La star di Hollywood sarà il protagonista del film tratto dalla fortunata serie di videogiochi. E cercherà di sfatare la regola che vede solo pellicole mediocri tratte dai games. L'Espresso lo ha incontrato

Cos’hanno in comune Macbeth e Callum Lynch, l’antieroe scespiriano e il protagonista del videogame “Assassin’s Creed”? Sul grande schermo hanno lo stesso volto, quello di Michael Fassbender. Due volte nominato agli Oscar (nel 2014 per “12 anni schiavo” e quest’anno per “Steve Jobs”), Fassbender è diventato una star e un oggetto del desiderio mondiale nel 2011 grazie all’interpretazione di Brandon, protagonista sex-addict di “Shame” di Steve McQueen.

Questo ruolo lo ha letteralmente “messo a nudo”, dopo che lo stesso regista aveva già evidenziato il talento camaleontico dell’attore nel 2008 in “Hunger”: per interpretare Bobby Sands, Fassbender aveva perso ben 18 chili, sottoponendosi a una dieta che prevedeva soltanto 600 calorie al giorno. E anche il regista australiano Justin Kurzel lo ha voluto in due film: il “Macbeth” presentato a Cannes l’anno scorso e l’“Assassin’s Creed” che la Fox distribuirà in Italia dal prossimo 4 gennaio.

Trentanove anni, nato in Germania da madre irlandese e padre tedesco, Fassbender è cresciuto nell’Irlanda del Nord e si è trasferito a diciannove anni a Londra, abbandonando il ristorante dei genitori per studiare recitazione al Drama Centre. Già a ventidue anni però ha interrotto gli studi di recitazione ed è passato alla pratica, partendo in tournée con la Oxford Stage Company.

Da allora non si è più risparmiato, passando dal teatro alla tv, per poi approdare al cinema dove ha interpretato i ruoli più vari: il cinefumetto (è stato lo spartano Stelios in “300”, muscolare film diretto da Zack Snyder; così come il temibile Magneto nella recente trilogia degli X-Men; o anche Burke al fianco di Josh Brolin, nel meno riuscito “Jonah Hex”), la fantascienza (è l’androide David per Ridley Scott in “Prometheus” e nell’atteso sequel “Alien: Covenant”, in uscita la prossima estate) ma anche il pulp d’autore di “Bastardi senza gloria”, dove Quentin Tarantino, sfruttando il suo bilinguismo (l’attore parla fluentemente tedesco), gli ha affidato nel 2009 il ruolo del tenente Archie Hicox, che aiuta Brad Pitt nella missione dietro le linee nemiche.

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Oggi Fassbender affronta la più rischiosa scommessa della sua carriera, impersonando il protagonista di “Assassin’s Creed”, prima parte di una trilogia ispirata dal gioco. Il rischio è nel fatto che, finora, non ci sono stati film che abbiano superato indenni il passaggio dalla dimensione del videogame a quella cinematografica: persino l’attesissimo “Warcraft”, del pur talentuoso Duncan Jones, si è dimostrato inferiore alle attese. Fassbender, che l’Espresso ha incontrato a Londra, in occasione della presentazione di una ventina di minuti del film, non se ne preoccupa: «Che i film tratti dai videogiochi non funzionino è vero fino a un certo punto», fa notare col migliore dei sorrisi .«D’altra parte ricordo che di “Resident Evil” ne sono stati già girati sei o sette e che “Warcraft”, nonostante le critiche negative, ha incassato cifre eccezionali».

«Non è però di incassi che voglio parlare», specifica Fassbender. «Anche perché il punto di vista da cui sono partito, per il doppio ruolo di Callum Lynch e del suo antenato spagnolo del XV secolo Aguilar de Nehar, è quello del “non-giocatore”. Confesso infatti che non sono molto abile coi videogiochi: più che con “Assassin’s Creed” me la cavo nelle simulazioni di Formula Uno. Affrontare certe icone pop è difficile ma anche interpretare Magneto negli “X-Men” sembrava impossibile dopo le straordinarie performance di Ian McKellen, eppure ha funzionato. Sono convinto che anche i giocatori di “Assassin’s Creed” accoglieranno le novità del film».

Facciamo un passo indietro: il videogioco “Assassin’s Creed” è pubblicato dalla francese Ubisoft nel 2007 come “spin-off “di un gioco precedente, “Prince of Persia”. Presto però i programmatori decisero di abbandonare la saga del principe e di prendere invece spunto da un romanzo “Alamut”, dello scrittore sloveno Vladimir Bartol, ispirato alle vicende della setta islamica medievale degli Assassini.

Il “Credo degli Assassini” del titolo è formato dalle tre regole che tutti gli adepti devono rispettare. Nel gioco, che attraversa diverse epoche, il mondo è diviso tra Assassini e Templari. I primi vogliono mantenere il libero arbitrio dell’uomo contro ogni forma di tirannia. Il loro motto è: «Quando gli altri seguono ciecamente la verità, ricorda: nulla è reale. Quando gli altri si piegano alla morale e alle leggi, ricorda: tutto è lecito». I Templari, invece, hanno come obiettivo il totale controllo sulla vita degli uomini per guidarli alla “vera pace”. Lo scopo di entrambe le fazioni è scovare i “frutti dell’Eden”, in grado di fornire potere assoluto a chi li possiede.

Ad oggi questa serie di giochi ha venduto nel mondo più di 93 milioni di copie e vanta già dieci capitoli principali e otto spin-off, oltre ad avere ispirato romanzi e fumetti. Secondo Fassbender c’è anche un aspetto “educativo” nel gioco perché, ricorda divertito, «il figlio di un mio amico ha chiesto al padre di andare in vacanza a Firenze, solo perché voleva controllare se le architetture del secondo capitolo di “Assassin’s Creed”, ambientato nella Firenze del Rinascimento, fossero corrette».

Quando la Ubisoft, nel 2011, propone a Fassbender di entrare nella setta degli Assassini l’attore non conosce ancora quel mondo, ma rimane affascinato dal progetto. «All’epoca avevo una vaghissima idea di cosa fosse “Assassin’s Creed”», racconta. «Ma nell’incontro con le persone della Ubisoft mi ha conquistato subito la premessa che tutto fosse basato sulla “memoria genetica” insita nel Dna. Era stimolante interpretare un film che parte da una base fantasy, ma ha una plausibilità scientifica. L’idea della memoria del Dna gli dà una marcia in più rispetto ad altri film del genere. Pensare che nel nostro codice genetico siano racchiusi errori, esperienze e ricordi dei nostri antenati, spiega l’“istinto”: lo stesso che permette agli uccelli di conoscere le rotte delle migrazioni. Da questo presupposto, scientificamente plausibile, si passa alla fantascienza, facendo “rivivere” al protagonista le esperienze del suo antenato».

Ma c’è un altro aspetto affascinante nel videogame: «Nella battaglia tra Assassini e Templari, non è definito chiaramente chi siano i “buoni” e i “cattivi”», continua l’attore. «La moralità è molto sfumata, entrambe le fazioni hanno posizioni contraddittorie, c’è molta ipocrisia. Insomma il film non divide il mondo in bianco e nero, ma mostra un’ampia area di grigio, il che è interessante». Fassbender, nel film, è Callum Lynch, un fuorilegge che, condannato a morte per iniezione letale, si risveglia inaspettatamente vivo, ma in una località segreta. Qui la dottoressa Sophia Rikkin (Marion Cotillard, sua partner anche nel “Macbeth”), gli fa sperimentare una regressione mentale e fisica usando un marchingegno chiamato Animus. Questo attrezzo prodigioso permette a Callum di entrare nella memoria di Aguilar de Nehar, un suo antenato del XV secolo appartenente alla setta degli Assassini. «Per interpretarlo ho indossato lenti a contatto marroni, creando un effetto straniante: c’è qualcosa di diverso in me, ma non si capisce subito cosa», sorride Fassbender.

Il film è pieno di rimandi al grande cinema, assicura Fassbender: «Negli scontri tra Callum e i suoi sequestratori ci sono riferimenti a film come “Nick mano fredda” e “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, mentre Aguilar è un lupo solitario come il Clint Eastwood dei film di Sergio Leone. Del resto un’ampia parte del film è girata in Spagna, in luoghi che, per restare in tema, hanno la “memoria genetica” dello spaghetti-western».

E quali novità ci sono rispetto al videogame originale? «La grande novità, rispetto al gioco, è nella struttura dell’Animus. Nel gioco questo è una specie di poltrona da dentista, ma una cosa del genere era stata già vista in “Matrix”. Così è stato inventato questo gigantesco braccio robotico, cui Callum è agganciato e che gli permette di simulare fisicamente tutti i movimenti di lotta di Aguilar, compreso il “parkour” con cui salta sui tetti dei palazzi dell’antica Spagna. La cosa è piaciuta alla Ubisoft così tanto che, nelle prossime edizioni del gioco, incorporeranno la nostra versione dell’Animus».

L’aspetto fisico, ovviamente, ha un ruolo particolarmente importante in un film tratto da un videogame le cui caratteristiche principali sono le capacità acrobatiche dell’Assassino, che il giocatore è chiamato a incarnare in diverse epoche storiche. Ma come ha fatto Fassbender a diventare un maestro di parkour e di combattimento, dotato di capacità mistiche come l’“occhio d’aquila” (che permette di percepire istintivamente tra la folla le persone e le loro intenzioni) e per di più in grado di lanciarsi da grandi altezze, grazie all’iniziatico “Salto della Fede”? «Nel film c’è tutto», assicura Fassbender.«E per di più il novanta per cento degli stunt che vedete sullo schermo sono stati effettuati davvero: abbiamo usato pochissima computer grafica. Kurzel, infatti, non ama gli effetti speciali, preferisce mettere gli attori sul set il più possibile vicino alla realtà», spiega l’attore. «È stato così anche quando abbiamo girato “Macbeth”. In “Assassin’s” ho dovuto allenarmi un sacco e fare tanta palestra per non sfigurare in confronto agli stuntmen».

Ma c’è un limite a tutto: «Non ho pensato nemmeno per un momento di tentare il “Salto della Fede” da 38 metri, perché sarei morto», ride l’attore, «Damien Walters, la mia controfigura, è stato eccezionale: visto che Kurzel non voleva usare la computer grafica lui si è lanciato da quell’altezza in caduta libera, atterrando su un materasso gonfiabile di 10 metri per 10». Un’impresa che ha lasciato senza fiato anche gli spettatori. «Damien si è preparato gradualmente. Prima si è lanciato da 21 metri, poi da 27. Nel secondo salto però è caduto male e ha raccontato che era stato “come essere colpito in testa da una mazza da baseball”. Però non si è fermato: e dopo il salto da 38 metri ha detto che “il materasso da lassù sembrava un foglio formato A4”. Giorni dopo ho saputo che il suo è stato uno dei salti nel vuoto in caduta libera più alti degli ultimi 35 anni. Pazzesco!».