Herbert Levin e Werner Reich, sopravvissuti ad Auschwitz grazie alla magia
La storia del “Mago di Auschwitz” e del suo compagno di prigionia. Scampati alla morte nel lager nazista grazie alla loro abilità nei giochi di prestigio
In un luogo assurdo come era Auschwitz-Birkenau 72 anni fa, forse la cosa meno strana che potesse capitare era uscirne vivi grazie alla magia. Il Grande Nivelli ci riuscì. Ecco la storia del “Mago di Auschwitz” Herbert Levin, detto “Nivelli”, e del suo compagno di prigionia, Werner Reich, chiamato allora 1828, dal numero tatuato sull’avambraccio sinistro.
Trentotto anni il primo, sedici il secondo, Levin e Werner non si conoscevano, ma condividevano molte cose. Il letto, innanzitutto, un unico cassone di assi di legno visitate da ratti e pidocchi. Erano tutti e due di Berlino, ebrei, ed erano stati portati nell’inferno polacco in momenti diversi dal campo di Terezin, nell’attuale Repubblica Ceca. All’arrivo, Levin era stato allontanato dalla moglie e dal loro bambino, morti nelle camere a gas.
Werner, invece, era solo da tempo. Il papà, ingegnere elettronico, era sfuggito alle persecuzioni razziali trasferendo la famiglia in Jugoslavia. Era morto nel 1940 e la madre di Werner aveva tentato di salvarlo affidandolo a famiglie non ebraiche. Trovato dalla Gestapo, fu picchiato, imprigionato e quindi destinato ai campi di concentramento.
Una barzelletta per morire, una per sopravvivere E’ il 1944 dunque quando Werner è un ragazzino nel più grande campo di concentramento mai costruito dai nazisti, a 60 km da Cracovia. I piedi affondano nella neve mentre, nudo, corre in cerchio insieme ad altri 5000 ragazzi tra i 15 e i 20 anni, davanti a un gruppo di SS intento a raccontare barzellette a Josef Mengele, “l’angelo della morte”, quello degli esperimenti sulle persone. Ogni tanto Mengele alza gli occhi sui ragazzi. “Se, guardandoci, rideva, si andava dritti verso le camere a gas. Se era serio, si continuava correre” racconta Werner Reich in un’intervista di qualche anno fa dal salotto della sua casa a Long Island, New York. Il ragazzo sopravvive insieme a una novantina di altri alla folle selezione.
La notte le barzellette continuano nelle baracche. Ma sono quelle raccontate dai prigionieri. "Forse può apparire una cosa sorprendente – rivela ancora il vecchio Werner - ma abbiamo riso più di quanto si pensi, ad Auschwitz. Ogni sera avevamo una sessione di barzellette. Prima parlavamo del cibo in modo molto, molto dettagliato: tutti i profumi, tutti gli ingredienti, tutti i colori del cibo che mangiavamo a casa. E poi facevamo le sessioni di barzellette". Werner ricorda un motto di spirito che girava tra i deportati: “Sono felice di stare ad Auschwitz, se non fossi felice starei comunque ad Auschwitz, allora tanto vale che io sia felice”.
Che l’umorismo fosse un salvagente durante l’Olocausto, lo afferma anche uno studio pubblicato sul sito dello Yad Vashem e condotto da Chaya Ostrower, che sull’argomento ha conseguito un dottorato all’Università di Tel Aviv. La ricerca ha coinvolto 84 sopravvissuti (si può scaricare a questo link), che ricordano alcune barzellette che giravano nei campi, tra i prigionieri. Quasi tutte parlano di ebrei ed SS. Le trovavano divertenti. Scherzare, si legge nel documento, era un meccanismo di autodifesa, ma anche un modo per aggredire mentalmente gli aguzzini e tenere vivo l’intelletto.
“Facci i trucchi, i trucchi!” Urlano, dicono di svegliarsi. Werner ha paura. Nel pieno della notte, delle SS hanno fatto irruzione nella loro baracca e ora sono in piedi davanti alla sua cuccetta. Non passa molto prima che Werner capisca che non cercano lui, ma Levin, l’uomo che gli è steso accanto. Vogliono i trucchi, i trucchi dicono, i trucchi di magia. Un mazzo sporco di vecchie carte passa dalle mani delle Schutzstaffeln a quelle di Levin, che si tira su e, ricacciando nella mente il ricordo della moglie e del figlio scomparsi nelle docce, inizia a far sparire e ricomparire le carte tra le dita, improvvisamente agili e… magiche. Le SS ridono, ne vogliono ancora. Con una corda, Levin mostra altri giochi di prestigio, va avanti fino a che quelli gradiscono.
Non era sfuggito alle guardie che quell’uomo alto e dai capelli chiari, altri non era che il famoso mago Levin, attrazione dei migliori teatri tedeschi fino a qualche anno prima. Nato nel 1906 a Berlino, Herbert Levin si era appassionato presto di magia, sulla scia dei grandi illusionisti che lo avevano preceduto in Germania: Alois Kassner, Wiljalba Frikell, Max Auzinger, per citarne alcuni. Come molti altri, oltre a esibirsi, aveva un negozio di oggetti di magia. Ma le leggi razziali lo obbligarono a chiudere e a cercare riparo in Cecoslovacchia. Il resto lo sappiamo: Terezin e poi Auschwitz-Birkenau. Dove scoprì, nel mezzo della notte, le carte tra le mani, di possedere un lasciapassare per la sopravvivenza. Finché li avesse intrattenuti, non sarebbe stato ucciso.
“Lui – ricorda Werner - mi ha introdotto ai miei primi trucchi con le carte. I tedeschi sapevano che era un grande mago e quindi gli fecero avere un mazzo sporco di carte. Si esercitava nella baracca e presentava i trucchi ai tedeschi, gliene insegnò pure. I nazisti impararono da lui. Era intrattenimento. Ma la cosa strana è che gli salvò la vita”. E per un po’ la salvò anche a lui. Levin gli insegnò i giochi di prestigio e nessuno dei due fu mai mandato nelle camere a gas.
La Liberazione e il ritorno alla normalità La Liberazione è vicina. Nel gennaio del ’45 Werner viene incolonnato nella Marcia della Morte che trasferisce alcuni prigionieri al campo di Mauthausen, ancora peggiore, nei suoi ricordi. Quando il 5 maggio viene liberato, Werner ha 17 anni. Pesa 29 chili. Non vedrà mai più Levin. Anche lui però si salva. Il mago viene spedito al campo di concentramento di Sachsenhausen-Oranienburg, vicino a Berlino. “Fui salvato, ma ero così debole che potevo camminare solo su delle stampelle improvvisate con dei bastoni. Avevo perso le unghie alle dita dei piedi e delle mani”.
Finita la guerra, Levin torna a Berlino, gli ci vogliono sei mesi per tornare in salute e alla magia. Nel 1947 è al Schiffbauerdamm Theater di Berlino. Indossa un costume da Arlecchino, colorato e pieno di lustrini. Il suo spettacolo si chiama “Lacrime e risate”, come quelle che hanno segnato la sua vita. Nello stesso anno dice addio alla Germania. Sceglie New York, dove presto si risposa. Lottie, anche lei tedesca, diventerà la sua compagna di palcoscenico. The Nivellis, si chiamano. Una foto li ritrae insieme vestiti di nero. Lei regge un coniglio bianco, lui un teschio con la bocca spalancata e una bacchetta nera dalla punta bianca. Ha lo sguardo malinconico. La sua ultima performance, a Lancaster, in Pennsylvania, avviene il 1° maggio 1977, davanti a 1500 persone. Abbastanza per uscire di scena. Levin muore due giorni dopo.
Due destini intrecciati da una magia invisibile Dalla stessa parte dell’Oceano, Werner, ormai fattosi uomo, quel giorno sta leggendo i necrologi. I loro destini sembrano intrecciati da una magia invisibile. Werner Reich vive a Long Island con la moglie Eva, salvata anni prima da Sir Nicholas Winton, lo Schindler britannico, e insieme ai loro due figli. “Nel necrologio parlavano del Grande Mago Nivelli. E citavano il suo numero di tatuaggio ad Auschwitz. Pensai: “O mio Dio, è lui, è proprio lui”. Il numero di Levin era A1676, il mio era A1828” ricorda Werner, che non conosceva il nome d’arte ‘Nivelli’, ribaltamento del cognome Levin.
Oggi Werner Reich ha 89 anni e si esibisce ancora in trucchi di prestigio per gli amici e la famiglia. Tiene corsi sull’Olocausto e su come reagire al bullismo a bambini e ragazzi. “Come i nazisti, anche i bulli – spiega – hanno un gusto immotivato per la distruzione e l’umiliazione delle persone”. Si rifiuta di addolorarsi per quel che è stato. “Singhiozzare e mettermi a piangere? Non voglio, mi rifiuto. Perché ho avuto la scelta di morire oppure di rimanere vivo. Ho scelto di rimanere vivo e non sono vivo per soffrire. Non è quello lo scopo. Sono vivo per vivere, per essere felice, per stare bene”.
“The Magician of Auschwitz”, parla l’autrice di un libro per bambini Kathy Kacer, 61 anni, è una scrittrice di libri per bambini e ragazzi di Toronto, Canada. Figlia di due ebrei slovacchi scampati all’Olocausto, si dedica solo a libri sull’argomento. “I miei genitori – racconta a l’Espresso - sono sempre stati apertissimi nel raccontarmi le loro esperienze in guerra. Sono cresciuta sentendomi orgogliosa del loro coraggio e appassionata di questa parte di Storia”. Nel 2014 è uscito il suo libro illustrato “The Magician of Auschwitz” (al momento disponibile solo in inglese), storia del Grande Nivelli vista con gli occhi di Werner, ragazzino imprigionato ad Auschwitz. “Ho incontrato Werner a New York per intervistarlo. Werner crede che la magia imparata da Nivelli gli abbia salvato la vita. Vide la magia come un dono, ricevuto in un posto dove non c’erano doni. Credo che fosse questa la vera magia” conclude.