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Mondo
marzo, 2016

Clinton vs Trump, sfida all'ultimo muro tra i due grandi antipatici d'America

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Ad oggi sull'influente tavolo delle scommesse di Londra la Donna batte il Magnate tre a uno. Eppure la vittoria non è così scontata

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Ogni campagna presidenziale ha il suo slogan o il suo emblema. Quella americana, una delle più avvincenti degli ultimi anni non solo per la tipologia fuori copione dei candidati ma anche per le nuove istanze sociali che ha finalmente posto al centro del dibattito pubblico, ha come simbolo il muro. «Innalziamo muri contro gli immigrati che ci vogliono indebolire» dice lui. «Distruggiamo muri e barricate in nome dell'unione», risponde lei. Intorno al muro, il simbolo per eccellenza della paura, con la sua carica divisoria - noi e gli altri, chi ha e chi non ha, chi è dentro e chi è fuori – ruota la sfida presidenziale e l'emotività di cui essa si nutre.

Ma andiamo per gradi. La conclusione delle votazioni di questo super Martedì ha fatto emergere Hillary Clinton e Donald Trump come gli sfidanti ultimi per il trono della Casa Bianca. Salvo colpi di scena dell'ultimo minuto. Entrambi hanno conquistato la maggioranza degli stati in uno dei momenti cruciali delle primarie americane. Entrambi risultano favoriti rispetto agli sfidanti nei sondaggi delle prossime votazioni. Solo qualche settimana fa sembrava un risultato troppo scontato per avversarsi davvero. E invece.

Il Magnate di aziende fallite dai fantomatici capelli gialli e dai tratti di Paperon de Paperoni, mai un giorno di lavoro in politica, centinaia di lavoratori stagionali illegali nelle sue proprietà, un passato di tifoseria politica altalenante, è deciso a sedersi nello studio Ovale e a non fare entrare lei, la Donna che studia da un quarto di secolo da presidente. Ad oggi sull'influente tavolo delle scommesse di Londra la Donna batte il Magnate tre a uno. Eppure la vittoria non è così scontata. Anzi.

Entrambi i personaggi hanno il record di essere i politici meno amati del Paese. Ma Hillary rappresenta il vecchio, Donald il Nuovo. Lei l'establishment dalla lingua felpata, lui lo scugnizzo che non la manda a dire. A differenza nostra, per gli Stati Uniti è la prima volta che far parte dell'establishment non “paga”. Perché per la prima volta in vent'anni il grande tema non è solo e non è tanto come conquistare il voto dei neri e dei sudamericani ma, al contrario, come calmare il malcontento di una classe media bianca in via di estinzione. Seppellita dai miliardari della tecnologia e della finanza in un Paese in cui la disparità economica è tra le più profonde al mondo e certamente la maggiore del mondo occidentale.

Per Donald, il repubblicano “di sinistra” la soluzione è conservare lo status quo sociale (non abbatterlo come vogliono i repubblicani classici che hanno in odio ogni forma di assistenza pubblica) e, soprattutto, impedire l'ingresso all'Eldorado americano a musulmani e messicani. Un muro contro questa onda immigratoria che li minaccia, sottraendo benessere. Falso ma consolatorio per molti.

Per Hillary all'inizio della campagna il tema non esisteva e infatti è stata investita dalla popolarità di Bernie, l'uomo che dell'ingiustizia economica ha fatto il cavallo di battaglia. Lei era ancora rimasta ancorata alla necessità di affascinare le minoranze etniche, portando a termine la fase di riconciliazione iniziata con il presidente Obama, che di fatti le hanno giurato eterna alleanza e che rappresentano lo zoccolo duro dei suoi elettori. Da oggi invece Hillary dovrà cercare di conquistare anche i poveri che sono tali non per il colore della pelle o la provenienza di origine ma per l'incapacità dell'America di redistribuire più equamente l'immensa ricchezza che è in grado di generare.

Non le basterà parlare di inclusione dal pulpito di una sinistra ricca e potente che i muri li abbatte con le ruspe e non con il piccone: dovrà offrire soluzioni che non siano l'espulsione o l'erezione di un muro.

E, come ben sanno le sinistre europee, è una sfida molto più complessa e di difficile charme.

D'altronde Hillary non ha mai avuto vita facile. Le si devono riconoscere ostinazione sovrumana e pazienza infinita, a dispetto della collezione impressionante di sconfitte e difficoltà che ha raccolto in questi anni: dalla riforma della sanità proposta come First Lady e vistasi bocciare sonoramente allo scandalo delle email inviate da un server privato; dalle critiche sulla sua inesperienza in politica a quelle sull'eccessiva esperienza, adesso vista comunque come non sufficiente data la mancanza di carisma.

Per anni, ogni volta che la Donna ha provato a rimediare ad una debolezza un'altra si è subito palesata. Un ritratto in cui, azzardo, molte donne over 40 tenderanno a riconoscersi. Ma in un Paese ancora giovane e ferito proprio lì dove brucia di più, nel portafoglio, da un'economia in cui Wall Street (la finanza) and TecnoWall (la tecnologia) si sono alleate contro Main Street (l'industria tradizionale) non è detto che saranno neri, messicani e donne attempate a portarla al meritato seggio. Nei prossimi sei mesi avrà davanti due strade: creare una strana alleanza tra democratici conservatori e quei repubblicani moderati che hanno in odio il messaggio populista del Magnate o elaborare un nuovo discorso che sia sì di unione tra tutti, ma costruttiva e pragmatica. Che faccia intravedere gli strumenti concreti con cui l'America potrà costruire reti anche per i più poveri, i meno intelligenti, i meno meritevoli: un numero crescente e con diritto di voto. Chissà. Magari un'occhiata all'Europa le potrebbe giovare.

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