Succede a Rimini: durante i controlli fiscali l'Agenzia delle Entrate ha costretto delle lucciole a "regolarizzare" gli incassi. Prendendo a modello tre sentenze della Cassazione. Che sia un lavoro da tassare dunque è un principio passato per la giurisprudenza. Ma non per il Parlamento. Che ha al vaglio dieci disegni di legge
Dove hanno fallito decenni di battaglie politiche e gruppi di pressione, potrebbe riuscire la fame atavica del Fisco italiano: superare la legge Merlin. Rendere la prostituzione un lavoro lecito, riconosciuto e regolamentato. La strada verso lo “sdoganamento” del mestiere più antico del mondo è lunga e lastricata di sentenze della corte di Cassazione, ma l'ultimo capitolo l'ha scritto l'Agenzia delle Entrate di Rimini.
Come? Obbligando quattro prostitute locali ad aprire la partita Iva e pagare le tasse dovute per i redditi da professioniste dei “servizi alla persona”. Una di loro – una escort “a fine carriera” che riceve in casa - si è vista recapitare una cartella esattoriale da 21.900 euro su un reddito da 24.700, percepito nel 2011. L'Agenzia delle Entrate non conferma né smentisce la notizia. Ma l'avvocato della donna, Marco Lunedei, spiega come a far drizzare le antenne al Fisco siano stati un regolare contratto di affitto e l'acquisto di una Mercedes da 35.000 euro. Un po' strano, per una cittadina che prima di allora non aveva mai dichiarato un euro. Lì è partito l'accertamento sul conto corrente. E ogni versamento è stato considerato come un provento.
“Le tasse vanno pagate, e su questo siamo d'accordo – spiega all'Espresso l'avvocato Lunedei – ma ci devono spiegare in che modo: è assurdo che alla mia assistita si contesti di non aver tenuto la contabilità, visto che non esiste un regime fiscale pensato per la sua professione”.
In poche parole, chi esercita il mestiere di escort – in casa o per strada – deve aprirsi una posizione fiscale e pagare le tasse. Il problema è che per aprire una partita Iva bisogna svolgere un mestiere riconosciuto dal Fisco, cui corrisponde un codice “Ateco”. La categoria che più si avvicina è proprio la più vaga, cioè quella degli “altri servizi alla persona”: vi rientrano astrologi e spiritisti, lustrascarpe, bagnini, tatuatori e molti altri mestieri, ma certo non quello della prostituta.
La escort difesa dall'avvocato Lunedei presenterà ricorso in commissione tributaria provinciale e poi, se necessario, anche in quella regionale e in corte di Cassazione. “E' giusto che un cittadino sia costretto a pagare le tasse senza che lo Stato gli fornisca gli strumenti per farlo? Vorrei che a darmi la risposta fossero i giudici della Corte. È una soddisfazione che mi voglio togliere”, spiega Lunedei.??
Se alla fine del tormentone tributario l'Agenzia delle Entrate la dovesse spuntare, il Fisco avrebbe creato un importante precedente: non solo le escort sarebbero tenute ad aprire una partita Iva, ma finalmente si saprebbe anche con quale codice dovrebbero farlo. Oggi non è così: “Se una escort mi chiedesse di regolarizzarsi e aprire una partita Iva, le risponderei che non sono nelle condizioni di aiutarla” spiega Matteo dell'Innocenti, commercialista e revisore dei conti a Pisa. “Queste persone vivono in un limbo: hanno molto contante ma non possono spenderlo, perché rischiano di incorrere nei controlli del Redditometro. Allo stesso tempo non hanno un regime fiscale cui sottoporsi. Vogliamo che paghino le tasse? Ok, però bisogna metterle in condizione di vivere nella legalità”.
Al contrario dei politici, i giudici della Cassazione non si sono posti troppi problemi a considerare quello della escort un mestiere come un altro.
Nel 2010 il Fisco mise gli occhi su una ragazza dominicana, ballerina in un night: sul suo conto corrente circolavano un po' troppi soldi rispetto allo stipendio che percepiva dal locale. Giustificandole come “elargizioni” e “donazioni”, la donna sosteneva di non dover pagare le tasse su quegli “extra”. La Cassazione, che non ha creduto alla storia delle “elargizioni”, con la sentenza 20528 le ha dato torto sostenendo che “quanto all'esercizio dell'attività di prostituta […] non vi è dubbio alcuno che anche tali proventi debbano essere sottoposti a tassazione, dal momento che pur essendo una attività discutibile sul piano morale, non può essere certamente ritenuta illecita”.
Nel 2011 ecco un'altra sentenza – la 10578 – a ribadire come la prostituzione, “seppur contraria al buon costume, in quanto avvertita dalla generalità delle persone come trasgressiva di condivise norme etiche che rifiutano il commercio per danaro del proprio corpo, non costituisce reato” e quindi assoggettabile a Iva. Una tesi confermata da
una terza sentenza, emessa nel 2013 dalla sesta sezione della Corte. ??Le prostitute devono pagare le tasse come tutti: in giurisprudenza il principio è ormai passato, tanto che la stessa Agenzia delle Entrate di Rimini ha preso come modello le sentenze che abbiamo appena elencato.
Ora resta solo un piccolo dettaglio: cambiare la legge Merlin.
Come spieghiamo nella nostra scheda, sembra che il Parlamento ci stia provando. Ma i dieci disegni di legge presentati nell'attuale legislatura stanno marcendo da mesi nelle commissioni di Camera e Senato.