Referendum, ora si smonta il grande circo

Libri, spettacoli, tournée, endorsement, talk show, cene, opuscoli, task force sulla Rete. Grazie al cielo è finita. E adesso: soldati, riposo

E così, dopo aver sferragliato per quasi otto mesi, il carrozzone di botto si ferma da sé. Si aprono le urne, il gran circo referendario smonta. Ai più affezionati mancherà per qualche ora, agli altri nemmeno quello. Con gli ultimi due mesi sull’orlo di una crisi di nervi, a colpi di appelli, video, post, endorsement, like, bufale, e soprattutto comizianti pronti a tampinare chiunque a ogni attivazione di mezzo di comunicazione, finisce la campagna referendaria forse più lunga, di certo più estenuante, della storia recente: “Lo strazio”, l’ha battezzato Michele Serra. Pervasivo quanto lo furono temi come divorzio e aborto, appassionante quanto un seminario sul ruolo del Cnel dal dopoguerra a oggi.

Opinioni
Costituzionalisti da curva Sud
4/12/2016
Sono in molti comunque a non poterne più. Anche le task force dei due comitati, che lavorano da sei-dieci mesi e sognano una vacanza; e persino Maria Elena Boschi. La madrina della riforma, richiesta a Politics di dire cosa farà a urne chiuse, s’è in effetti premurata anzitutto di precisare che si dovrà «un po’ riposare», pur giurando in nessun caso si chiuderà tra le quattro mura come una Hillary Clinton di Laterina qualsiasi. Non è certo sola. «In tanti me lo chiedono: e adesso che facciamo? Ci vediamo ancora?», racconta il costituzionalista Massimo Villone, secondo le ultime statistiche più esposto del Comitato del No. Lui negli ultimi giorni ha dismesso il ruolo di Madonna Pellegrina e ha rallentato il ritmo, poco dopo aver conquistato l’inarrivabile Tessera Platino di Trenitalia a forza di fare su e giù per rotaia: «Chilometri percorsi, 30-40 mila», stima. Più di quelli totalizzati dal leghista Roberto Calderoli, che un mese fa ne festeggiava vanitoso i 20 mila tondi.

Si ferma l’avvocata del No Anna Falcone, giusto in tempo per partorire la prima figlia sul finire dell’anno. Si ferma pure il costituzionalista ubiquitario del Sì, Stefano Ceccanti: con un finale fatto di pranzi e cene private a Roma, nelle case che contano tra Prati e quartiere Trieste ma pure in parrocchia al Torrino, per un totale di 141 dibattiti (un terzo più dei colleghi Fusaro, Curreri e Clementi), tutti accuratamente memorizzati (due volte contro Azzariti, due contro Flick, il più bello al liceo Tasso). Da martedì, le consuete lezioni alla Sapienza e bon.

Insomma niente più giuristi on the road. E stop alle repliche del gigantesco tour: quasi duemila appuntamenti organizzati dal Comitato del No (704 sparsi per tutto il territorio), al ritmo di quaranta al giorno nelle ultime settimane quelli di Basta un sì (cinquemila comitati). Una campagna elettorale che nemmeno negli anni Cinquanta. Non esclusi i duelli televisivi, come quello cult - quasi un milione di telespettatori alle undici di sera di venerdì - di Matteo Renzi contro Ciriaco De Mita su La 7 (previo colloquio privato con Mentana per sincerarsi che l’ex premier sostenesse il confronto).

Niente più apericena, foto dei sindaci a volantinare nelle stazioni col buio delle sette del mattino (comitato del Sì), videocorso on line per imparare come si gestiscono i social (il No), monitoraggio h24 delle tv per scovare chi racconta frottole (comitato del Sì, compito affidato ai volontari più giovani della cinquantina dei presenti), redazione e diffusione di 14 dicasi 14 post al giorno via Facebook (comitato del No, in tutto sei persone). E basta pure con quei benedetti slogan fatti con le lettere maiuscole dentro alle parole: “La costituzione è NOstra”, “Hasta la victoria SIempre”. Tutte imitazioni della romana e grillina CoRAGGIo peraltro, sai che gusto e che fantasia.

Anche in libreria del resto smontano i totem dove si impilavano le monografie referendarie: un business che raramente è stato così fortunato, tanto da scalare i primi posti nella saggistica persino in estate (tra i dettagli da non dimenticare: gente che compitava l’articolo 70, nelle due versioni, al caldo e sotto l’ombrellone). Tra divulgativi e accademici, il conto rasenta i trenta volumi. Inizieranno dunque da ora il loro viraggio in seppia i “Perché no” (Travaglio e Truzzi), i Perché Sì (Boschi, prefazione), i “Perché no, perché si” (Onida e Violante), i “Loro diranno, noi diciamo” (Zagrebelsky), per arrivare - quando si dice il dialogo - “Oltre il sì e il no” (Mangia-Morrone); o addirittura alla Costituzione variamente aggettivata, quella “spezzata” (Andrea Pertici), quella “rottamata” (Federico del Giudice), quella da “aggiornare” (Crainz Fusaro).

Nelle università, dove del resto già per lo scorso anno accademico si sono messi in programma testi come quello “Contro il revisionismo costituzionale” (l’ha fatto appunto l’autore, il professor Azzariti, per la sua propria cattedra alla Sapienza), negli atenei si diceva sciolgono infine la riserva: per la serie, come ben sintetizzano fra l’altro all’Università dell’Insubria, che il corso di Istituzioni di diritto pubblico «evidentemente potrà avere un diverso contenuto, in ragione degli esiti del referendum». E ci mancherebbe. Avrà dunque fine l’incertezza che ha sin qui avvolto la vita dei comuni mortali, senza invece turbare i fan degli opposti schieramenti.

Perché poi, più nel volgo si vagolava tra i boh, o nella ciclotimia del Sì e del No, più lassù, nel circo referendario - tra il tour di Maria Elena Boschi in Sudamerica, le oltre cinquanta repliche in teatro di Marco Travaglio nello spettacolo anti-riforma, le lettere agli italiani all’estero, e il lancio incrociato di nomi di partigiani - non si risparmiava davvero niente e nessuno. Nemmeno la squadra del Mundial 1982 (Tardelli pel sì, Rossi non sa).

Neppure il solito Francesco Totti, che dopo aver scansato in settembre il tentativo di arruolamento da parte del comitato del Sì, giorni fa ha dovuto diffidare quelli del No ad utilizzare la sua effigie, nella celebre versione delle dita a forma di quattro gol contro la Juve («4 e torna a casa», fu il labiale contro Tudor da rivolgersi eventualmente contro Renzi), finendo così di nuovo - tacitamente e suo malgrado - dritto in braccio ai compiaciuti del Sì. E nemmeno, in fondo, i morti son stati tenuti fuori, visto che c’è stato chi tentava d’arruolare via Fidel Castro l’ultimo refolo di rivoluzione cubana, e chi lanciava la bufala su un sosia di Umberto Eco postumo fan del Sì («Chi vota no è un imbecille»), tra le molte urla del Web.

Dopo aver allontanato nel Pd Speranza da Cuperlo, Bersani da Pisapia, in certe case il Sì-o-No ha diviso davvero. E quando è accaduto lo si è saputo subito: i padri dai figli, come per l’ex giudice costituzionale Ugo De Siervo e il renziano suo figlio Luigi, oppure fratelli da fratelli (i due Ruotolo, Guido e Sandro), “figlie di” da “figlie di” (quella di Walter Veltroni per il Sì da quella di Massimo D’Alema per il No, pur a quanto pare amiche fra loro). Ha diviso pure coppie celebri: lo scrittore Andrea Camilleri (No) dall’interprete del commissario Montalbano Luca Zingaretti (Sì), l’attore Toni Servillo (No) dal regista Paolo Sorrentino (Sì).

Difficile del resto sfuggire dall’industria dell’appello, che in questo caso ha funzionato a meraviglia e si direbbe fino alla nausea. I primi a partire sono stati i 56 giuristi per il No, ma poi sono arrivati, fra gli altri, i 200 scienziati per il Sì, i 258 per un “Pacato Sì”, l’appello degli avvocati milanesi per il no, i 150 sindaci di comuni di montagna per il Sì, i 32 sindaci e 700 consiglieri per il No, i cento under 40 per il no, i “professorini” under 50 per il Sì, e spiace dover tralasciare qualcuno. Una massa sulla quale i leggendari “Masai per il Sì” si sono andati a posare qual ciliegina sulla torta. E chissà dove sono, chissà a cosa pensano, adesso, tutti costoro.

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