Dopo gli arresti dell'inchiesta Aemilia, il clan si sta riorganizzando. Come in una grande impresa i posti di comando lasciati vuoti vanno subito riempiti. Fedelissimi, parenti e complici, sono pronti a gestire gli ordini del grande capo in carcere

Ecco chi sono le nuove leve della 'ndrangheta emiliana

Il primo maxi processo contro la 'ndrangheta emiliana è alle porte ma il romanzo criminale di questa organizzazione continua.

Gli ultimi capitoli sono ancora tutti da scrivere, perché la mafia, quando è tale, è in grado di rigenerarsi e di riempire gli spazi lasciati vuoti dai capi e dai gregari arrestati. Per questo motivo è un errore pensare che le cosche calabresi dell'Emilia siano state sconfitte.

Indizi e tracce di questa continuità si trovano nei feudi tagliati a metà dalla via Emilia. Nei santuari della 'ndrangheta imprenditrice tra Bologna, Modena, Reggio Emilia, Parma e Piacenza. Le 240 persone, quindi, indagate nell'indagine Aemilia e Aemilia bis, non sono che una parte dell'esercito di boss, fedelissimi e complici, che ha fatto di queste tranquille province un rifgugio sicuro dove concludere affari milionari.

Il capo carismatico del clan che domina in Emilia si chiama Nicolino Grande Aracri. Padrino e manager che ha imparato a conoscere i vicoli di Bologna e Reggio Emilia meglio delle strade del suo paese natale, Cutro, provincia di Crotone. Le foto lo ritraggono sorridente e sempre ben vestito, con abito blu e cravattta, sotto gli uffici di insospettabili commercialisti. Ora però è in carcere, così come i suoi storici referenti. Chi gestisce dunque quel patrimonio di relazioni e business costruito negli anni con violenza e intelligenza?

Gli ordini, come ha dimostrato il filone calabrese dell'inchiesta Aemilia, Nicolino “Mano di gomma” riesce a veicolarli anche dal carcere duro. Ma perché “l'imbasciata”, cioè la direttiva, venga applicata ci vogliono fidati sodali sul territorio. Gente capace e determinata. E qui entrano in gioco i nuovi equilibri nati nel post retata del 28 gennaio scorso. Per capire chi sono i nuovi manager della cosca bisogna andare sempre lì, nel luogo dove questa narrazione criminale ha avuto origine.

Bisogna tornare a Brescello. In questo luogo a metà tra fiction e realtà, dove anche le statue di Peppone e don Camillo guardano sbalordite il nuovo corso del paese, batte ancora forte il cuore del clan. Da qualche mese nel municipio si è insediata la commissione d'accesso per verificare eventuali infiltrazioni mafiose. La triade di commissari ha quasi terminato il proprio lavoro ma è quasi certo che richiederà al prefetto una proroga di tre mesi. Segno che di carte da studiare ce n'è sono parecchie. Da un lato lo Stato, dunque, che prova a capire quanto è forte la penetrazione, dall'altra gli uomini della 'ndrina che offrono posti di lavoro e fanno lavorare le persone del luogo con le loro aziende.

A osservare con occhio vigile da uomo libero è Francesco Grande Aracri, il fratello di Nicolino. Ha finito di scontare la condanna per associazione mafiosa ormai qualche anno fa. Saldato il conto con la giustizia, non è stato indagato nella maxi operazione, è tornato a fare l'imprenditore. In paese la sua presenza non disturba, anzi per molti è una persona recuperata, un lavoratore instancabile. Poi però tra le numerose informative dei carabinieri che hanno indagato sull'associazione emiliana si scopre che anche lui era molto attivo insieme a parenti e affiliati finiti nell'indagine.

In un rapporto i militari dell'Arma di Mantova descrivono il ruolo che svolge nella famiglia: «L’occorrenza di convergere presso Francesco Grande Aracri nel contesto dei rilevati incontri, è risultata infatti indicativa dell’influenza che quest’ultimo, attraverso emanazioni di carattere ricognitivo-organizzativo effettivamente esercitate in quello specifico ambito geografico e quantomeno per gli aspetti di cui si tratta, verso gli altri componenti della famiglia Grande Aracri dislocati in provincia di Reggio Emilia, nei cui confronti assume di fatto una posizione di preminenza funzionale».

In pratica, il fratello del boss dei boss, è una pedina, secondo gli investigatori, strategica. In contatto con un altro imprenditore-faccendiere legato alla cosca, e anche lui non toccato dall'inchiesta, abilissimo nel settore finanziario. L'esperto in investimenti esteri i carabinieri lo descrivono così: «Interessato per l’individuazione di soggetti esterni esperti in operazioni finanziarie con i quali è risultato interloquire (evidenziando peraltro una certa padronanza della materia) sulle modalità ed i termini tecnici dell’operazione stessa che presupponeva la necessità di adeguati appoggi internazionali attraverso l’attivazione di rapporti bancari che, nello specifico, venivano indicati per poter essere collocabili in Montenegro ed in Lussemburgo».

Insomma, il gentile e pacato imprenditore Francesco Grande Aracri sembra interessarsi molto alle sorti degli investiventi finanziari della famiglia. E lo fa con personaggi inseriti in contesti borderline. Ma non c'è solo Francesco il fratello del capo cosca a impensierire gli inquirenti. Dalle intercettazioni raccolte in questi anni sono numerosi i riferimenti al numero impressionante di affiliati presenti in Emilia. Alcuni indagati parlano addirittura di centinaia di uomini a disposizione. E non sembra una millanteria.

C'è uno stuolo di parenti e fedelissimi, anche giovani, che sono pronti a riempire il vuoto temporaneo lasciato da chi è finito in carcere. Un assesstamento necessario per la cosca, che può contare anche su una cellula ben radicata in Germania, ad Augusta (Augsburg), a nord di Monaco e su rapporti con altre 'ndrine della Locride stabili in Emilia e specializzate nel narcotraffico e nel gioco d'azzardo legale. Sono movimenti di successione che avvengono nell'ombra. Il silenzio che avvolge la pianura rende impercettibili questi cambiamenti. E la nebbia che presto calerà su questi luoghi farà il resto rendendo tutto ancora più invisibile.

I prossimi mesi saranno decisivi. Oltre che a Brescello anche nel Comune di Finale Emilia, nel modenese, è arrivata la commissione d'accesso. Anche qui il lavoro degli ispettori è agli sgoccioli. Nel frattempo dal giorno della retata sono trascorsi quasi 7 mesi. E la 'ndrangheta emiliana è più viva che mai.

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