Nel distretto romagnolo il metano ?fa vivere molte imprese hi-tech. ?Che ora puntano sulle energie verdi
È al secondo piano del palazzotto rosso di via Pellegrino Matteucci, mezzo chilometro in linea d’aria da Piazza del Popolo, che si consuma la divisione che attraversa un bel pezzo di Ravenna e che, semplificando, si può definire
la disfida delle trivelle.
Nell’edificio che ospita la Camera del Lavoro e che la Cgil ha ristrutturato nel 2000 ed è stato sanatorio, teatro, rifugio delle armi dei partigiani, c’è solo una parete a dividere l’ufficio della Fiom, schieratissima per il “Sì” nella consultazione, e della Filctem, che rappresenta i lavoratori chimici, tessili, dell’energia e dei manufatti, il cui segretario generale, Emilio Miceli, molto si è speso, invece, contro il referendum.
La provincia romagnola è sensibile più di tutte all’appuntamento del 17 aprile. Perché qui c’è il polo dell’Oil & Gas, che da molti decenni s’affanna e si affina intorno al business messo in moto dalle piattaforme per l’estrazione del metano piazzate in questo tratto di Adriatico. Quindici di queste, sottolinea Miceli, rischiano di essere stoppate entro il 2018, visto che scadono le concessioni e si trovano dentro le 12 miglia.
E siccome nel polo, addetti Eni compresi, sgobbano in seimila, gli imprenditori che costruiscono e manutengono le piattaforme e si occupano dei servizi accessori temono che un “Sì” avrebbe effetti disastrosi su aziende e occupazione.
Le cifre su quanti lavoratori rischiano davvero il posto ballano frenetiche come al suono del fox-trot, anche se qualche ricaduta negativa se l’aspettano quasi tutti. «Già gli investimenti scarseggiavano per la crisi mondiale del settore energetico, dovuta al calo del prezzo del greggio, ora la minaccia di dover abbandonare i siti allo scadere delle concessioni non può che aumentare la tendenza al “braccino” delle grandi compagnie, col risultato di rallentare ulteriormente un’attività già declinante», commenta
Renzo Righini, general manager della Fratelli Righini: azienda con 60 addetti e 26 milioni di ricavi nel 2015, per oltre il 90 per cento realizzati all’estero con macchinari capaci di poggiare gasdotti e oleodotti ovunque.
L’imprenditore è anche presidente della
Omc, la conferenza Oil & Gas più importante del Mediterraneo, che raggruppa ogni due anni a Ravenna tutte le compagnie e l’indotto. L’anno scorso ci furono 600 espositori e ventimila visitatori. Pure il mega-incontro potrebbe in futuro risentirne, teme Righini, «perché se vince il “Sì” non si sa quanto terrebbe della sua base l’Eni, che ha diverse piattaforme, qua davanti, entro le 12 miglia».
Il referendum chiama la gente a esprimersi su un quesito preciso, sul dare o non dare la possibilità di estendere l’attività estrattiva dopo la scadenza delle concessioni. Ma i retropensieri dei due schieramenti vanno ben oltre la materia tecnica del domandone. Chi si batte per il “sì” lo fa anche, se non soprattutto, perché lo vede comunque come una spinta verso l’utilizzo delle energie alternative. Chi lo avversa immagina che una vittoria dei referendari farà calare non solo il business legato alle piattaforme a rischio, ma finirà per impoverire l’intero tessuto industriale ravennate.
Tra i più arrabbiati, in città, spiccano i dipendenti della Bambini, le cui imbarcazioni fanno avanti e indietro, con le piattaforme, trasportando personale, macchinari, vettovaglie. Insieme ai dipendenti della Rosetti Marino, una delle big nella costruzione di piattaforme, sistemi sottomarini, serbatoi, gli uomini della Bambini hanno manifestato dietro lo striscione “
Dal gas energia pulita - No ai No Triv, Sì al lavoro” durante la Rem, la conferenza sulle energie rinnovabili che s’è appena tenuta a Ravenna. Alla rassegna c’erano anche diverse imprese dell’Oil & Gas; parecchie hanno presentato progetti verdi che più verdi non si può. «Dimostrando che il patrimonio tecnologico e di competenze messo a punto nei decenni può contribuire alla transizione verso le energie pulite, senza però buttare al vento capacità e imprese che conquistano gare in tutto il mondo», sottolinea Gianni Bessi, consigliere regionale del Partito democratico e fiero nemico del referendum.
Le preoccupazioni dei dipendenti Bambini sono meno strategiche e più mediate. Nei giorni scorsi, la compagnia ha avviato la procedura per “sbarcare” 21 marittimi. La retromarcia negli investimenti per i nuovi pozzi e il taglio delle spese per le manutenzioni ha costretto l’armatore, che aveva 34 barche in giro per il mondo e ora ne ha una ventina, a tenere ferme altre imbarcazioni. La base della compagnia a Marina di Ravenna, a pochi chilometri dal centro, è poco trafficata di questi tempi.
«E rischia di esserlo sempre più se passa questo assurdo referendum», esclama corrucciato il capitano
Antonio Olivari, pugliese di Manfredonia, che comanda natanti dai 30 ai 56 metri. «Sono venuto al Nord 14 anni fa per dare un futuro alla mia famiglia e adesso me lo vogliono cancellare con delle motivazioni assurde», dice sconsolato, arrotolando lo striscione. Gli fa eco il collega comandante Giovanni Capursi, pure lui di Manfredonia: «Tra le tante balle che hanno messo in giro c’è anche quella che le piattaforme hanno rovinato la fauna marina. Non è vero, il mare vicino ai pozzi è pulito, ci vengono tutti a pescare».
Roberto Scrignoli invece è ravennate doc, capelli lunghi e faccia da rocker ci tiene a controbattere a un’altra delle motivazioni pro-referendum in circolazione:«Smantellare le piattaforme aiuterà il turismo? Che sciocchezza! Ci sono da decenni e non s’è mai lamentato nessuno, anzi d’estate si organizzano le gite per andarle a vedere». Alla conferenza c’è anche il titolare Gianni Bambini: «La situazione è difficile e il referendum potrebbe aggravarla. Siamo sempre cresciuti, lasciar a casa i lavoratori è una cosa tremenda per quelli come noi. Inoltre, dopo anni, siamo stati costretti a tagliare quel 2 per cento del fatturato che destinavamo a donazioni benefiche sul territorio».
Nella lunghissima via Trieste, che porta al mare, nelle vicinanze di un grande McDonald’s e del cinema Astoria hanno sede tre aziende simbolo del settore: Righini, Rosetti Marino e Micoperi. A vario titolo, rappresentano il sottile filo che unisce il mondo del petrolio a quello dell’energia pulita.
Oscar Guerra, amministratore delegato della Rosetti, sta trattando per il primo traghetto alimentato a gas naturale liquefatto e proprio in questi giorni sta chiudendo le trattative per il prototipo di un grande campo eolico offshore, molto lontano dalle coste. «Sperando che non nascano i no-wind», motteggia amaro Guerra, che guida un gruppo che quest’anno fatturerà meno di 200 milioni, contro i 250 dell’anno scorso. Uno dei suoi dipendenti in Italia (dove sono oltre 650) è il giovane Karim Khalif, un maghetto della saldatura («ho anche un master») dalla cadenza spiccatamente romagnola: «È veramente inconcepibile un referendum su temi così tecnici e delicati». Lo rincuora il collega Erik Fabbri: «Tanto non raggiungono il quorum».
Meno tranquillo è Alberto Rossi, che con la sua Neptune, nella zona Bassette Bassette, rifornisce anche i catering che rifocillano le piattaforme: «Qui è un disastro, tante attività hanno chiuso e se vince il “sì” le cose precipiteranno definitivamente. Ma lo sa che l’Eni sta chiedendo sconti aggiuntivi del 15-20 per cento sui contratti già firmati?». Contro il referendum si schiera Silvio Bartolotti, una leggenda, da queste parti. La sua Micoperi ha partecipato al recupero della Costa Concordia ed è una delle più famose “offshore contractor” al mondo. Nel 2015, però,
i ricavi si sono dimezzati da 344 a 170 milioni.
«Io alle energie pulite e alla green economy ci credo, e infatti ho speso parecchi quattrini per due startup, una coltiva microalghe per usi alimentari e farmaceutici e l’altra studia una turbina eolica offshore avanzatissima. Ma la transizione per trovare nuove soluzioni efficaci sarà lunga e non possiamo uccidere il settore Oil & Gas, che ci serve per vivere e per fare i soldi necessari a trovare serie alternative ecologiche». La sua biologa Matilde Mazzotti, trentenne tornata dall’Australia proprio per coronare il sogno di lavorare con le alghe,
al referendum però ci andrà. Perché il dibattito non attraversa soltanto i muri della Camera del lavoro ravennate.