Aumentare i visitatori. Riaprire tutte le sale. Il neo direttore ?ha molti buoni propositi. Ma sottovaluta la burocrazia e la politica italiane

Nella stanza entrò un panciotto in seta variopinta che attirò gli sguardi di tutti. Dietro al panciotto si fece avanti un uomo alto dagli occhiali tondi, faccia simpatica da personaggio di Dickens, l’aria sicura di chi ha il fisico del ruolo. Chissà, potrebbe cominciare così un racconto intitolato “Un marziano a Brera”. Protagonista James Bradburne, 60 anni, anglo-canadese formatosi a Londra e Amsterdam, marito di costumista teatrale russa, collezionista di gilet o “waistcoats” sartoriali: ne ha settanta, li acquista a Parigi e a Firenze soprattutto. Secondo Fiona Graham-Mackay, ritrattista dell’alta nobiltà inglese, amica del principe Michael di Kent, i suoi sono «the best waistcoats in Florence», nonché tema di conversazione al club londinese The Athenaeum.

Bradburne è il nuovo direttore generale della Pinacoteca di Brera a Milano, e della Biblioteca Braidense, che con l’Accademia sono le principali istituzioni che coesistono - tra antichi problemi irrisolti - nel Palazzo di Brera voluto da Maria Teresa d’Austria. Una gemma culturale di Milano; ma gemma sottovalutata, anzi, peggio, trattandosi di denaro pubblico: mal valorizzata. «Paracadutato a Brera dal governo italiano», così il “Telegraph” di Londra, Bradburne è uno dei venti manager nominati dal ministro dei Beni culturali Dario Franceschini lo scorso agosto che, in virtù dell’autonomia gestionale, dovranno garantire ai nostri musei statali più efficienza, rapidità, potere negoziale. L’anglo-marziano ha appena presentato il suo programma di rilancio. Ha fatto promesse, ha smosso le acque. Ma l’Italia è tremenda e complicata: per due che ne accontenta, due ne scontenterà.
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Prima di riassumere la “soft revolution” del manager venuto da Firenze, dove ha diretto per otto anni Palazzo Strozzi, con successo, anche sotto Renzi sindaco, è bene ricordare un paio di cose. La Pinacoteca è un eterno malatino. Seconda forse solo agli Uffizi per qualità delle opere d’arte italiana dal Duecento all’Ottocento, ha numeri di visitatori incredibilmente bassi. Dai 300 mila di qualche anno fa è scesa a 269 mila (26° posto in Italia) nel 2014; nell’anno di Expo, 2015, è risalita appena a 285 mila. Pochi davvero: per capirci, il Castello Sforzesco ne ha avuti 614 mila.

Quanto all’Accademia, con i suoi 4 mila studenti è troppo cresciuta per restare in coabitazione nel Palazzo. Aule affacciate al cortile di Napoleone, studenti che bivaccano tra i turisti, servizi inadeguati, toilette pessime, cattiva luce, sporcizia, degrado. Se ne discute da anni. Ma l’ipotesi di un trasloco parziale dell’Accademia in una sede esterna all’altezza dei tempi, è di nuovo congelata. Il 31 luglio scorso, infatti, è scaduto l’accordo sulla caserma di via Mascheroni (la nuova destinazione) firmato nel 2008 e rinnovato nel 2010, dai tre ministeri, Beni culturali, Istruzione e Difesa. Niente. Non se ne parla più.
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Il direttore in conferenza stampa ha chiarito la priorità: migliorare subito l’offerta al visitatore del sistema Brera, partendo dalla trojka «ascolto, accessibilità, accoglienza». Una Grande Brera non «in senso immobiliare», ma come «visione cittadina» per rilanciare l’intero quartiere. Bradburne riprende la concezione «napoleonica» del palazzo di arti e scienze che era cara allo storico sovrintendente Franco Russoli. Annuncia cose buone e semplici. La più semplice: migliorare il decoro del cortile di Napoleone grazie a panchine, cestini, segnaletica, un museum café.

Ironizza: «Perché tutti studenti sdraiati per terra? Cattivi? Non sono cattivi! Mancano panchine!». Vuole riallestire in tre anni tutte le 38 sale della Pinacoteca, partendo nel 2016 da tre nuclei di alto valore simbolico: Raffaello, Mantegna e Caravaggio. Interrompere per il triennio i prestiti di opere. Proseguire il recupero dell’attiguo Palazzo Citterio per destinarvi entro il 2018 le opere del primo Novecento oggi sacrificate. Facilitare le donazioni con un conto corrente bancario («Finalmente Brera ha un Iban!»). Lanciare l’associazione American Friends of Brera. Aprire un ingresso laterale per l’Orto Botanico e l’Osservatorio astronomico. Organizzare per l’estate un “ballo di Brera” come evento glamour...

Un direttore, dice, dev’essere «un buon giardiniere» e «un buon attore». Deve saper presentare una visione. Bene. Ma la questione sovraffollamento? Il trasloco dell’Accademia? Temi affrontati dai sindaci Letizia Moratti (un poco) e Giuliano Pisapia (pochissimo), dai ministri La Russa (Difesa), Bondi e Ornaghi (Beni culturali). Temi su cui gli Amici di Brera, braccio della borghesia illuminata (ha favorito il restauro del grande Napoleone dell’Appiani), si battono da molti anni. E che il direttore dell’Accademia Franco Marrocco e i suoi professori, diversi dei quali hanno appartamenti a canone agevolato nelle prestigiose vie intorno al Palazzo, vedono come l’avvento di Satana.

Bradburne, interpellato da “l’Espresso”, dichiara: «Sono contrario alle soluzioni imposte dall’alto. Serve una nuova diplomazia. Io ho avviato un dialogo costruttivo con i vertici dell’Accademia e degli Amici, così come con il ministero. Non c’è bisogno di traslochi complicati. Una soluzione è sotto i nostri occhi, e spero che se il nuovo sindaco di Milano vorrà abbracciare l’idea, si possa centrare l’obiettivo. Penso al palazzo di fronte, Brera 19, accanto a Gucci: era destinato ad albergo di lusso, ma è vuoto da anni. Brera potrebbe prenderlo in affitto». Con quali soldi? Bradburne ha la risposta pronta: «I soldi seguono le idee».

Bradburne, però, rischia di vendere la pelle dell’orso prima di averlo abbattuto. Brera 19 è proprietà del gruppo Statuto che controlla il marchio W Hotels e a Milano ha aperto il primo Mandarin Oriental d’Italia. A “l’Espresso” non risulta che Giuseppe Statuto voglia rinunciare al palazzo. E il presidente degli Amici di Brera, Aldo Bassetti, esprime dubbi: «È positivo che Bradburne punti su un’accresciuta autonomia e una gestione collaborativa, contro le logiche della burocrazia. Per lui è prioritario il rapporto col pubblico, Brera come luogo aperto, efficiente, comunicativo. Ottimi propositi. Ma sottovaluta il problema della coabitazione: l’Accademia è un’eccellenza che si è indebolita per via dei numeri eccessivi, degli spazi inadeguati. Spostare una serie di attività è molto urgente, checché gli possano suggerire voci interessate».

Diversi osservatori, da Philippe Daverio ad altri esperti d’arte (e di Milano), pensano che Bradburne sottovaluti la micidiale burocrazia statale e i nostri machiavellismi politici. Un noto collezionista confida: «Alla terza assemblea sindacale in orario di punta gireranno le scatole anche a lui». Bradburne a Firenze ha lasciato un buon ricordo: Palazzo Strozzi rilanciato come centro culturale, belle mostre da Pontormo al Bronzino a “Bellezza divina”, vivace dialettica tra pubblico e privato. «È stata un’operazione abbastanza visionaria», riconosce Giuliano Da Empoli che con Renzi sindaco fu assessore alla Cultura: «Bradburne ha capacità di animazione, di marketing, di relazioni. Sa rivolgersi a fasce di pubblico nuove. Però il carattere è orgoglioso, spigoloso, non ama le pressioni locali, con Renzi ci fu anche qualche litigata».

Insomma sono avvertiti un po’ tutti. Un marziano a Brera, «handle with care». Maneggiare con cautela.