I tre commissari del Consorzio Venezia Nuova denunciano un sistema di spesa che continua a procurare danni allo Stato per decine di milioni di euro. I benefici vanno in tasca ai soliti noti: Mantovani, Fincosit e Condotte. E il rapporto dell'Anac di Cantone finisce in Procura 

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Una lettera di sei pagine datata 2 febbraio e anticipata dall’Espresso in edicola venerdì 4 marzo e già online su Espresso+ riscrive la storia del Mose, il sistema delle dighe mobili per la salvaguardia di Venezia. Il mittente è Raffaele Cantone, presidente dell’autorità anticorruzione (Anac). Il destinatario è il prefetto di Roma, Franco Gabrielli.

Il suo predecessore, Giuseppe Pecoraro, ha firmato quindici mesi fa il commissariamento del Consorzio Venezia Nuova (Cvn), il mostro a due teste che dalla capitale alla Serenissima ha gestito per trent’anni 5,5 miliardi di euro pubblici spediti in laguna ad arricchire un pugno di imprese: la Mantovani di Padova, la romana Condotte e Fincosit Grandi Lavori dei fratelli veronesi Mazzi. Il breve memoriale dell’anticorruzione lancia un’accusa esplicita.

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L’inchiesta penale che ha colpito le aziende del Consorzio e oltre quaranta fra manager e politici non ha cambiato la sostanza, il metodo e le modalità degli investimenti nelle opere contro l’acqua alta. Le stesse imprese che hanno fatto il bello e cattivo tempo durante la gestione del doge Giovanni Mazzacurati, storico presidente del Cvn, e di Piergiorgio Baita, plenipotenziario della Mantovani, hanno continuato a seguire il modello fissato dai governi della Prima Repubblica, padri poco nobili di uno spreco infinito.

Pochi appalti a gara, alla faccia delle procedure di infrazione dell’Ue, e un sistema perfetto per incamerare i ribassi d’asta, lucrare sulle forniture e sulle differenze di prezzo. Un fiume di soldi manca all’appello a fronte di lavori fatti male. I calcoli sull’«utile ingiustificato» evidenziano una cifra di almeno 53 milioni di euro, ai quali vanno sommati altri milioni di euro pagati per la cosiddetta “progettazione costruttiva”. E c’è una relazione diretta fra questi margini e i 40 milioni di «fondi occulti destinati anche al pagamento di tangenti». Sono queste le conclusioni del documento di diciotto pagine firmato dai tre commissari che dal dicembre del 2014 governano il Consorzio: Luigi Magistro, Giuseppe Fiengo, e Francesco Ossola. Il rapporto, inviato all’Anac dopo sei mesi di indagini interne, ha convinto Cantone a chiedere il commissariamento della Comar, dopo il Cvn. La richiesta è stata accolta e firmata dal prefetto di Roma Gabrielli l’8 gennaio. «Il paradosso», afferma Cantone, «è che Comar continua ad essere gestito dalle stesse imprese che sono state escluse dalla gestione del Cvn dopo il commissariamento». Il presidente dell'anticorruzione ha spedito la sua relazione alla Procura della Repubblica per approfondimenti. 

Sulle modalità e i tempi necessari a completare l’opera, Magistro ha detto all’Espresso: «Sarebbe il colmo che restasse un’incompiuta dopo avere speso miliardi di euro. Tra i nostri compiti c’è anche quello di portare a termine l’opera, nell’interesse dello Stato, mettendola al riparo da episodi di corruzione. Lo faremo con l’aiuto di tutti nei tempi previsti, spero entro il giugno 2018».

L'articolo integrale sull'Espresso in edicola da venerdì 4 marzo e online su Espresso+