di scegliere e valutare gli insegnanti meritevoli. Senza criteri oggettivi, i docenti entreranno in un farsesco clima di competizione tra loro come se il processo di apprendimento fosse una gara. In una logica tutta aziendalista, assisteremo al comando assoluto di un uomo solo e al contemporaneo svuotamento degli organi collegiali relegati ad una residuale funzione consultiva. In futuro ci sarà un preside guardiano dell’autonomia, sopra direttamente il ministero. Il mondo della scuola non può funzionare così.

Non trova però necessario ritoccare gli organi collegiali?
Certamente, ma non in questo modo. Il ddl si occupa di alcune misure emergenziali, mentre le riforme strutturali – organi collegiali, diritto allo studio, rapporto scuola/università, formazione docenti – sono  affidati a decreti delegati. Il governo farà per conto suo, esautorando ancora una volta il Parlamento. Uno stacco di dignità.

Siamo ad una torsione autoritaria del governo Renzi?
Le riforme dell’esecutivo, dall’Italicum al preside-manager, sono improntate sul criterio di un forte decisionismo. Al contrario, le esperienze scolastiche più virtuose si sono ottenute negli anni dove si sono costruite reti territoriali, rapporti orizzontali con gli enti locali e di prossimità.

Veniamo da anni di tagli drastici alla scuola, il governo rivendica di esser andato in controtendenza e di aver stanziato sette miliardi tra edilizia e riforma. Non è un dato trascurabile.
I fondi previsti non sono ancora sufficienti: manca un piano nazionale di investimento, la scuola pubblica serve a tutti. E la maggior parte delle risorse servirà per stabilizzare i precari dato che esiste una sentenza della Corte europea che costringe l’Italia ad agire in tale direzione. Poi rimangono incredibilmente i soldi per le scuole private parificate…

Secondo lei il governo riuscirà a stabilizzare i 150mila precari della scuola come richiesto dall’Europa?
Non credo, si parla di un massimo di 107mila stabilizzazioni. Inoltre si mettono i docenti gli uni contro gli altri, non si prevede un serio piano di assunzioni per gli insegnanti che in questi anni hanno maturato esperienza e scatti di anzianità. Il governo tampona l’emergenza ma non pone una reale soluzione al dramma della precarietà.

Il governo si giustifica spiegando che con la crisi economica la coperta è troppo corta per poter accontentare tutti…
Dobbiamo puntare strategicamente sulla formazione e invece stanziamo per la scuola quasi la metà delle risorse rispetto agli altri Paesi d’Europa. La questione è politica. Il premier Renzi dovrebbe battersi a Bruxelles per sganciare l’istruzione dal Patto di stabilità, fino ad un incremento pari al 6 per cento del nostro Pil.