Celebrato, offeso, sia da vivo che da morto. Considerato un predicatore pericoloso e al tempo stesso un difensore dei diritti umani. Ecco chi era in realtà il controverso sciita giustiziato dalle autorità di Riad

Nimr al-Nimr, lo sceicco che infiamma lo scontro tra Iran e Arabia Saudita

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Agente al servizio dell'Iran o difensore dei diritti umani? Agitatore delle folle incline alla violenza o pacifico sostenitore dei principi di giustizia e uguaglianza? Lo sceicco sciita Nimr al-Nimr, la cui decapitazione da parte delle autorità saudite  ha infiammato lo scontro tra Iran e Arabia saudita, è stato descritto in modi molto diversi, tirato per la giacca, celebrato e offeso, sia da vivo sia da morto. Chi era in realtà?

Per la Corte criminale specializzata – il tribunale saudita inaugurato nel 2008 per giudicare i crimini legati al terrorismo – non era altro che un terrorista. Un predicatore pericoloso. Un cittadino che, nonostante fosse nato 56 anni fa ad al-Awamiyah, nella zona orientale del paese più ricca di petrolio e più svantaggiata economicamente - aveva i suoi referenti fuori dai confini nazionali. In Iran, antagonista storico del regno dei Saud da decenni, e ancora di più dal 1979.

È un anno fondamentale, il 1979: in Iran avviene una rivoluzione che è antimperialista, popolare, per la giustizia sociale e l'uguaglianza, ma che finisce per essere intestata alla componente islamista. Proprio nell'anno in cui l'Islam sciita dell'ayatollah Khomeini si fa teocrazia, in Arabia saudita un gruppo di militanti fondamentalisti prende d'assalto la Grande moschea della Mecca. L'occupazione di uno dei luoghi sacri dell'Islam dura settimane. Per la monarchia sunnita, che fonda la propria legittimità sull'equivalenza tra religione e potere, è un segno di debolezza. L'Iran sciita, modello di successo, congela i rapporti con l'Occidente. La monarchia sunnita dei Saud, in difficoltà, rinforza il rapporto con gli Stati Uniti.
 
Nimr al-Nimr è [[ge:rep-locali:espresso:285172720]]stato giustiziato all'inizio del 2016 insieme ad altre 46 persone condannate per terrorismo. Si tratta di una delle esecuzioni più imponenti dal 1980, quando le autorità saudite giustiziarono gli assalitori della Grande Moschea. Tra i 33 capi di accusa pendenti sulla sua testa, c'era quello di aver invitato alla «violenza settaria», alla contrapposizione tra sunniti e sciiti, una minoranza che in Arabia saudita rappresenta dal 10 al 15% dei circa 27 milioni di abitanti, e che  per Human Rights Watch soffre discriminazioni sistematiche nel campo dell'educazione, del lavoro, della giustizia e della religione.

Sono innanzitutto uno sciita, poi un musulmano, un credente, e infine un membro dell'umanità, avrebbe detto Nimr al-Nirm a un funzionario dell'amministrazione americana che nel 2008 era andato a incontrare «il controverso sceicco sciita», registra uno dei cablogrammi rivelati da Wikileaks.

Nato nel 1959 0 nel 1960, Nimr al-Nimr proviene da una famiglia sciita conosciuta per l'opposizione al regime. Nel 1929 il nonno   avrebbe condotto una rivolta armata contro i missionari sunniti dell'area e i funzionari governativi per la riscossione delle imposte. Cresciuto in un ambiente fortemente religioso, nel 1979 si trasferisce in Iran per compiere gli studi in un seminario sciita. Dopo circa dieci anni a Teheran e alcuni periodi di permanenza nella città di Qom, cuore religioso del paese, continua gli studi in Siria per qualche anno, per poi tornare in Arabia saudita nel 1994.

Interessato alle questioni religiose più che alla politica, avrebbe cominciato a politicizzare il proprio sguardo in seguito alla morte nel 2001 dell'Ayathollah  iracheno Mohammad al-Husseini al-Shirazi, autorevole guida spirituale e politica, attivo nella rivoluzione iraniana del 1979, poi entrato in conflitto con la guida suprema, l'Ayatollah Khomeini, e fautore dell'instaurazione di un regime islamico anche in Iraq.

Nei primi anni del Duemila, Nimr al-Nimr finisce sotto l'occhio scrutatore dell'intelligence saudita. Rivendica maggiore libertà religiosa. Guarda con sempre maggiore risentimento alle discriminazioni che la monarchia saudita riserva agli sciiti, che hanno accesso limitato all'educazione e all'impiego pubblico, sono esclusi dal settore della sicurezza di Stato, godono di minori diritti in ambito giuridico e faticano a professare apertamente il proprio credo, descritto come un culto politeista nei libri scolastici.  Lo sceicco si convince che il regno dei Saud non concederà niente di propria volontà, che ogni spazio di libertà va conquistato, passo dopo passo, alzando la voce. Diventato imam, conduce preghiere pubbliche.  Sembra che finisca agli arresti, per la prima volta, nel 2003.

Nonostante la prigione, non rinuncia alle sue idee. Tanto che nel 2006 viene arrestato di nuovo dal Mabahith, l'intelligence saudita. Nell'incontro già citato con il funzionario americano, sostiene di essere stato picchiato e maltrattato in carcere.

Nel 2009 il suo nome risuona in tutto il paese. Sulla tomba del profeta Maometto alla Medina si registrano scontri tra pellegrini sciiti e sunniti. Ne seguono arresti e contestazioni. Nimr al-Nimr tiene un sermone infuocato, che ne segna il destino: la monarchia dei Saud è colpevole di aver incoraggiato la polizia religiosa a colpire i membri della comunità sciita, dice lo sceicco. Non è più tempo di subire: gli sciiti devono rivendicare i propri diritti, sociali ed economici. In caso contrario, secessione. «Ci avete tolto la dignità, e se non verrà restituita, rivendicheremo la secessione. La nostra dignità è più preziosa dell'unità di questa terra», dichiara nel marzo 2009.

Il sermone di Nimr è uno schiaffo per le autorità. Viene letto come una sfida all'integrità territoriale del paese. Poco dopo, 450 notabili sciiti presentano un documento di 4 pagine dal titolo Partner nella nazione, in cui chiedono di essere riconosciuti come cittadini a tutti gli effetti e che gli venga riconosciuto il diritto alla libertà di espressione religiosa.

Nimr al-Nimr finisce agli arresti, di nuovo. Rilasciato, tiene per qualche tempo un basso profilo. Poi torna a esporsi. La svolta avviene nel 2011, con le rivoluzioni arabe che infiammano il Nord Africa e il Medio oriente. Sin dall'inizio, ha ricordato al Los Angeles Times Toby Matthiesen, ricercatore alla Oxford University, lo sceicco vede nelle rivoluzioni un'occasione storica per contestare l'autoritarismo repressivo e reazionario della monarchia saudita. I giovani scendono in strada. Nimr li sostiene. «È stato l'unico religioso ad aver sostenuto in modo incondizionato il movimento di protesta», ricorda Matthiesen. «Altri lo avevano inizialmente sostenuto», per poi pubblicare fatwa che invitavano i manifestanti a tornare a casa.

Diverso l'atteggiamento dello sceicco. Che invita a partecipare alle manifestazioni di protesta nella regione orientale di Qatif, l'area che ospita la maggioranza degli sciiti. «Per centinaia di anni, come sciiti abbiamo conosciuto oppressione, ingiustizia e terrore. Dal momento in cui nascete, siete circondanti da paura e terrore». Ho più di 50 anni, sostiene nel 2011, «e non mi sono mai sentito sicuro nè in pace in questo paese».
I giovani sciiti in Arabia Saudita e nel vicino Bahrein – paese in cui la maggioranza sciita viene marginalizzata dalla minoranza sunnita al potere – sono affascinati dal suo coraggio. Nimr diventa un leader naturale della protesta. Rifiuta la violenza, perché «non è il nostro metodo» e risulta controproducente: «la parola è un'arma più forte dei proiettili».

All'inizio del 2012 chiede alle autorità saudite di rinunciare all'approccio repressivo, causa di un inutile spargimento di sangue. L'8 luglio del 2012 viene colpito da alcuni colpi alla gamba e poi arrestato. Le autorità sostengono che Nimr abbia resistito all'arresto e causato la sparatoria. Il fratello dello sceicco risponde che è stato arrestato mentre era in auto. Un mese prima dell'arresto, Nimr ne aveva combinata un'altra, irridendo l'appena defunto principe Nayef, ministro degli Interni per quasi quaranta anni: «Dov'è l'esercito di Nayef? Dov'è la polizia segreta? Non sono riusciti a impedirgli di morire?».

Per otto mesi viene tenuto in prigione senza accuse. Vale quanto detto dal portavoce del ministero degli Interni al momento dell'arresto: Nimr avrebbe «incoraggiato, condotto e partecipato alle dimostrazioni» e ai tumulti nel paese. Tenuto in una cella di isolamento 4 metri per 4, nei primi mesi di detenzione non può incontrare nessuno, neanche i familiari.

I suoi sostenitori e le organizzazioni per i diritti umani lanciano appelli e indicono manifestazioni di protesta. Chiedono un processo equo e trasparente. Il 15 ottobre del 2014 arriva la sentenza della Corte speciale, controllata dal ministero degli Interni: condanna a morte per aver cercato «l'ingerenza esterna negli affari del regno», per aver disobbedito alle autorità e usato le armi contro le forze di sicurezza.
L'accusa più grave è quella di sempre: fare il gioco dell'Iran, essere al servizio del nemico sciita. Eppure nel 2008 gli stessi funzionari americani riconoscono che Nimr al-Nimr non è affiliato né al cosiddetto Hezbollah saudita (Hezbollah al-Hijaz) né all'Organizzazione per la rivoluzione islamica, le due principali organizzazioni sciite presenti in Arabia saudita. Nimr al-Nimr è scomodo proprio perché, pur rivendicando l'appartenenza all'Islam sciita, rifiuta l'etichetta identitaria cucitagli e contesta anche l'Iran, un paese la cui politica si basa «sui propri interessi, non sulla pietà o sulla condivisione religiosa».

Lo sceicco non esclude la possibilità di ricorrere all'aiuto esterno, in caso di necessità, ma non vuole essere strumentalizzato neanche dall'Iran sciita.

Il 2 gennaio è stato giustiziato. A pochi giorni dalla morte, già ci si contende la sua eredità intellettuale. E il corpo. I familiari hanno presentato una richiesta formale per poterne disporre. Le autorità saudite hanno risposto di no. Per gli sciiti, è un martire.


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