
In un ideale giro d’Europa su rotaia, negli anni Novanta, il testimone passò a Bucarest, alla Romania del dopo Ceausescu. La “Gara de Nord”, la stazione, era il terreno di caccia per pedofili provenienti da ogni dove, richiamati dal sesso facile, impunito e a basso costo che offrivano bambini orfani del comunismo e di famiglie che se ne sbarazzavano perché non in grado di mantenerli nella nuova stagione del liberismo spinto dopo quella di un welfare straccione ma pur sempre welfare. Le autorità vedevano e tacevano: non potevano ammettere il precoce fallimento sociale del governo che aveva sostituito la dittatura.
Fu grazie a Miloud Oukili, un clown franco-algerino capitato per caso in Romania, che lo scandalo venne alla luce. Letteralmente. Scoprì che quegli adolescenti, talvolta persino bambini, maschi e femmine, vivevano nelle fogne della capitale. Si vendevano per non morire di fame, e poi dalle botole attorno alla stazione si inabissavano nelle viscere del sottosuolo. Sniffavano colla (l’Aurolac) per stordirsi e avevano creato una comunità delle tenebre con regole da branco. Per calcolo spannometrico ma non lontano dal reale se ne censirono almeno duemila. Miloud riuscì a salvarne, a farne emergere, almeno ottocento. Insegnò loro i trucchi del circo finché alcuni diventarono attori di uno spettacolo che aveva il senso di una rivincita.
Il clown fu aiutato con una strepitosa gara di solidarietà, quando la sua storia venne alla luce, da noi con un articolo su “D-La Repubblica” del 1998. I ragazzi di Bucarest furono addirittura chiamati ad aprire il Carnevale di Venezia. Coi fondi raccolti fu possibile affittare degli appartamenti sociali per ricoverarli in condizioni degne di essere umani (ancora oggi è attiva una ong, “Parada Italia”, che se ne occupa).
La Romania sembrava allora un accidente della storia. Un ritardo che presto sarebbe stato sanato verso il nuovo ordine mondiale di pace e benessere. Un’eredità della fine del comunismo non dissimile da fenomeni analoghi di bambini di strada oltre la cortina di ferro, San Pietroburgo, ad esempio. Qualcosa di lontano da noi, comunque, come arrivasse da un altro mondo. Con cui potevamo provare empatia ma che non ci apparteneva. Potevamo identificarci con la Berlino di Christiane F., con quelle vittime in fondo borghesi, non con quello spaccato straccione che Miloud impietosamente ci rivelava.
Ma le convulsioni di un pianeta ribollente scaricano adesso su Roma i derelitti e gli esclusi. Nel tour d’Europa su rotaia è la stazione Termini l’epicentro dell’orrore, più simile alla Romania che alla Germania. È qui che accorrono i pedofili (vedi il caso descritto nell’articolo di Floriana Bulfon dell’uomo di Chicago) attratti dal tam-tam che segnala il nostro Paese come luogo possibile dove esercitare la loro depravazione. È qui che fanciulli espulsi dalle loro terre per guerre e carestie si inventano la vita nei cunicoli o sotto gli alberi. Confusi tra viaggiatori distratti e pellegrini arrivati in treno per il Giubileo di Francesco.
Il prefetto Gabrielli promette adesso (vedi l’intervista) una vigilanza nell’area ridotta a girone dantesco «sei giorni su sette, da mattina a sera». Perché non sette giorni su sette e anche di notte, se non riposa mai il bisogno delle migliaia di minori arrivati da noi senza famiglia e scomparsi dai radar del pubblico controllo? «Sono partito dall’Egitto e ho trovato l’Egitto», ha commentato uno di loro. E nella frase innocente c’è il nostro sprofondare, la deriva della nostra capitale verso il sud del Mediterraneo. Lontano da quell’Europa a cui vorremmo assomigliare. C’è solo da sperare che, svelato lo scandalo, non si abbia bisogno di un Miloud, ora, per risolverlo. Che l’Italia non abbia bisogno di eroi, ma sappia trovare nelle sue istituzioni la forza, il coraggio e l’impegno civile per non voltare la faccia davanti allo specchio del nostro fallimento.