“Se non voti, ti cancello”. La norma contro l'astensionismo in Bulgaria
Domenica 6 novembre urne aperte per scegliere il nuovo presidente bulgaro. Secondo la legge elettorale recentemente approvata in Parlamento, chi si astiene per due volte di fila perde il diritto di voto. Una disposizione che fa discutere. I due principali contendenti, intanto, si dividono sull'invadenza della Russia
«Non supporto nessuno». È l'opzione che domenica 6 novembre i cittadini bulgari potranno sbarrare sulla propria scheda per le elezioni presidenziali. Ventuno candidati e una casella in più, dedicata, per la prima volta, a chi proprio non si fida della classe politica. Meglio rimanere a casa? E no, perché la nuova legge elettorale, approvata dal Parlamento di Sofia a poche settimane dal voto, parla chiaro: se non si partecipa a due consultazioni consecutive, si viene eliminati dalle liste elettorali.
Un paradosso per un Paese che ha fatto del consenso schiacciante un luogo comune. Ma le “maggioranze bulgare” sono il passato. Ora c'è bisogno di partecipazione, soprattutto se si pensa che il sistema d'elezione a doppio turno prevede il ballottaggio nel caso in cui nessun candidato raggiunga il 50 per cento più uno dei voti o se alla consultazione non prende parte la maggioranza degli aventi diritto. I «Non supporto nessuno», quindi, saranno conteggiati, aumentando le possibilità di elezione del presidente al primo turno.
L'obbligo di voto ha fatto discutere principalmente per l'indeterminatezza della legge riguardo le sanzioni. Sono esentati gli ultra settantenni e i disabili, mentre per tutti gli altri l'astensione è concessa solo dietro presentazione di documenti che attestino una “giusta causa”, tra cui l'assenza dal paese nel periodo delle elezioni, la malattia, gli impegni accademici o professionali. Chi, come detto, resterà a casa domenica e nel 2021, dal 2026 perderà il diritto di voto. Secondo i media bulgari, però, la sanzione potrà essere facilmente aggirata perché la legge non stabilisce tempi certi per la presentazione della “giustificazione” e non disciplina con adeguata precisione la lista delle “giuste cause”. È per questo che la norma viene considerata simbolica, seppure fin da subito in vigore. Almeno, sottolineano gli analisti, fino a quando la Corte Costituzionale non si pronuncerà in merito all'ipotetica inosservanza dell'art. 42 della Costituzione bulgara: «Ogni cittadino […] sarà libero di eleggere le autorità statali e locali e votare nel referendum».
Gli ultimi sondaggi danno in vantaggio Tsetska Tsacheva, candidata del partito di centro-destra Gerb (Cittadini per lo sviluppo europeo della Bulgaria) del premier Boyko Borisov e attuale presidente del Parlamento. I suoi detrattori le rimproverano la militanza nel vecchio partito comunista bulgaro. Un passato che la candidata non rinnega. «Nel 1989 quasi tutti erano comunisti qui», rispondono dal suo partito. Il contendente più accreditato è Rumen Radev, ex comandante dell’aeronautica nominato dal Partito Socialista Bulgaro (BSP). Un esterno, un tecnico, scelto da una formazione politica che per molti a Sofia è sinonimo di conservatorismo.
A dividere i candidati è soprattutto la posizione sulla Russia. Se nel dibattito televisivo del 19 ottobre, a una domanda sull'invasione della Crimea, la Tsacheva ha parlato di «gravissima violazione da parte della Russia», Radev si è limitato ad affermare che «il destino della Crimea dipende dal suo popolo». Nonostante la concomitanza con voti presidenziali ben più rilevanti, da Washington e Mosca si guarderà con attenzione all'esito delle elezioni in Bulgaria. Un Paese strategico perché considerato la porta dell'Europa verso est. Sempre che non vinca il partito del «Non supporto nessuno».