La vittoria del candidato repubblicano è l'evento imprevisto, il 'cigno nero' che poteva essere funesto e invece ha elettrizzato le piazze finanziarie americane. Ecco cosa prevedono gli analisti, oltre Atlantico e in Europa

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La vittoria di Donald Trump ha completamente mutato il clima nei mercati di tutto il mondo. L'avvento del “cigno nero”, cioè l'evento imprevisto e sconvolgente che può essere funesto oppure elettrizzante, nel caso del nuovo presidente degli Usa sta funzionando come un catalizzatore di reazioni positive nel mondo della finanza.

Lo S&P500, il Dow Jones Industrial, il Nasdaq dei titoli tecnologici, persino il Russell 2000, l'indice delle imprese a bassa capitalizzazione sono stati colti da una voglia di correre e sono partiti a razzo, tagliando traguardi che non si vedevano da quasi vent'anni.

Il toro è tornato, confermano anche molti analisti, azzardando la previsione che ci troviamo alla vigilia di una nuova età dell'oro in Borsa, come quella che gli Usa vissero negli anni Novanta. Merito soprattutto delle promesse della nuova gestione alla Casa Bianca di voler tagliare le tasse sulle imprese che produrrebbe, come stima Deutsche Bank, per ogni cinque punti percentuali di riduzione fiscale un aumento dell'eps (earnings per share, cioè utili per azione) di cinque euro sui titoli dello S&P 500. Insomma benzina per i mercati.
Analisi
Cosa insegna all’Europa la vittoria di Trump
15/11/2016

Tenere la bussola in un tale scenario non è facile. Intanto: è solo un fuoco di paglia? O si tratta davvero di un trend destinato a durare? Possibile che si sia passati dall'idea della “secular stagnation” al rinascimento tutto d'un colpo? E poi: come far giocare tutte le varianti che sono in campo, dal livello del dollaro ai tassi che i governatori delle banche centrali Yellen e Draghi dovranno prossimamente manovrare? È per questo che gli analisti delle banche d'affari si stanno dando da fare per sfornare suggerimenti e consigli, per intercettare i risparmiatori disorientati.

Intanto bisogna considerare che tra Usa e Europa c'è una bella differenza, perché mentre le Borse da quella parte dell'Oceano festeggiano, da noi in Europa il decennio perduto della crisi ha lasciato un segno indelebile sui profitti delle imprese: navigano ancora sotto del 30 per cento rispetto a prima della crisi. E in alcuni settori ha lasciato dei veri buchi neri. Le banche, innanzitutto, ma anche l'energia e le telecomunicazioni. In Italia, per esempio, il “buco” nei profitti delle imprese lasciato dal decennio perduto è ancora del 66 per cento, pari a quello del Portogallo, il doppio di quello dell'Europa nel suo complesso.

Poi ci sono le incertezze politiche, dalla conduzione della Brexit al referendum italiano alle elezioni in Austria, Francia, Olanda e Germania, incertezze che comportano uno scenario quanto mai avverso per chi vuole scegliere dove investire.

A guardare i primi effetti della vittoria di Trump sui grandi trend, oltre alla fuga dai bond a vantaggio delle azioni, c'è stata una fuga dall'oro, dal debito dei paesi emergenti, e una corsa al petrolio. Ma poiché per gestire i propri risparmi occorre guardare più avanti rispetto a queste prime reazioni, nel 2017 come bisogna muoversi?

Jurg Zeltner, capo del Wealth management di Ubs, ammonisce che per cercare di ottenere un rendimento del 5 per cento (di lusso, di questi tempi) occorre osare. Anche se i risultati elettorali e le conseguenti politiche non cambiano di fatto il clima economico del Vecchio continente, meglio girare alla larga e cercare altrove. Se invece si è già impegnati in investimenti europei e non si può uscire, meglio puntare su azioni di imprese il cui business è legato ai mercati emergenti.

Chi ha le mani libere, invece, può scommettere sulla Borsa Usa, anche se questa ha già corso tanto. Il secondo passo consigliato è quello del ritorno sui mercati emergenti.

In questo caso il rischio maggiore è quello legato alle loro valute, ma sia per il real brasiliano che per la rupia indiana che per il rand sudafricano, e persino per il rublo, la stima è che, nonostante si siano rivalutate nel 2016, siano ancora sotto rispetto al dollaro del 60 per cento e questo ne fa un buon acquisto, considerando anche che le rispettive economie si stanno riprendendo e promettono bene.

Quanto al dollaro, le previsioni per il 2017 di Ubs lo danno in discesa. Dopo aver corso guadagnando da due anni e mezzo a questa parte il 25 per cento, è venuto il momento per la valuta americana per un pit stop. La ragione è fatta da un insieme di fattori. Intanto la crescita dell'occupazione negli Usa, e l'aumento delle paghe che spinge gli americani a tornare a comprare, facendo rialzare la testa all'inflazione, che oltretutto la Yellen, capo della Fed, ha detto di voler tenere anche oltre il target del 2 per cento con l'obiettivo di mettere “l'economia sotto alta pressione”. Poi, la prevista ripresa del prezzo del petrolio. Infine, il promesso protezionismo di Trump. Ma non tutti sono d'accordo (per esempio Deutsche Bank), lasciando sulla valuta Usa molta incertezza.

Questi i “megatrend” di fondo. Certamente in una fase come questa, alla vigilia di un nuovo ciclo tutto da scoprire, il consenso sulle mosse da fare non è sempre univoco. La boutique finanziaria Kairos, per esempio, avverte che andare dietro ai mercati, comprando dollari a azioni (ma non utilities, né largo consumo) vada bene in un orizzonte di 12 mesi, ma non nel breve. Nel breve, ci sono ancora troppe variabili in movimento, dagli utili veri delle società americane, ai tagli veri che Trump deciderà sulla corporate tax. E anche a come deciderà di pilotare la valuta Usa per la maggior gloria della “grande America” promessa, come un nuovo pifferaio magico.