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1 giugno, 2016

Piaggio Aerospace, in picchiata per colpa del drone

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Dissanguata dal progetto di un aereo senza pilota, l'azienda è al collasso. E i suoi proprietari, da Abu Dhabi, chiedono aiuto a Finmeccanica

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È ritornato da Abu Dhabi con le pive nel sacco l’amministratore delegato di Piaggio aerospace, Carlo Logli. L’azienda aeronautica di Villanova d’Albenga, in Liguria, sta dissanguandosi nello sviluppo di un drone per usi civili e militari, in sigla P.1HH, e Logli nei giorni scorsi è ritornato alla carica sull’azionista arabo, sperando di convincerlo a rimettere mano al portafoglio con un nuovo piano di rilancio industriale. Ma lo sceicco di Abu Dhabi, Mohamed Bin Zayed Al Nahyan, che presiede Mubadala - la società che possiede il cento per cento di Piaggio - sembra stufo di continuare a buttare denaro in un progetto che rischia di trasformarsi in un pozzo senza fondo.

Dal momento del suo ingresso in Piaggio, dieci anni fa, come socio di minoranza, Mubadala ha investito circa un miliardo di euro. E la consegna dell’aereo da ricognizione a pilotaggio remoto, che gli emiratini vorrebbero utilizzare per tenere sotto controllo le proprie frontiere da possibili attacchi dell’Is, continua a subire rinvii.

Piaggio ha cumulato 450 milioni di perdite tra il 2011 e il maggio 2015. Per chiudere il bilancio del 2014, che presentava un patrimonio netto negativo di 50 milioni, Mubadala ha dovuto trasformare in capitale un suo credito di 108 milioni. E i conti a fine 2015 sono anche peggio. “L’Espresso” ha potuto consultare le relazioni del comitato esecutivo. Da una di queste, del gennaio scorso, emergono al 31 dicembre ricavi consolidati preconsuntivi per 201 milioni, contro i 323 inizialmente stimati, margini in profondo rosso e disponibilità di cassa per appena 2,8 milioni. E nulla si sa del risultato netto di fine esercizio. La perdita annua presunta, in un documento dell’ottobre scorso, era indicata in 110 milioni: un numero che, se fosse confermato, aprirebbe scenari imprevedibili per il 2016.

Inutile il tentativo di riscontrare i dati con Carlo Logli. L’amministratore delegato di Piaggio ci trasmette solo una nota che recita testualmente: «La società, assieme a tutte le parti coinvolte, sta adottando misure volte ad affrontare l’attuale situazione finanziaria, concentrandosi sulle attività a più alto potenziale. Il piano industriale, con il supporto dei consulenti di AlixPartners, è in corso di revisione». Il problema è che il P.1HH chiama in causa anche lo Stato italiano, che ha approvato il progetto del drone, ne ha rilasciato la licenza attraverso l’Uama (l’Unità per le autorizzazioni di materiali d’armamento, che opera in seno al ministero degli Esteri) e partecipa allo “steering commettee” intergovernativo di cui è copresidente, insieme ad un alto rappresentante di Mubadala, il generale Enzo Vecciarelli, nominato in marzo capo di stato maggiore dell’Aeronautica militare.

Il primo acquirente dei droni dovrebbe essere proprio l’Aeronautica, anche se c’è chi sostiene che potrebbe ottenerli in comodato gratuito in cambio dell’addestramento al pilotaggio remoto e di altri servizi resi agli Emirati. Il governo italiano si è inoltre riservato, attraverso la golden power, il diritto all’esercizio di una serie di poteri speciali su cui vigilia il Segretariato generale della Difesa, il massimo organo tecnico-amministrativo del ministero, alla cui guida è stato nominato di recente il generale Carlo Magrassi, ex consigliere militare di Palazzo Chigi.

Tali poteri si sostanziano in «misure di protezione attive e passive volte a preservare gli interessi essenziali di sicurezza e difesa dello Stato». Tra queste anche l’obbligo di «assicurare il mantenimento dell’equilibrio economico e finanziario di Piaggio»: un obbligo che rischia di essere disatteso se la situazione dei conti di cui abbiamo riferito trovasse conferma nel bilancio consuntivo.

Per questo insieme di motivi, la crisi di Piaggio rischia di assumere spiacevoli risvolti geopolitici e di creare una lesione nei rapporti tra Italia e Emirati, che rappresentano per il nostro paese il principale mercato di esportazione in Medio Oriente e un importante acquirente dei sistemi d’arma di Finmeccanica, il gruppo pubblico da poco ribattezzato Leonardo. Questa situazione sembra riportare indietro le lancette dell’orologio al 2010, quando in seguito ad un’altra vicenda i rapporti con gli Emirati subirono un momento di tensione. Anche in quell’occasione il pomo della discordia era stato un drone che Abu Dhabi avrebbe voluto acquistare da Finmeccanica tramite Alenia aeronautica, per analoghi impieghi di sorveglianza dei propri confini.

All’epoca era stato da poco ultimato l’aereo di addestramento Aermacchi M-346 e l’allora amministratore delegato di Finmeccanica, Francesco Guarguaglini, stava cercando di venderlo agli arabi. Gli Emirati accettarono di acquistarne un certo numero di esemplari, ma a patto che Alenia si impegnasse a fornire loro i droni e che fosse realizzata ad Abu Dhabi una fabbrica di parti di aereo in materiali compositi. Tuttavia i 34 paesi firmatari del trattato Mtcr, tra cui l’Italia, si sono impegnati a non esportare a paesi terzi aerei a pilotaggio remoto con raggio d’azione superiore a 300 chilometri e capacità di carico superiore a 500 chili, mentre gli Emirati contavano di poter disporre in quella fase di un velivolo con altre caratteristiche tecniche. Ma l’Uama non poteva concedere una licenza che violasse gli accordi internazionali. Così non andarono in porto né la vendita dei droni né quella degli M-346.

Lo strappo fu ricucito nel 2014 con il benestare concesso a Piaggio di trasferire agli Emirati il P.1HH, stavolta nel rispetto dei vincoli imposti dal trattato Mtcr. Il nuovo drone è pilotato da terra con l’ausilio di un satellite, può raggiungere i 780 chilometri l’ora e i 12 mila metri di quota. Lo sceicco arrivò in visita in Italia il 21 ottobre di quell’anno, il giorno stesso in cui l’Uama ne protocollava la licenza all’esportazione. Fu il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, a consegnargliela alla presenza di Matteo Renzi. Nello stesso tempo Piaggio ingaggiava manager di provata esperienza, reclutati nell’industria della difesa. Un nome per tutti, quello di Francesco Tuccillo, l’ex dirigente di Finmeccanica che aveva steso la prima bozza di riorganizzazione per divisioni del gruppo a controllo statale e la cui testimonianza in sede giudiziaria aveva portato alla cattura del tesoriere della mafia Vito Palazzolo.

La complessità del progetto P.1HH, oltre ad errori di gestione e di programmazione, ha contributo ad ingigantire la crisi. Adesso Mubadala preme sui sindacati con reiterate richieste di cassa integrazione per indurre il governo a intervenire tramite Finmeccanica, che fornisce a Piaggio il sistema di pilotaggio remoto del P.1HH e vanta dall’azienda ligure un credito di un centinaio di milioni. Di recente, però, l’amministratore delegato del gruppo pubblico, Mauro Moretti, ha escluso un intervento di salvataggio di Piaggio, manifestando un cauto interesse a rilevarne, semmai, il progetto di velivolo senza pilota.

Se le tensioni cresceranno, la palla potrebbe passare a Palazzo Chigi. Anche perché gli Emirati sono azionisti importanti di UniCredit e soci di controllo di Alitalia. E con queste due leve potrebbero cercare di condizionare l’esito di una vicenda per loro rilevante sul piano strategico. Soprattutto dopo che Abu Dhabi s’è unita alla coalizione contro l’Is e i suoi confini non sono più sicuri come un tempo.

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