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Mondo
febbraio, 2016

La Spagna senza bipartitismo si scopre “italiana”

Il nuovo scenario parlamentare impantanato in estenuanti trattative tra partiti e veti incrociati. Iglesias rispolvera addirittura il “compromesso storico”. I tentativi di superare l'impasse per evitare il ritorno alle urne

“Un Parlamento all’italiana, senza italiani in grado di gestirlo”. Il ritratto della Spagna di oggi è un paragone con l’Italia di sempre, tracciato da Felipe González, segretario generale del PSOE fino al 1997 e presidente del governo tra il 1982 e il 1996, in una recente intervista concessa ad Antonio Caño, direttore del quotidiano El País. González lo aveva già vaticinato in passato: i risultati elettorali avrebbero scardinato la storica alternanza tra popolari e socialisti e la Spagna si sarebbe rimodellata su un arco politico all’italiana, composto da quattro forze politiche.

La fine di un ciclo, l’epilogo di una democrazia annosa, ben vista da chi ha vissuto la transizione spagnola, ma che non è stata in grado di rispondere alle nuove esigenze espresse dagli elettori. Il bipartitismo tramonta dove sorgono le enormi difficoltà riscontrate dai candidati nelle trattative tra partiti, per il momento infruttuose e spesso ostacolate dai veti incrociati. González aveva anticipato anche questo. “Sarà difficile mettere d’accordo fazioni contrarie, poiché la Spagna è maggiormente dominata dal sentimento tragico dell’esistenza, che dal passionale gattopardismo italiano”.

Pablo Simón, politologo e professore presso l’Università Carlos III di Madrid, sfata invece la presunta mancata maturità politica dei quattro leader nel gestire il nuovo scenario parlamentare. “Non sono d’accordo sul fatto che in Spagna non esista la cultura di governo di coalizione. A livello municipale e nelle comunità autonome, vi sono molte regioni che in passato hanno avuto questa forma di governo. Sono piuttosto la mancanza di disciplina, le divisioni interne fra partiti e la debolezza del nostro parlamento ad ostacolare la formazione del nuovo governo”.

È compito del leader socialista Pedro Sanchez, incaricato dal Re Felipe VI di formare un nuovo esecutivo, riuscire ad accordare le due nuove forze in attrito fra loro, Ciudadanos e Podemos. Declinata la proposta del Re lo scorso 22 gennaio, il presidente in funzione Mariano Rajoy si augura ad oggi il fallimento di Sanchez e rivendica la “vittoria” dei popolari alle elezioni. Nonostante la volontà del premier di non gettare la spugna, il recente scandalo di un possibile finanziamento illegale al PP di Madrid e le conseguenti dimissioni del presidente della sede del partito, Esperanza Aguirre, rappresentano un handicap considerevole nel recupero dei consensi per gli azzurri di Rajoy. Il leader socialista, intanto, prevede di sottoporsi al dibattito di investitura la prima settimana di marzo, nel tentativo di superare l’impasse ed evitare il ritorno alle urne.

L’opinione di Ignacio Torreblanca, editorialista di El País, ricercatore e direttore dell’ufficio del Consiglio “Affari Esteri” dell’Unione Europea con sede a Madrid, non potrebbe che sconcertare Sanchez. “La tentazione di Podemos è quella di eliminare i socialisti, come è accaduto in Grecia: i viola vogliono letteralmente fare fuori il PSOE”, spiega Torreblanca. “Uno scenario come quello portoghese, ovvero un’alleanza tra i socialisti e la sinistra radicale, è difficile da conseguire in Spagna, il PSOE si è molto indebolito nel tempo”.

L’obiettivo attuale di Iglesias consiste nel ricondurre i negoziati verso la sinistra e di escludere perentoriamente il partito centrista di Rivera dalle trattative. Iglesias parla addirittura di compromesso storico, fra i suoi molteplici riferimenti all’Italia. Per spiegare l’accordo che favorirebbe il PSOE, Podemos e i partiti nazionalisti e indipendentisti che siano necessari per governare, il leader abusa dell’espressione berlingueriana. La collaborazione storica tra il Pci e la Dc, che ebbe inizio nel 1976 in Italia, prevedeva accordi tra forze popolari d’ispirazione profondamente diversa tra loro, ma questo per Iglesias non è assolutamente concepibile.

“Iglesias ha studiato a fondo la traiettoria del Partito Comunista Italiano”, spiega Torreblanca. “Ciò che davvero lo affascina del Pci è la flessibilità teorica del partito: fu enormemente popolare e ottenne ottimi risultati elettorali, al contrario degli altri partiti comunisti europei, satelliti dell’Unione e marginati dalla vita elettorale. Il Pci s’interessò nel partecipare attivamente al governo e allo stesso tempo seppe stabilire una forte connessione con le classi popolari. Nel fondare Podemos, Iglesias si è ispirato anche a questo”.

L’amore per l’Italia da parte di Iglesias germoglia dalle letture universitarie, dalla passione per il filosofo Antonio Negri e dagli studi sui movimenti rivoluzionari e sociali che si svilupparono in Europa, in seguito alla Guerra Fredda. Negri, fra i principali riferimenti della sinistra radicale, diventerà una delle maggiori fonti d’ispirazione per Iglesias, oltre ad Antonio Gramsci. Come scrive Ignacio Torreblanca nel suo ultimo libro ‘Asaltar los cielos’ (2015), il programma politico di Podemos prese forma proprio tra le pagine della tesi dottorale di Iglesias, che si apre appunto con una citazione di Negri. “Questi ragazzi non sono meno rivoluzionari dei bolscevichi ma sono molto più intelligenti di loro, sono consapevoli del fatto che influenzare la società oggi significa passare attraverso le coscienze”.

Le influenze italiche sul carismatico leader si manifestano non solo nelle postume teorie politiche, ma soprattutto attraverso il linguaggio. La famosa “casta”, della quale tanti spagnoli hanno sentito parlare fino alla nausea, fu in primis il titolo del libro-inchiesta scritto dai giornalisti italiani Rizzo e Stella nel 2007. L’espressione venne da subito adottata da Beppe Grillo e strillata innumerevoli volte: come per Iglesias in seguito, la “casta” divenne sinonimo di nemico da abbattere.

L’attenzione di Iglesias si concentrò anche e soprattutto sul movimento italiano di disubbidienza civile delle Tute Bianche. Partecipò attivamente al G8 di Genova nel 2001 e rimase rapito dalla strategia comunicativa del movimento. I mezzi di comunicazione, soprattutto la televisione, diventeranno per Iglesias strumenti essenziali per la sua (efficacissima) strategia politica. In un recente articolo pubblicato su El Mundo, Iglesias si serve del cinema come metafora dell’ennesimo nesso politico con l’Italia, in un costante paragone con lo stivale. “Dobbiamo assumere che in Spagna non facemmo ‘Novecento’ (1976) di Bernardo Bertolucci, ma ‘La vaquilla’ (1985) di Luis García Berlanga. Quella è la storia del nostro Paese”.

Secondo Ignacio Torreblanca, “L’Italia non ha mai perso la capacità di instaurare patti e alleanze. Gli attori politici sono sempre stati in grado di vivere i momenti d’instabilità politica, senza inoltre ostacolare il funzionamento dell’economia. La politica è l’arte di negoziare accordi”.

Ma Iglesias, con l’ennesima parabola, li ha già avvisati: la storia della Spagna è anche una lotta tra fratelli. L’Olmo Dalcò degli Indignados sembra non avere la minima intenzione di fare amicizia con nessun nuovo Berlinghieri.

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