Mads Andenas, non ha dubbi: "Il Working Group è sotto una forte pressione ogni volta che deve pronunciarsi su stati che stanno facendo un servizio agli Stati Uniti in violazione di loro obblighi in tema di diritti umani"
«Sono assolutamente convinto che il Working Group delle Nazioni Unite sulle detenzioni arbitrarie si sia ritrovato sotto una fortissima pressione politica». Così, sul quotidiano londinese “Guardian”, Mads Andenas ha commentato la decisione del
Working Group che ha dichiarato Julian Assange “detenuto arbitrariamente” da Svezia e Inghilterra. Andenas è diplomatico norvegese, professore di legge all'università di Oslo e, a partire dal 2009, per sei anni ha fatto parte e anche guidato il Working Group.
Membro di alcune delle più prestigiose istituzioni accademiche di diritto, come l' “Institute of European and Comparative Law” dell'università di Oxford e visiting professor all'università La Sapienza, Andenas racconta a “l'Espresso” quanto sia difficile per il Working Group emettere giudizi critici di paesi come gli Stati Uniti, l'Inghilterra e la Svezia, considerati rispettosi dei diritti umani.
Professore, perché parla di pressioni?«Questo caso è speciale: ci sono interessi così forti che i membri del Working Group e quelli del Segretariato, che hanno preso e reso possibile questa decisione, sono stati veramente coraggiosi: hanno fatto un lavoro impressionante e nessuno li ringrazierà. Il livello di sofisticazione della campagna contro Assange è molto alta».
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Quando ha saputo che Julian Assange aveva presentato un ricorso alle Nazioni Unite?«Nel 2014».
Lei conosce i dettagli del ricorso e lo considera ben fondato?«Sì, conosco il ricorso e lo considero ben fondato».
Secondo lei, la Svezia e l'Inghilterra hanno avuto l'opportunità di accedere al ricorso e di presentare le loro opposizioni agli argomenti giuridici usati dalla difesa di Julian Assange?«Assolutamente sì: non ci sono dubbi al riguardo. Il Working Group lavora in base a una procedura in cui tutte le parti del contenzioso hanno accesso ai documenti e possono presentare controdeduzioni agli argomenti della parte avversa».
Secondo il Guardian, lei avrebbe dichiarato: “Sono assolutamente convinto che il Working Group si sia ritrovato sotto una fortissima pressione politica”. Cosa le fa credere che sia andata così?«Confermo che il Working Group è sotto una forte pressione ogni volta che deve decidere su grandi stati come l'Inghilterra o anche la Svezia, paese noto per i suoi standard nella difesa dei diritti umani, e in particolare si trova sotto pressione quando il caso riguarda un “servizio” che questi due stati stanno facendo agli Stati Uniti in violazione di loro obblighi in tema di diritti umani. Per prima cosa, i membri del Working Group devono considerare tutto molto seriamente, come del resto fanno anche per gli altri casi. Alcuni paesi cercano anche di fare pressioni con mezzi più o meno sottili. E sono sicuro che sia accaduto nel modo in cui è accaduto alcune volte. Molti contatti sono legittimi, ma c'è un limite a quello che gli stati o i loro rappresentanti dovrebbero fare o dire. Durante il mio mandato, questo limite è stato rispettato in linea di massima, e molti degli stati sono attentissimi e gestiscono bene questo limite, come dovrebbero. Quello di Assange è un caso in cui ci sono molte forze istituzionali in gioco, un caso in cui si può temere che ci siano state anche pressioni inappropriate e informali».
Svezia e Inghilterra hanno completamente liquidato la decisione del Working Group e il Regno Unito si è spinto a definirla “francamente ridicola”. Lei come commenta queste reazioni?«Sono reazioni che non aiutano. Tutti gli stati devono accettare di essere soggetti alle Nazioni Unite. Quando i paesi rispondono in questo modo, danneggiano il rispetto dello stato di diritto e delle Nazioni Unite. E quanto al commento del ministero inglese degli affari Esteri, penso che rimpiazzare il ragionamento con le invettive non sia una buona scelta. L'Inghilterra ha reagito nello stesso modo in cui reagiscono nazioni a cui non vuole essere paragonata».