Dopo la rinuncia di Giuseppe Sala alla poltrona di sindaco di Milano, il premier si appella a Giuliano Pisapia. Che però ha già detto di no. Dubbi e difficoltà anche per Napoli, senza considerare il caos romano. Tutte spie che sembrano mettere in dubbio la capacità del premier di tenere insieme una squadra coesa, forte e autorevole

Forum di Cernobbio, Gran Premio di Monza, Expo con Bono degli U2, Festa dell'Unità cittadina: non c'è dubbio che la partita lombarda del weekend sia stata per Matteo Renzi un successo lusinghiero, chiusa con un bel poker di gol. Peccato, però, che sulla sfida principale, e cioè le amministrative 2016, il leader del Pd sia rimasto a secco. Diciamo pure, restando alla metafora calcistica, che ha dovuto incassare un autogol.

Neppure una settimana fa, il 2 settembre, il premier aveva incoronato sindaco di Milano il commissario unico dell'Expo, Giuseppe Sala, con un «mi piace moltissimo, ma decida lui». Passano tre giorni e il consiglio di amministrazione decide di prorogare l'incarico al Commissario fino a fine dicembre per gestire il dopo Expo (ma Renzi non sapeva nulla?), un'operazione delicata quanto importante per l'area metropolitana milanese. Le quotazioni di Sala a Palazzo Marino sono a questo punto pressoché azzerate, del resto la sinistra del Pd, Sel e l'area che aveva sostenuto Giuliano Pisapia non vedevano di buon occhio la corsa del manager, un “tecnico” che aveva lavorato come direttore generale ai tempi dell'amministrazione Moratti prima di prendere in mano il maxievento.

Lo stesso Sala, in una lunga intervista uscita sull'Avvenire in gennaio, aveva preannunciato, rispondendo alla domanda finale sull'eventuale candidatura, una decisione per agosto. Che non si è vista o sentita, ma che gli sviluppi degli ultimi giorni orienterebbero in senso negativo. I risultati positivi dell'Expo non sembrano garantirgli un via libera, anche perché di esperienza politica sul campo non ne ha proprio e l'epoca dei “tecnici” al governo del paese o delle città pare definitivamente chiusa.

Niente Sala quindi. Così nel weekend Renzi ha ritirato fuori la carta Pisapia. Il sindaco, che tanti milanesi vorrebbero vedere confermato nel 2016 per altri cinque anni e che però ha più volte ribadito l'intenzione di non ricandidarsi, è andato alla Festa dell'Unità ricevendo applausi e parole di incoraggiamento a ripensarci. Sul palco dell'Unità Renzi non ha parlato di primarie, non ha neppure citato Andrea Fiano e Pierfrancesco Majorino, i due candidati del Pd già usciti allo scoperto, e non ha trovato di meglio che fare da scaricabarile ripetendo a Pisapia «noi siamo con te, decidi tu». In realtà il sindaco ha già deciso per il no.

Niente Pisapia quindi. Insomma, un altro rinvio in assenza di un concorrente vero e ufficiale. Altri nomi prestigiosi sono emersi in questi mesi, dall'ex direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli, all'architetto Stefano Boeri (che perse le primarie contro lo stesso Pisapia) all'attuale vicesindaco e assessore al Bilancio Francesca Balzani, ma il premier non riesce a chiudere il cerchio. L'unico punto a vantaggio di Renzi è la debolezza del campo avversario, il buio totale nel centrodestra dopo che l'unico finora papabile per la massima poltrona cittadina, l'imprenditore Claudio De Albertis, ha dato forfait mentre quello che sembrava il candidato naturale, Maurizio Lupi, si è dovuto dimettere in marzo da ministro delle Infrastrutture a seguito di uno scandalo.

Le amministrative della prossima primavera stanno trasformandosi in un bel problema per il Pd. Se Piero Fassino e Virginio Merola non dovrebbero incontrare ostacoli nell'ottenere il bis rispettivamente a Torino e Bologna, l'incognita di Milano e i dubbi su Luigi De Magistris a Napoli possono diventare esplosivi senza dimenticare il caos romano attorno a Ignazio Marino.

Il sospetto è che Renzi abbia qualche difficoltà a creare un vero ricambio, a formare una sua classe dirigente. I tentennamenti alle ultime amministrative con le sconfitte impreviste in Liguria, a Venezia e Arezzo per citare le principali, le nomine di profilo non altissimo nel consiglio della Rai, alcune defezioni di superconsulenti economici a partire dal manager Andrea Guerra (ma secondo notizie di stampa, sarebbero in uscita anche Tommaso Nannicini, l'economista regista del Jobs Act e responsabile della delega fiscale, e Carlotta De Franceschi, responsabile per le banche) sembrano mettere in dubbio la capacità del premier di tenere insieme una squadra allo stesso tempo coesa, forte e autorevole. Che voglia in sostanza decidere sempre tutto lui e soprattutto contare solo lui. Una propensione che gli si potrebbe facilmente ritorcere contro in una prospettiva di amministrazione del paese a lungo termine.