
La tv è accesa. Gibertini alle 20.12 vede passare sullo schermo l’immagine di Graziano Delrio. Oggi ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e uomo di punta del governo Renzi, al tempo sottosegretario a Palazzo Chigi. «Quello scemo sulla destra... era il sindaco di Reggio Emilia!». «Quello... sì! Di Reggio Emilia? Il sindaco di Reggio Emilia?», domanda Curcio. «Eh... Delrio! Quando è andato a Cutro ha dato la mano a quello là». «A Nicola?». «Uhm!». «Non lo hanno arrestato?», chiede infine Curcio. «Ma no! Perché poi ha mangiato la...».
Il colloquio viene subito trascritto e mandato 72 ore dopo ai pm della Direzione distrettuale antimafia.
Nella segnalazione allegata i carabinieri spiegano chi sarebbe, a loro parere, il misterioso “Nicola”: nientemeno che “Nicolino” Grande Aracri, il capo della cosca omonima, originaria di Cutro e protagonista di un’espansione criminale proprio a Reggio Emilia, città dove la comunità cutrese è molto forte e rappresentativa a causa dell’emigrazione di massa cominciata negli anni ’60.
«Nell’intercettazione ambientale Marco Gibertini fa notare al detenuto Curcio che alla televisione si stava parlando di Delrio, l’ex sindaco di Reggio Emilia», raccontano i militari del comando provinciale di Parma, «aggiungendo che, quando quest’ultimo si era recato a Cutro, aveva stretto la mano ad una persona, verosimilmente riferendosi a Nicolino Grande Aracri. Il Curcio dapprima chiedeva al Gibertini a chi si riferisse, e poi era lo stesso Curcio che affermava che quella persona si chiamava Nicola, sicuramente riferendosi al boss Nicolino Grande Aracri. A tale affermazione il Gibertini annuiva». La conversazione è stata depositata dai magistrati tra gli atti del processo ordinario Aemilia a 147 imputati, in cui Delrio (non indagato) è stato chiamato a testimoniare da uno dei difensori: i testi saranno in totale 1200, tra loro anche il senatore Carlo Giovanardi e i giocatori della Juventus Claudio Marchisio e Leonardo Bonucci.
Il ministro dei Trasporti, dunque, è di nuovo sotto assedio. I fantasmi del viaggio a Cutro del lontano 29 aprile del 2009 continuano a inseguirlo. «Dopo l’intercettazione di Valter Pastena, in cui si parlava di presunte foto con Delrio e ’ndranghetisti, ora spunta addirittura la stretta di mano con il boss: qualcuno sta sfruttando un clima di sospetti e calunnie, con l’obiettivo di distruggerlo politicamente», contrattaccano dalla sua cerchia ristretta.
A pensar male si fa peccato, ma di certo alcune cose non quadrano: l’intercettazione è stata depositata e potrebbe essere facilmente adoperata per un affondo contro il democrat e il suo partito già fiaccato da una sfilza di avvisi di garanzia eccellenti, ma “l’Espresso” ha scoperto che il boss Nicolino Grande Aracri - quando Delrio volò a Cutro per la festa del Santissimo Crocifisso - era rinchiuso a doppia mandata nel carcere di Catanzaro. La stretta di mano di cui parlano i due criminali non può esserci dunque mai stata. Almeno non durante il viaggio di Delrio in Calabria a cui i due detenuti fanno esplicito riferimento. Possibile che l’ex giornalista e il prestanome sapessero di essere intercettati? Possibile che i due volessero minacciare o peggio ancora “mascariare”, sporcare, il ministro millantando incontri mai avvenuti?
Il clima, nella sede del ministero a Porta Pia, è plumbeo. È un fatto che quest’ultima intercettazione faccia scopa con quella di Pastena, l’ex dirigente della Ragioneria dello Stato e consulente del ministero dello Sviluppo economico indagato un mese fa dalla procura di Potenza - insieme al fidanzato dell’ex ministro Federica Guidi, Gianluca Gemelli - per presunti traffici e pressioni intorno agli appalti sul petrolio lucano. «Hai visto il caso di Reggio Emilia?», spiegava Pastena a Gemelli il 29 gennaio 2015, il giorno dopo gli arresti dell’inchiesta Aemilia, «tieni conto che i carabinieri sono venuti a portarmi il regalo in ufficio... Finito ’sto casino usciranno le foto di Delrio a Cutro con i mafiosi... chi ha fatto le indagini è il mio migliore amico, e adesso ci stanno le foto di Delrio con questi». Se il dirigente non fa il nome dell’“amico” (forse saranno i magistrati potentini a chiedergliene conto), di sicuro agli atti del processo emiliano non risultano fotografie di Delrio con soggetti poco raccomandabili.
Sentito da “l’Espresso” il ministro si dice «assolutamente tranquillo». Conferma di aver consegnato direttamente al procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, un esposto contro anonimi, in modo che l’opinione pubblica possa sapere con certezza se «esistono davvero pezzi dello Stato che hanno tentato di costruire dossier contro altri pezzi dello Stato», o se Pastena stesse solo millantando di macchine del fango che, in realtà, non esistono affatto. «Questa seconda intercettazione che voi avete scovato negli atti del processo reggiano fa riflettere. A Cutro sono rimasto solo 24 ore, e ho svolto solo incontri istituzionali con il sindaco. In piazza ovviamente avrò stretto centinaia di mani, potevano essere di chiunque. Nicolino Grande Aracri so benissimo chi è, conosco la sua storia criminale, ma non so che faccia abbia visto che non lo conosco. Non posso avergli stretto la mano durante il viaggio a Cutro, come dice Gibertini, visto che il boss era in carcere: l’intercettazione mi sembra un po’ “telefonata”».
I carabinieri che firmano «l’aggiornamento relativo alle risultanze investigative» girano lo scambio di battute alla Dda di Bologna, che non compie indagini aggiuntive, decidendo di depositare negli atti un colloquio molto interessante, ma penalmente irrilevante. Gibertini è intercettato in cella da settimane: conduttore del programma “Pokeballe” su Telereggio, reggiano doc e quindi insospettabile, è considerato figura chiave tra quelle che frequentano la zona grigia (professionisti, imprenditori, politici) la cui accondiscendenza nei confronti del clan ha permesso ai Grande Aracri di conquistare il territorio della provincia. Una ragnatela che è stata disintegrata dagli arresti del 28 gennaio dell’anno passato.
«Avevo avuto sentore di possibili dossieraggi contro di me già a fine 2014 e inizio 2015, quando il mio nome era finito nella lista dei papabili alla presidenza della Repubblica», ragiona Delrio. Gli apparati di sicurezza avvertirono Palazzo Chigi che personaggi potenti erano rimasti delusi dal fatto che la Dda di Bologna non aveva mandato all’ex sottosegretario di Stato nemmeno un avviso di garanzia. «Dopo la vicenda di Pastena e delle presunte fotografie, ho presentato denuncia immediatamente: è necessario sapere se un ministro è ricattato, o peggio ancora se è ricattabile. Confermo di non aver mai subito pressioni da nessuno, ma so di avere molti nemici. Tra i mafiosi, ma anche con le cricche e i massoni non sono mai andato molto d’accordo».
Delrio è prudente, e non fa nomi. Di certo il comitato d’affari che girava intorno alla coppia Pastena-Gemelli non lo aveva in grande simpatia, mentre al ministero delle Infrastrutture (con Delrio Renzi non ha più la stessa sintonia di qualche mese fa e il premier, attraverso il più classico dei promoveatur ut amoveatur, l’ha spostato da Palazzo Chigi per metterlo sulla poltrona che fu di Maurizio Lupi), l’ex sindaco deve vedersela con gli uomini vicini all’ex dominus del dicastero Ettore Incalza, prosciolto di recente per l’inchiesta sulla Tav ma ancora indagato a Firenze per corruzione.
Tra i massoni, uno con cui Delrio non s’è mai preso è di sicuro Franco Bonferroni. Ex piduista dai natali reggiani, senatore della Dc, amico dell’Udc di Pier Ferdinando Casini che lo piazzò nel cda di Finmeccanica, fu tirato in ballo da Pierluigi Castagnetti come massone e nemico di Delrio già nel lontano 2006. Tre anni dopo alcuni articoli di giornale evidenziarono che fu proprio nella casa romana di Bonferroni che si confezionarono le strategie politiche anti-Delrio per la campagna amministrativa del 2009, quando il primo sindaco non comunista di Reggio fu sfidato sia dal pidiellino Fabio Filippi che dall’ex primo cittadino Antonella Spaggiari, ex diessina che provò a vincere le elezioni con una lista personale appoggiata dall’Udc. Per la cronaca, a dicembre 2015 Bonferroni è finito indagato nell’inchiesta “Pesci” della Dda di Brescia sulla ’ndrangheta lombarda: è accusato di aver favorito un imprenditore di Cutro vicino al clan Grande Aracri, Antonio Muto, per aggiustare una sentenza del Consiglio di Stato.
Il ministro scuote la testa. Evidenzia che gli attacchi contro di lui si sono moltiplicati in coincidenza del suo arrivo a Palazzo Chigi, dopo il commissariamento dell’Expo di Milano (dove molti lavori erano gestiti dalle ’ndrine) e del Mose di Venezia, e dopo la decisione di nominare presidente della nuova Commissione per l’elaborazione di proposte normative in tema di lotta alla criminalità il pm antimafia Nicola Gratteri. «Non ho nulla da nascondere, anche se ci fosse una foto o una stretta di mano non avrei nessuna difficoltà a spiegarne le circostanze perché ho la coscienza a posto. Quello della ’ndrangheta è uno degli argomenti più ridicoli che possono tirare fuori per danneggiarmi: a Reggio durante il mio mandato nessun appalto è stato assegnato a mafiosi, nessuna inchiesta ha sfiorato la mia amministrazione; è stata la nostra classe politica emiliano-romagnola a volere la Dia a Bologna, ho sostenuto insieme al prefetto le prime interdittive antimafia; siamo stati noi a cercare di valorizzare i calabresi onesti che da lustri vivono a Reggio, noi a portare in Emilia i ragazzi della Locride definendoli i “nuovi partigiani”».
Eppure il viaggio a Cutro resta un episodio discusso. È vero, Reggio e il paesino crotonese sono legati da una vecchia amicizia (in passato esisteva perfino un volo aereo Parma-Crotone), ma la visita di Delrio e degli altri candidati sindaco avvenne a pochi giorni dalle elezioni. Per questo fu considerata - più che una gentilezza istituzionale - una passerella per ottenere i voti dei tanti calabresi residenti a Reggio Emilia.
«Lei non mi conosce, sennò non lo direbbe» s’infervora il ministro, «io quel viaggio lo rifarei di nuovo, nonostante fossero stati in molti a sconsigliarmelo. Io sono legato a Pasolini e alla sua passione per il sentimento popolare; glielo dico perché la Santissima Crocifissione alla quale fui invitato era una festa religiosa, sentita dalla comunità. Non ci sono andato per fare campagna elettorale, ma dopo un invito del sindaco. A differenza degli altri candidati, che misero i cartelloni e fecero incontri di cui nessuno ha mai chiesto conto».
Sulla vicenda continuano ad aleggiare le parole del procuratore nazionale antimafia Franco Roberti («Se tu in occasione delle elezioni che si fanno qui in Emilia vai a fare campagna in Calabria, vuol dire che sai che l’appoggio o il non appoggio alla tua elezione viene dalla Calabria, non dall’Emilia», ammonì il magistrato durante un incontro pubblico) e i fantasmi di Cutro, che dopo 7 anni agitano di nuovo le notti del ministro. E ad alimentare le speranze di chi lo vuole lontano dal governo.