L'inchiesta della procura di Roma prosegue. I pm hanno indagato un carabiniere e sospettano di altri due. Intanto la famiglia di Stefano ha portato davanti ai magistrati due test importanti la cui identità resta segreta

Due testimoni di peso, “in divisa”, che la famiglia di Stefano Cucchi avrebbe portato davanti ai magistrati. È questa la seconda importante novità dell'inchiesta bis sulla morte del giovane geometra romano. Che prosegue senza sosta e che vede il primo indagato: il maresciallo Roberto Mandolini, ex vice comandante della stazione di Tor Sapienza a Roma, dove era stato portato Stefano la notte del 15 ottobre 2009 dopo l'arresto per droga. Ci sarebbero poi altri due militari sui quali la procura capitolina guidata dal procuratore Giuseppe Pignatone vuole vederci chiaro. In questi mesi hanno lavorato sodo e raccolto tanti nuovi elementi.

Da quanto risulta a “l'Espresso”, invece, i due testimoni “in divisa” sarebbero stati già sentiti qualche mese fa dal procuratore capo in persona. E avrebbero fornito dettagli importanti. Non è escluso quindi che le loro rivelazioni abbiano impresso un'accelerazione all'indagine. Per il momento l'identità dei due resta top secret, ma farebbero parte delle forze dell'ordine.

La nuova inchiesta guidata dal pm Giovanni Musarò riguarda quindi i carabinieri che quella sera arrestarono Stefano Cucchi. Una novità rispetto al primo filone che si era concentrato sulle responsabilità della polizia penitenziaria e dei medici del Pertini che curarono Cucchi durante la detenzione, fino alla morte, il 22 ottobre del 2009. Da quel primo filone scaturì il processo.

Nel giugno 2013 la corte d'assise di Roma aveva condannato i medici dell'ospedale romano, assolvendo invece gli infermieri e gli agenti della polizia penitenziaria. L'appello poi aveva ribaltato la sentenza: tutti assolti. Un giudizio contro il quale sia la procura generale che i familiari di Cucchi avevano fatto ricorso, chiedendo inoltre l'avvio di un'inchiesta bis sulla morte di Stefano.

Una richiesta basata sulle motivazioni della sentenza di appello: gli stessi giudici invitavano la procura a valutare «la possibilità di svolgere ulteriori indagini al fine di accertare eventuali responsabilità di persone diverse» perché Cucchi «fu sottoposto ad una azione di percosse e non può essere definita una astratta congettura l'ipotesi prospettata in primo grado, secondo cui l'azione violenta sarebbe stata commessa dai carabinieri che lo hanno avuto in custodia nella fase successiva alla perquisizione domiciliare». Da qui l'impulso alla nuova inchiesta che vede già un militare dell'Arma indagato per falsa testimonianza.

[[ge:rep-locali:espresso:285596856]]L'avvocato della famiglia, Fabio Anselmo, ha commentato le ultime novità spiegando che «altre situazioni molto più importanti stanno emergendo e che cambieranno la storia che è stata scritta finora». Anselmo ha poi chiarito: «Quello che posso dire è che Stefano Cucchi è morto perché è stato pestato. E siamo in grado di dimostrare anche il fumo che è stato fatto nel processo e che non ha permesso di arrivare alla verità. Adesso questo fumo si sta diradando».

È intervenuto anche il senatore Pd Luigi Manconi, presidente della commissione Diritti umani a palazzo Madama: «Già nella sentenza d'appello veniva censurata la mancanza di indagini nei confronti dei militari che hanno trattenuto Stefano Cucchi, in ben due caserme romane, la notte dell'arresto. Non va dimenticato che, nelle due sentenze finora emesse, pur in assenza di una precisa identificazione dei responsabili è stato affermato inequivocabilmente che Stefano Cucchi, mentre si trovava privato della libertà, è stato sottoposto a violenze e abusi».