L'introduzione è un tentativo di rispondere alle esigenze di un mercato sempre più costoso. Per valutare se e quanto questo denaro potrà cambiare la vita dei malati serve una vera classificazione condivisa a livello internazionale

Sono 113 complessivamente i miliardi di euro previsti per il 2017 per il comparto sanitario dalla bozza della nuova legge di bilancio, un trend in crescita rispetto agli ultimi anni. La novità però è un'altra: 500 milioni di euro annui supplementari dedicati specificatamente al rimborso alle regioni per l'acquisto di farmaci oncologici innovativi, un fondo che già esisteva dal 2015, ma che ora diviene strutturale.

La domanda è ovvia: sono tanti, sono pochi questi 500 milioni? Cambieranno davvero le condizioni terapeutiche dei malati? L'introduzione di questo fondo rappresenta certamente di un tentativo di rispondere alle esigenze di un mercato, quello delle cure sanitarie oncologiche, sempre più costoso anno dopo anno, ma per valutare se e quanto questo denaro potrà cambiare davvero la vita dei malati sono necessarie valutazioni a monte, a partire dalla presa di coscienza che oggi una vera definizione, condivisa a livello internazionale, sulla definizione di “farmaco innovativo” non esiste.

Perché le cure costano sempre di più
La spesa pubblica per i farmaci oncologici (dato Osmed 2016) ha sfiorato nel 2015 i 3 miliardi di euro; contro i 1.898,5 miliardi del 2012. Un miliardo di euro in soli due anni. Gli ultimi dati Airtum poi parlano chiaro: da una parte ci ammaliamo sempre di più, dall'altra le percentuali di sopravvivenza crescono anno dopo anno. Nel mezzo, a tenere i fili di questi due fenomeni, ci sono la ricerca medica da un lato - e quella farmaceutica dall'altro.

Ad aumentare non è solo il prezzo del singolo farmaco: con esso cresce il numero di medicinali efficaci, quello delle terapie combinate e soprattutto aumentano i tempi di somministrazione delle terapie. Secondo quanto riporta il Rapporto 2016 sulla condizione assistenziale dei malati oncologici della Favo, la media della durata complessiva della terapia con nuovi farmaci antitumorali è progressivamente aumentata salendo da 118 giorni nel quinquennio 1995-1999 a 263 giorni per i nuovi farmaci introdotti nel 2010-2014.

Un aumento di sopravvivenza medio di due mesi
Avere a disposizione farmaci più efficaci è un bene, senza dubbio, per le sorti di chi oggi può sopravvivere al cancro, quando qualche anno fa non sarebbe stato possibile. Tuttavia, la questione è molto delicata. Anzitutto perché la definizione stessa di “farmaco innovativo” oncologico non è chiara e non è la stessa per ogni paese, mancando delle regolamentazioni stringenti a livello sovranazionale.

“Solo il 10% circa dei farmaci che vengono approvati come innovativi lo è davvero, nel senso che portano un reale valore aggiunto dal punto di vista terapeutico – spiega all'Espresso Silvio Garattini – cioè che si rivelano non solo non inferiori, ma superiori ai farmaci già in commercio quanto a riduzione di mortalità e morbidità e miglioramento della qualità della vita. Se consideriamo i 49 farmaci antitumorali prodotti negli ultimi anni (il dato è della Fda americana), la mediana dell'efficacia è un aumento della sopravvivenza di 2,1 mesi, il che significa che sebbene per alcuni la sopravvivenza sia molto più alta, la maggior parte di questi farmaci aumentano la vita media dei pazienti di due mesi.”

Il vero problema non sono i farmaci
“Sebbene il Fondo rappresenti una soluzione importante per tamponare il problema economico della rimborsabilità di questi farmaci per le casse delle singole regioni e garantire l’equità all’accesso per tutti i pazienti - racconta a L'Espresso Carmine Pinto, presidente di Aiom – non dobbiamo pensare che questa sia la soluzione, anche perché la principale criticità in oncologia non è rappresentata dall'appropriatezza di impiego dei farmaci: dobbiamo prospettare modifiche strutturali con moderni modelli di organizzazione, lavorando soprattutto sulle reti oncologiche regionali e sui percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali per una presa in carico globale e appropriata in tutti i suoi segmenti del paziente oncologico. Il farmaco è solo una parte e la più facile da monitorare: all’interno dei percorsi vanno definite, con un’unica regia, le strategie di controllo a partire dalla prevenzione e dagli screening, e l’appropriatezza per tutte le procedure diagnostiche e le cure e non soltanto per quelle farmacologiche.”

Per i farmaci inoltre è indispensabile definire cosa è realmente innovativo ed il rapporto tra valore e costo, in una visione più adeguata che consideri per le diverse patologie neoplastiche l’efficacia e la tossicità insieme alla numerosità potenziale dei pazienti e alle alternative e strategie terapeutiche. “Il Fondo che rappresenta la soluzione immediata dovrà, a nostro avviso, per evitare i problemi che si sono riscontrati nel caso dei farmaci per l'epatite C, avere una gestione unica da parte dell’Aifa con la possibilità di accedervi da parte delle Regioni a fine anno sulla base del volume di spesa”.

Immuno-oncologia e terapie target: cosa sono
Le principali frontiere farmacologiche in oncologia sono l'immuno-oncologia, e le cosiddette terapie a bersaglio molecolare. L'immuno-oncologia, lo dice la parola stessa, si basa sull'idea di stimolare il nostro sistema immunitario in modo che riesca a eliminare le cellule cancerose. Un approccio diverso rispetto alla radioterapia e alla chemioterapia, che mirano rispettivamente a distruggere le cellule tumorali bombardandole mediante radiazioni e a intercettare i meccanismi di proliferazione cellulare in modo che il tumore non cresca e non metastatizzi.

L'immunoterapia, che punta ad affiancarsi come strumento terapeutico a radioterapia e chemioterapia, sta diventando anno dopo anno sempre più una possibilità concreta per alcune categorie di malati, per esempio nel caso di melanoma e cancro al polmone. La terapia a bersaglio molecolare (Targeted Therapy) invece fa leva sulla presenza di recettori sulle cellule tumorali, per bombardarli, similmente a come avviene con la chemioterapia, ma con una sensibile riduzione degli effetti collaterali, dovuta a una maggior precisione.

Sei-sette nuovi farmaci nel 2017
Sempre secondo il Rapporto Favo, attualmente sono disponibili ben 132 farmaci antitumorali e solo negli ultimi 15 anni ne sono stati immessi sul mercato 63. La domanda sorge spontanea: sono tanti, sono pochi, questi 500 milioni? “Bisogna precisare che per il 2017 non ci aspettiamo più di sei-sette nuovi farmaci che potrebbero rientrare in questa prospettiva di reale innovatività, appartenenti a due macro categorie: i farmaci di nuova rimborsabilità e quelli a estensione di farmaci già rimborsati” precisa Pinto.

Troppo poche informazioni sui dosaggi
Un altro enorme problema è che di questi farmaci “innovativi” di fatto si sa poco, e quello che si sa proviene per la maggior parte dei casi da studi condotti da case farmaceutiche, non da ricerche indipendenti. “Questi farmaci vengono messi in commercio molto più rapidamente rispetto ai farmaci tradizionali, con l'obiettivo di fornire al più presto le cure ai malati, ma ne paghiamo lo scotto in termini di conoscenze” prosegue Garattini. “Gli ospedali si ritrovano per esempio con medicinali di cui non conoscono con esattezza i dosaggi da somministrare, che dipendono dai farmaci con i quali vanno combinati. Ma per avere queste informazioni serve tempo e servono ricerche indipendenti. Avere un nuovo farmaco non significa automaticamente saper curare meglio”.

Innovativo” in che termini?
Siamo dunque giunti alla vera questione spinosa: la relazione fra prezzo del farmaco e valore aggiunto. Ritornando un momento al Fondo previsto per il 2017, viene precisato che Aifa stabilirà entro il 31 marzo 2017 i criteri per la classificazione dei farmaci innovativi, che resteranno tali per 36 mesi. La definizione però non è chiara, in particolare per quanto riguarda gli studi sulla relazione fra efficacia e tossicità di questi farmaci. “Il nocciolo della questione – conclude Garattini – è che questi nuovi farmaci possono essere approvati senza dimostrare che sono davvero migliori degli attuali farmaci esistenti, e questo perché in molti casi mancano ricerche comparative approfondite, che richiederebbero appunto tempi più lunghi e studi indipendenti.”

C'è poi il punto eticamente più delicato e controverso di tutti: i farmaci innovativi, e quindi molto costosi, sono tutti “innovativi” allo stesso modo, indipendentemente da quanto aumentano l'aspettativa di vita dei pazienti e la loro qualità della vita? È evidente che la definizione stessa di farmaco innovativo diventa cruciale a livello politico e quindi economico. “Questo è sicuramente una problematica rilevante che contempla insieme etica, sostenibilità e scelte strategiche di politica sanitaria ed economica in un sistema sanitario universalistico come il nostro. A mio avviso il paradigma di migliorare la sopravvivenza non può essere separato da quello della qualità di vita. I vantaggi prospettati da nuovo farmaco vanno poi contestualizzati e rapportati ai risultati già ottenuti per le varie tipologie di tumore e fasi di malattia, che come sappiamo possono essere molto diversi come ad esempio in un paziente con tumore della mammella o con un sarcoma dei tessuti molli, o in una fase adiuvante post-chirurgica o di malattia metastatica” conclude Pinto. Garantire l’equità di accesso alle migliori cure possibili per tutti i pazienti ed in tutte le regioni del nostro Paese è un obiettivo cardine del nostro Sistema Sanitario, e quindi la definizione di farmaco innovativo deve necessariamente tener conto di tutto questo in un ambito di scelte non più rinviabili di politica sanitaria.

@CristinaDaRold