La capitale tedesca è attonita dopo l'attacco contro il mercatino di Natale. Davanti al grande campo profughi di Tempelhof la polizia disperde una manifestazione anti migranti. Ma chi lavora per l'integrazione dice: "Non possiamo cedere adesso"

È una Berlino in stato di shock quella che si è rimessa in moto all'indomani dell'attentato ai mercatini di Natale di Breitscheidplatz. Nella città simbolo dell'accoglienza tedesca, quell'ombelico del mondo che da sempre ama definirsi multikulti e che fra il 2011 e il 2016 ha accolto a braccia aperte una migrazione dai numeri incontenibili (250.000 i nuovi residenti in appena cinque anni, provenienti da ogni parte del globo, senza contare richiedenti asilo e rifugiati) si è aperta una ferita profonda.

Per le strade di Kreuzberg e Neukoelln, quartieri dalle storiche radici turche e arabe in cui si mescolano vecchia e nuova immigrazione, oggi è una giornata di sgomento. Le bancarelle di frutta e verdura nel mercato etnico di Maybachufer, appuntamento fisso del martedì per migliaia di turisti e residenti, rimangono quasi deserte.

Anche i musicisti di strada oggi hanno disertato il loro solito concerto, così sul piccolo piazzale in legno poggiato proprio sulla riva del canale, appena prima della strettoia che si apre sulla stretta fila dei bancali di cucina africana e bretzel, nel freddo bianco e sferzante di una mattinata lenta, si forma un capannello spontaneo di persone a discutere di quanto accaduto.

“Non riesco ancora a crederci. Siamo frastornati, preoccupati, delusi – spiega Anne, una giovane di 24 anni che dalla fine del 2015 collabora attivamente nel progetto di solidarietà “Give something back to Berlin”, una piattaforma che mette in contatto privati cittadini e associazioni con i rifugiati, per sviluppare iniziative comunitarie di integrazione – Ho come la sensazione che l'attentato possa distruggere tutti gli sforzi, tutto il lavoro che abbiamo portato avanti per mesi e mesi nel tentativo di costruire un tessuto sociale comune con i profughi arrivati a Berlino. Qui ci siamo sempre sentiti al sicuro. Qui non abbiamo mai avuto paura e io sono sempre stata orgogliosa della mia città, della civiltà e dell'apertura che abbiamo mostrato. Ma quello che è successo ieri cambia tutto. Non lo avrei mai immaginato, ma adesso anche io ho paura. Ho seguito gli attentati di Parigi e Nizza sui social e mi dicevo che a Berlino una cosa così non sarebbe mai accaduta, mai. È una situazione che va molto oltre l'avvenimento tragico di ieri, i morti e i feriti. Non riesco a immaginare che davvero ci sia stato un attentato qui, a Berlino.”


Dal 2015 ad oggi si calcola siano transitati da Berlino quasi 2 milioni di migranti. Di questi, 64.000 sono oggi sistemati in strutture dislocate all'interno dell'area urbana della città, mentre altri 55.000 si trovano negli spazi periferici intorno al perimetro amministrativo della capitale tedesca, spesso in vecchi ospedali, palazzetti dello sport, villaggi-container e altre sistemazioni di fortuna che il Senato di Berlino e lo stato del Brandeburg hanno approntato per gestire l'enorme flusso di arrivi. Un numero di profughi altissimo, che rende di gran lunga Berlino la città con la più altra proporzione di richiedenti asilo per chilometro quadrato di tutta la Germania (65 per km2) Un impegno straordinario, che ha visto le istituzioni locali stanziare quasi 8 milioni di euro supplementari negli ultimi due anni per affrontare l'emergenza.


Il campo profughi di Tempelhof, allestito 12 mesi fa nel vecchio aeroporto dismesso della capitale tedesca, dista una ventina di minuti a piedi dal mercato di Kreuzberg. Qui, al momento, sono alloggiati circa 2.500 richiedenti asilo: è la struttura ricettiva più grande di Berlino e senza dubbio anche una delle più centrali. Intorno ai gate d'entrata dei dormitori l'atmosfera è elettrica. L'operazione delle forze speciali di polizia tedesche delle prime ore del mattino ha lasciato il segno. A pochi passi dalle barriere di recinzione che dividono gli hangar dai viali di accesso, si sente l'odore del fango pestato e il rumore sordo delle inferriate che ritmicamente vengono chiuse dagli agenti. Appena fuori, un gruppo spontaneo di cittadini, saranno una trentina, agita cartelli con le scritte Refugees Not Welcome (i rifugiati non sono benvenuti).

I permessi per uscire dal campo sono revocati. I pochi profughi che fanno capolino alla postazione di controllo vengono rimandati indietro senza tante spiegazioni. “Adesso è il momento della maturità – dichiara Karl Mueller, 45 anni, attivista storico dell'area indipendente berlinese, punto di riferimento per tutti i progetti di integrazione sorti in questi mesi dalle iniziative popolari nate dal basso, incontrato mentre all'alba cerca di convincere il funzionario alla guardiola a lasciarlo entrare nel compound di Tempelhof – lo capisco, che la prima reazione sia quella di fermare tutto, di pensare che sia stato un errore sostenere la politica, anzi no, la cultura dell'accoglienza. Io invece penso che proprio adesso Berlino deve dimostrare di essere una città diversa da tutte le altre, una città coraggiosa e in grado di andare avanti, a testa alta, con il suo progetto multiculturale. Siamo più forti dell'estremismo e possiamo diventare un esempio di integrazione e tolleranza ancora più grande: l'importante è mantenere la calma e restare lucidi, evitando la caccia all'uomo generalizzata che si è scatenata nelle ultime ore.” Fuori dai cancelli, mentre Karl finisce di parlare, gli agenti sgomberano la protesta contro i rifugiati e sequestrano i cartelli razzisti. È anche questo un modo per provare a ripartire, una delle tante prove di maturità che Berlino dovrà sostenere durante le prossime settimane.