Ritratto del franco-israeliano che ha costruito un impero mediatico comprando soprattutto aziende in difficoltà. Ed è ora il 57° uomo più ricco del mondo

Patrick Drahi (Foto: CC BY-SA 2.0)
Patrick Drahi, chi è costui? Il grande pubblico dovrà cominciare a prendere confidenza con questo nome peraltro discusso, chiacchierato e ben noto negli ambienti finanziari. Non solo perché con la cifra di 14 miliardi di euro il suo patrimonio è considerato da “Forbes” il primo di Israele, il quinto di Francia (ha la doppia nazionalità) e il 57° nel mondo.

Ma soprattutto perché, nell’ultimo biennio, ha rafforzato e molto allargato, in Europa come in Medio Oriente, il suo impero nei settori delle telecomunicazioni e dei media. Ultimo colpo: l’acquisizione per 300 milioni da parte di Altice, il suo gruppo, dei diritti in Francia per i prossimi tre anni della Premier League inglese. Li ha strappati all’ex storico gigante televisivo dello sport Canal Plus.

La scalata che sembra irresistibile di Patrick Drahi comincia ad assumere i toni della marcia trionfale nel 2014 quando dal gruppo Vivendi acquista SFR, uno dei quattro operatori telefonici francesi, battendo la concorrenza di Bouygues si dice grazie all’aiuto di Vincent Bolloré, il miliardario bretone amico di Nicolas Sarkozy, oggi proprietario di Canal Plus. E nonostante il governo non avesse fatto mistero di preferire il suo avversario. L’allora ministro Arnaud Montebourg aveva infatti tuonato dalle onde radio di Europe 1: «Avremmo delle questioni fiscali da porre al signor Drahi che dovrebbe rimpatriare i suoi beni in Francia visto che vive in Svizzera». Era stata pronta la risposta di Patrick: «Penso di investire tre miliardi di euro in Francia. Mi sembra un rimpatrio massiccio».

Il vero sogno dell’imprenditore è coniugare mezzo e contenuto, far diventare l’operatore editore stesso di ciò che propone. Da qui la nascita di “Zive”, una sorta di Netflix francese con una piattaforma di 5 mila film e serie televisive che diventeranno 15 mila alla fine del 2016, di cui una buona parte dedicata ai bambini. L’estate scorsa ha acquistato anche il 49 per cento delle azioni del gruppo NextRadioTV di cui fanno parte BFM TV, la tv di informazione indipendente che nel giro di 10 anni è diventata un punto di riferimento essenziale per i francesi e RMC. Entro il 2019 tutto il gruppo di Alan Weill e quotato 700 milioni, diventerà di Drahi che intanto, per non farsi mancare nulla, al suo attivo ha anche la tv di informazioni israeliana i24 news (2013), la francese Ma Chaîne Sport dove probabilmente trasmetterà il calcio inglese (a pagamento), l’operatore Virgin Mobile, i giornali “Libération” (giugno 2014) e “l’Express” (febbraio 2015) insieme alle altre testate del gruppo belga Roularta.

Talvolta qualcuno gli dice anche no: proprio Martin Bouygues, per esempio, a capo dell’operatore che porta il suo nome, ha rifiutato la proposta di Drahi nel giugno scorso di comprare la società per 10 miliardi.

LICENZIO DUNQUE GUADAGNO
Non solo successi, però. Anche i dubbi e le critiche. SFR, per esempio, sta ricevendo montagne di lamentele da parte di abbonati arrabbiati perché il disservizio e i problemi tecnici sono continui. Ma questo non sembra certo inquietare troppo Drahi. I suoi metodi sono quelli dell’imprenditore che non lascia spazio a sentimentalismi di nessun genere: gli stipendi devono essere ridotti al minimo e quelli più pesanti vanno tagliati, anche a scapito della qualità. Cosa successa al suo arrivo a SFR: i dirigenti più costosi sono stati licenziati. Molti fornitori non sono stati pagati e sono dovuti ricorrere al tribunale per recuperare almeno parte dei soldi. Un problema che non ha sicuramente vissuto il calciatore del Real Madrid Cristiano Ronaldo: la star portoghese è stata scelta per essere testimonial di SFR.

Ronaldo a parte, per Drahi i costi vanno ridotti ovunque e comunque. Che si debbano licenziare giornalisti o dirigenti, nessuna esitazione. È successo a “Libération”, e anche all’“Express” si vive con questa spada di Damocle. Drahi accumula debiti però le banche gli danno fiducia. Perché compra società in perdita e con quanto risparmiato qualcosa rimborsa. L’economista francese Benoît Boussemart ha ricostruito un organigramma dettagliato del suo impero da cui emerge che le sue società sono controllate da holding che hanno sedi in paradisi fiscali. Altice, per esempio, la casa madre, è quotata alla Borsa di Amsterdam ma sta in Lussemburgo.

LE ORIGINI IN MAROCCO
Drahi, invece, risiede ufficialmente a Zermatt, in Svizzera, dal 1999 con la moglie Lina, di origine siriana e i quattro figli (il suo sogno è che un giorno prendano le redini dell’impero). Secondo i suoi collaboratori è più giusto dire che abita nel suo aereo privato, visto che vive spostandosi per il mondo per seguire gli affari (passerebbe in volo almeno 700 ore l’anno). Si divide tra le ville di Tel Aviv, Parigi e Ginevra e il venerdì cerca di tornare sempre dalla famiglia. A proposito di famiglia: il “Wall Street Journal” ha raccontato che ha conosciuto la moglie durante una serata tra studenti e un’ora dopo le ha chiesto di sposarlo incassando il sì della diciottenne Lina, studentessa in medicina. Da allora, era il 1980, non si sono più lasciati.

Ma chi è Drahi? Un uomo che si definisce amante della musica classica e a cui piace ricordare di essersi fatto da solo. Di cui si sa tutto e niente, ineffabile, sfuggente eppure presente. Che non ama i giornalisti, ancor meno le interviste, né la mondanità e le ostentazioni. Tutto deve essere essenziale, come solo i numeri - il suo dogma - sanno esserlo.

Cinquantadue anni, franco-israeliano (molte le polemiche legate anche alla sua doppia nazionalità) è nato a Casablanca da una famiglia ebrea marocchina. I genitori sono professori di matematica. Il ragazzo apprende velocemente, al punto che a 15 anni corregge già i compiti degli alunni di mamma e papà. Ha quell’età quando la famiglia si trasferisce a Montpellier: si diploma alla Scuola Nazionale di Telecomunicazioni. Si impiega nella Philips dove resta per cinque anni. Un lavoro che gli sta stretto. Pensa in grande. Vuole diventare imprenditore per essere ricco. Lo racconterà lui stesso in uno dei rari discorsi pubblici: «Volevo diventare miliardario quando ero ragazzo. Ero ossessionato dalle classifiche di Forbes quando vedevo i Top 100 dei più ricchi e mi ero reso conto che ce n’erano almeno dieci nel settore del digitale». Il suo punto di riferimento è John Malone, padre fondatore del digitale americano. Il suo amore per il digitale nasce 25 anni fa, quando negli Stati Uniti è già normalità ma in Francia e in Europa un’idea futuribile perché tutti stravedono per la parabola e l’idea di un’alternativa fa storcere il naso a molti.

Drahi invece ci crede e comincia a fare il suo personale tour nel sud della Francia, nei piccoli comuni dove il digitale non esiste. Comincia da Cavaillon, si presenta al sindaco in carica e propone il suo progetto che viene accettato. Nel 1993 lancia il suo primo operatore digitale Sud Câble Services. È il primo passo di una lunga serie, quello che diventerà il suo cavallo di battaglia e lo porterà a costruire il suo impero: inizia, infatti, a comprare gli operatori più celebri del settore e nel giro di pochi anni diventa il più importante proprietario di digitale in Francia. Ma non si limita all’Esagono: fa shopping in Portogallo, nella Repubblica Dominicana, in Africa, ovviamente negli Stati Uniti. E in Israele dove scala, è il 2009, l’operatore Hot.

Tra tanto business anche qualche iniziativa benefica. Crea una Fondazione a nome suo e della moglie. Con quello strumento dona, ad esempio, 7 milioni alla scuola Politecnica di Parigi (il mecenate più munifico dell’istituzione), finanzia una scuola di musica classica in Israele e regala tre milioni di dollari all’Università ebraica di Gerusalemme. Perché, commenta, «dare è diventato una necessità. Filantropia significa preparare il futuro».