La compravendita al contrario. Una leadership divenuta inerte. Un capo così lontano dall’idea di un qualunque predellino da annullare bagni di folla, tour, persino riunioni ristrette perché “non saprei che dire”. E’ la nemesi più assoluta. La tragedia greca del berlusconismo. Arrivata a un punto tale che persino il suo protagonista pare aver gettato la spugna. Meglio le televisioni e il Milan. Come dargli torto?
Il centrodestra, per vent’anni unito nel suo nome, nel suo nome non riesce più a riunirsi. E anzi è pronto a dividersi in due tronconi, ma stavolta sul nome del suo competitor: pro-renziani e anti-renziani. Proprio come una volta fu per berlusconiani e antiberlusconiani. “Non moriremo renziani”, giurano già da Forza Italia giovani. L’orizzonte grossomodo è quello, previa scissione degli alfaniani: “Mezza ex Forza Italia e mezza ex Ncd che sostengono il governo, gli altri due mezzi partiti che si collocano all’opposizione con la Lega di Salvini”, sospira un forzista sufficientemente disincantato da azzardare una previsione.
E nell’attesa che si compia la profezia, il partito azzurro si dissangua goccia a goccia: tre senatori in una settimana (Amoruso, Auricchio e Ruvolo), ieri anche sette deputati (Abrignani, D’Alessandro, Faenzi, Galati, Mottola, Parisi, Romano). Altri ne arriveranno, stanno già facendo le valigie: sarebbero sull’uscio Cardiello (che però smentisce), il siciliano Scoma, il napoletano Villari e la lista si allunga di giorno in giorno.
Tutti verso Ala, il gruppo di Denis Verdini: il padre dell’operazione Responsabili, colui che sfilò a un altro scissionista, Gianfranco Fini, i parlamentari sufficienti a tenere in piedi il governo Berlusconi, adesso gioca per sé l’identica partita, e a differenza degli altri che ci hanno provato dimostra di esserne capace. Intanto fa l’ala, appunto: poi si vedrà.
In Aula al Senato Maurizio Gasparri e Augusto Minzolini, con altri forzisti di ferro, urlano alla “compravendita di parlamentari”, “campagna indecente”, “schifo”; ma “è come il bue che dice cornuto all’asino”, rimarca il verdiniano Vincenzo D’Anna, ricordando che proprio quello è il capo d’accusa col quale Berlusconi è stato condannato in primo grado a Napoli, in riferimento ai cambi di casacca che fecero cadere il governo Prodi nel 2008.
Chi di compravendita ferisce, di compravendita perisce. Le parti in commedia si invertono, e persino Antonio Razzi, uomo-simbolo dello scilipotismo getta fango sui nuovi Scilipoti giurando fedeltà: “Quando ci sono altre poltrone in discussione, può succedere che chi si sente degradato si agiti. Io sto bene dove sto. Con me Berlusconi può dormire sonni tranquilli”.
Ecco, giusto: il sonno. L’inerzia. All’argomento di Verdini (“Ma che ci fai ancora lì? Forza Italia siamo noi”), né Berlusconi né berlusconiani possono opporre infatti una qualche idea di futuro. Al limite, rinfacciare il tradimento (#bastatraditori è l’hashtag che lancia Annagrazia Calabria) o comunque il passato: “Grazie ai voti di Berlusconi e di Forza Italia sono arrivati in Parlamento. Entrano ed escono dai gruppi”, scrive iroso su Facebook Giovanni Toti: “Non chiedo coerenza, ma un po’ di ordine mentale sarebbe dovuto”.
Ma l’ordine mentale è proprio quello che invoca chi lascia. “Berlusconi? Non offre più alcun progetto. Io almeno non lo vedo”, sottolinea su Repubblica l’ex ministro Saverio Romano, dopo l’addio a Forza Italia. E il problema ce l’ha presente anche chi nel partito azzurro resta. Non a caso Mariastella Gelmini intitola Forzafuturo la prossima kermesse sul lago di Garda. Un titolo che sembra un’invocazione. Perché, come dice il capogruppo azzurro alla Camera Renato Brunetta, con intenti opposti al risultato: “La leadership c’è ed è abbondante. Solo che non è eleggibile”. “E ti pare poco?”, gli risponde a scacco matto Francesco Giro. In Forza Italia è tutto, o quasi
Ma Berlusconi non c’è e senza di lui il partito è allo sbando completo. Non vale più invocare nemmeno il cerchio magico, che pur avversato dai più almeno metteva un po’ d’ordine: pare sia caduto in disgrazia anche quello. “Berlusconi pensa al Milan e alle televisioni: ma non è che abbandona il campo, abbandona Forza Italia”, dice uno degli azzurri che ancora s’aggrappa all’attesa messianica di un nuovo predellino.
Il problema è che, da un lato, il lucchetto della legge Severino resta chiuso: la speranza è che la Corte dei diritti umani di Strasburgo si pronunci presto contro la retroattività della decadenza, ma ormai quella è davvero l’ultima speme, un lumicino. Dall’altro lato, il problema è che l’ex Cavaliere – semmai scommetterà di nuovo sulla politica – punterà su volti nuovi e soprattutto televisivi. Tendenza Toti, più che tendenza Galati. E dunque tutti i piccoli e grandi Galati del partito azzurro, che sono la stragrande maggioranza dei gruppi parlamentari forzisti, si preparano a fare le valigie: potrebbe fermarli solo Berlusconi, ma nemmeno a lui importa farlo, ormai.