Dea di Morgantina, sedotta e abbandonata Dopo cinque anni, visitatori spariti
È uno dei capolavori riportati in Italia dopo una lunga battaglia diplomatica e giudiziaria con il J.P. Getty di Malibù. Nel 2011 la Sicilia l'ha restituita al pubblico, nel suo luogo natale, Aidone. Con un grande entusiasmo. Durato pochi mesi. Perché da allora a oggi i biglietti sono calati a picco. Adesso entrano in circa 20mila all'anno. Di cui oltre due terzi gratis. Un'anomalia
La sua presenza è ancora imponente. Due metri e venti centimetri d'altezza, il passo muscoloso sotto panneggi di tufo, il volto in marmo prezioso, come le dita del piede e quel braccio che s'alza verso i visitatori. Che son pochi. Anzi, sempre meno. E molti, forse troppi, entrati gratis. È l'amara sorte della dea di Morgantina, gigantessa arcaica scavata, trafugata e spezzata dai tombaroli nella provincia di Enna alla fine degli anni '70. Quindi spedita in Svizzera a un mercante dei Vip che ne ha guadagnati milioni, vendendola al museo di Malibù del miliardario J.P. Getty. Dopo un lungo braccio di ferro con magistrati, carabinieri, avvocati di Stato, diplomazia e perizie, è stata restituita infine all'Italia con trionfo dell'allora ministro ai Beni Culturali Francesco Rutelli. Quindi riportata nel 2011, nuova di restauri, al luogo della sua sparizione: l'area archeologica di Morgantina, ad Aidone, in provincia di Enna, nel cuore orientale della Sicilia.
Ma lì è stata sedotta, e abbandonata. Perché dopo un primo entusiasmo, con quasi 49mila visitatori applaudenti nel piccolo museo archeologico di Aidone, nel 2011, e un incasso complessivo di 115mila euro, il successo della dea è calato a picco. Fino ad arrivare ai numeri dimezzati del 2014: 22mila ingressi in tutto. Di cui soli 4mila e 800 paganti.
All'oblio collettivo della Grande Dea si aggiunge infatti la beffa dei conti: nel primo semestre del 2015 solo il 17 per cento di chi è entrato ad ammirarla ha pagato il biglietto. Un'anomalia che è tale sia nella provincia che nell'intera regione, dove i paganti sono in media il 61 per cento. O almeno, di norma, più della metà. Non qui. Dove restano a meno di un terzo del totale quelli che versano un obolo per entrare al cospetto della divinità. Così, con gli ingressi, si sono inabissati anche gli introiti: dai 115mila della stagione 2011 ai 40mila del 2014.
È una sorte ben triste per il museo ricavato fra le stanze dell'ex convento barocco dei frati Cappuccini di Aidone. Perché la galleria, con i vicini scavi di Morgantina, nasconde una storia unica, legata per secoli al culto di Demetra e Kore, la dea delle messi e sua figlia rapita dall'Ade, mito fondativo che qui si avverava ogni estate coi raccolti di grano di cui la Sicilia era l'industria mediterranea.
Oltre alla dea, infatti, nel museo si affollano reperti come ex voto, teste in terracotta dipinta, figure femminili a mezzo busto o in piedi che evocano le due donne della Madre Terra, donati ai santuari di Persefone e Demetra così importanti per l'isola e i suoi abitanti. Lo stesso vale per altri gioielli presenti, riportati in Italia dall'America, dove facevano parte della collezione del miliardario Maurice Tempelsman, l'ultimo marito di Jacqueline Kennedy: due acroliti - volti, mani e piedi di marmo - che rappresentavano le dee nel VI secolo a.C., epoca di splendore per Aidone.
Gli abitanti, dopo ch'era stata loro saccheggiata, ora sembrano proteggere Morgantina e andarne fieri. I due acroliti sono stati pure spediti a malincuore ad Expo sperando facessero pubblicità. Ma qualcosa al museo proprio non va. Soprattutto a confrontare il pubblico racimolato dall'antichissima dea con il traffico di pullman che affolla invece la vicina villa romana di Piazza Armerina, tappa obbligata dei tour da Catania e l'entroterra. Fra i due paesi, e i due musei, ci sono sì e no 10 chilometri. Ma 300mila visitatori di differenza. In più, per i mosaici romani. In meno, per la divinità obliata.