I candidati del centrodestra a Roma e a Milano hanno ottime relazioni con i poteri economici. E aspirano a diventare gli anti-Renzi di sistema
Il referendum sulla nuova Costituzione si svolgerà solo fra cinque mesi, in ottobre. E il presidente del Consiglio ne sta facendo il centro della sua azione politica. Legittimo. È la Grande Riforma attesa da almeno trent’anni; con l’eventuale vittoria del Sì si entrerà davvero in una nuova era repubblicana, inedita e incerta. Con tutte le lacerazioni che un simile passaggio comporta.
Dopo un primo approccio baldanzoso e trionfalistico, Renzi sta provando a correggere la sua comunicazione in vista dell’appuntamento elettorale d’autunno; sta cercando di spersonalizzare il voto che egli stesso aveva concepito (e probabilmente nell’intimo continua a concepire) come un plebiscito sulla sua leadership. Ha scoperto infatti quel che era ovvio prevedere: intorno al No si sta raggrumando un composito schieramento, giuristi con ottimi motivi per criticare la riforma, nemici interni, forze anti-sistema, strati di popolazione delusa dal perdurare della crisi economica. Non è un polo capace di esprimere un’alternativa di governo, ma di mettere in crisi questo governo, sì. Sia chiaro; non perché quel tumultuante polo abbia una propria autonoma forza; ma perché è stato lo stesso Renzi a conferirgli il potere di sfratto da Palazzo Chigi allorquando ha sostenuto: o vinco il referendum o vado a casa.
Probabilmente il premier-segretario ha sempre fatto affidamento sui dubbi che assillano parte dell’opinione pubblica. Ma se dovesse cadere Renzi - è la domanda senza risposta - qual è l’alternativa? Il salto nel buio verso i 5 Stelle? O la deriva lepenista di Salvini? Con un’ulteriore drammatizzazione in caso di elezioni anticipate; la legge elettorale, l’Italicum, vale solo per la Camera mentre per il Senato non si saprebbe con quale sistema votare. Il caos, insomma. Già un mese fa ho azzardato una previsione. Renzi alla fine vincerà il referendum. Perché farà leva proprio sulla stanchezza, le preoccupazioni e la disillusione di tanti italiani. Perché l’instabilità fa paura. Perché le ali estreme dello schieramento parlamentare sanno raccogliere la protesta ma non sanno governarla. Quindi, da qui a ottobre vedremo quale sarà la capacità di persuasione del renzismo che i primi sondaggi danno altalenante.
Di un’altra scadenza elettorale tuttavia il premier-segretario ha deciso di parlare poco o nulla. Le elezioni del prossimo 5 giugno nelle grandi città, derubricate a semplice scelta dei sindaci di Roma, Milano, Torino, Napoli, Bologna… Come se quel che emergerà dalle urne delle “capitali” d’Italia possa essere ignorato da Palazzo Chigi, sempre più unico centro della politica rispetto a un partito, il Pd, senza testa né corpo. In attesa della conta dei vincitori e degli sconfitti, è interessante osservare le dinamiche in atto a Roma intorno ad Alfio Marchini e a Milano intorno a Stefano Parisi. Estremamente diversi per temperamento e storia personale entrambi sono appoggiati da Silvio Berlusconi, condizione che può valere qualche vantaggio elettorale ora, ma è destinata a rivelarsi un abbraccio mortale in un futuro prossimo. Intorno a Parisi si è riunito il tradizionale schieramento di centrodestra con l’aggiunta del governativo Ncd. Ma l’ex city manager del sindaco Albertini è il distillato di una trasversalità che gli ha consentito di passare indenne, nel corso della carriera, dalla Cgil alla Confindustria, e quand’era a Palazzo Chigi attraverso cinque presidenze, quelle di Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini e Prodi. Troppo bravo o troppo gattopardo.
Erede di una dinastia di costruttori “rossi”, invece, Alfio Marchini rassicura sia i “palazzinari” sia la nomenclatura del vecchio Pci. Piace alla Roma che piace. In buoni rapporti con papa Francesco e la comunità ebraica, amico di Israele e degli Stati Uniti. Ambizioso e ricco (l’analisi di Vittorio Malagutti sulle sue ultime operazioni finanziarie), gaffeur di successo. Nelle sue liste ha voluto Alessandra Mussolini e il deputato lettiano Guglielmo Vaccaro. La trasversalità non l’ha studiata a tavolino; ha ereditato anche quella. Se non esce mortificato dal voto capitolino, Marchini può delinearsi come quell’alternativa “di sistema” che oggi non c’è.
Marchini e Parisi, insomma, attenti a quei due. Apparentemente senza un partito alle spalle sono nati e cresciuti dentro il sistema molto più dell’ex sindaco di Firenze. E le ambizioni, si sa, aumentano quando trovano spazio. Se Renzi dovesse inciampare, c’è chi prepara un piano B. Il premier è avvertito. Agli elettori la parola.
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