Dopo il caso, raccontato dall'Espresso, del magistrato che ha respinto un ricorso telematico proprio perché digitale, il ministro della Giustizia Orlando annuncia provvedimenti
Quell'obiezione sull'impossibilità di
"sottolineare lo schermo del computer", e di "porvi orecchiette per segnalare le pagine rilevanti dei documenti", negli ultimi giorni ha fatto il giro del web e dei media, suscitando ovunque ilarità e indignazione.
Per gli avvocati, era divenuta il paradigma di quella parte della magistratura che si ostina a fare ostruzionismo contro il processo civile telematico. Ed è risultata inaccettabile anche per il ministro della Giustizia
Andrea Orlando, che ha deciso di intervenire avviando un'azione disciplinare contro Giuseppe Limongelli, il giudice della I sezione del tribunale di Busto Arsizio che lo scorso 8 aprile aveva respinto una richiesta di "concessione provvisoria di esecuzione dell'ingiunzione" adducendo non solo motivazioni di diritto, ma anche quella di cui sopra.
E cioè, che "un giudice, per decidere, usa sottolineare ed utilizzare brani rilevanti dei documenti, nonché - questo giudice - piegare le pagine dei documenti così da averne pronta disponibilità quando riflette sulla decisione". E ancora, che "non può un giudice sottolineare lo schermo del computer, ovvero porre orecchiette allo schermo del computer per segnalare le pagine rilevanti dei documenti".
L'ordinanza di Limongelli era stata già oggetto di discussione in ben due convegni organizzati a Pordenone e Messina dagli studiosi dell'informatica giuridica. Ed anche il presidente del Tribunale di Busto Arsizio, Edoardo d'Avossa,
aveva censurato il provvedimento con una nota ufficiale: "L’atteggiamento assunto dal dott. Limongelli non corrisponde minimamente alla posizione del Tribunale sul Processo Civile Telematico, e posso documentare tale affermazione richiamando il protocollo stipulato con il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Busto Arsizio, nella cui ultima stesura è espressamente escluso l’obbligo del deposito delle copie cartacee, a differenza di quanto previsto – credo – nella totalità dei protocolli stipulati da vari uffici giudiziari sul tema. Il Tribunale di Busto viceversa, è un convinto assertore della bontà del Pct e della sua ineliminabile funzione di assicurare mezzi utili alla velocizzazione del processo con il conseguente miglioramento dell’attività di avvocati, giudici e cancellieri".
La norma che impone l'obbligo di deposito telematico era entrata definitivamente in vigore il 30 dicembre 2014, al termine di un lungo rodaggio ed anni di sperimentazione. E sedici giorni dopo, un collegio di giudici della sezione fallimentare del Tribunale di Milano – che per inciso, su autorizzazione del ministero, aveva attivato il processo telematico sin dal primo luglio 2011 – aveva condannato a 5mila euro di danni, per “responsabilità aggravata”, una delle parti che aveva correttamente depositato la memoria attraverso il sistema informatico, omettendo di consegnare anche una copia cartacea “di cortesia”, richiesta ai sensi da un protocollo di intesa interno e quindi non obbligatorio.
Non è un mistero che in passato ampi settori della magistratura abbiano contrastato l'introduzione del processo telematico. Basti ricordare il documento ufficiale dell'Anm del 28 febbraio 2014, in cui si segnalava che l’esigenza di consultare tutti i documenti sul terminale avrebbe comportato seri rischi per la salute dei magistrati. E successivamente, la presa di posizione del Csm del 12 giugno dello stesso anno, che invocava il mantenimento anche su supporto cartaceo dei fascicoli per un adeguato lasso temporale, il cosiddetto doppio binario, motivandolo con l'insufficienza di risorse umane e materiali.