Stupri, discriminazioni, perfino omicidi. Dalla Russia ai paesi arabi, dall’Asia ?al Sudamerica, cresce la violenza verso ?le persone che cambiano genere. ?E anche in Italia i problemi non mancano
Se negli Usa lo scontro si è infiammato sull’accesso alle toilette, a Bologna le persone transgender di tutto il mondo hanno già risolto il problema: il bagno è “gender neutral”, inclusivo. Oltre 200 attivisti provenienti dai cinque continenti si sono dati appuntamento nella città emiliana per il sesto Consiglio europeo del
Tgeu, l’associazione che federa i diversi movimenti: quattro giorni di colori esplosivi e di orgoglio, seminari e workshop. I trans e le trans appaiono oggi come la categoria più debole e insieme più aperta e tollerante, rivoluzionaria. In molti paesi non hanno accesso alle cure ormonali e all’intervento chirurgico, non viene riconosciuto il diritto di cambiare sesso e nome sui documenti. Nei regimi autoritari vengono imprigionati, picchiati, umiliati e subiscono violenza, spesso da parte delle forze dell’ordine. Cento vittime di omicidio nei soli primi quattro mesi del 2016, secondo il monitoraggio del Tgeu: numeri in aumento rispetto all’anno scorso e tra le nazioni più a rischio oltre a Brasile e Turchia c’è anche l’Italia.
Ma il movimento transgender ha anche segnato importanti conquiste: a Malta e in Irlanda si può cambiare sesso inoltrando una semplice domanda alla pubblica amministrazione, senza passare per un percorso medico, il giudice o un intervento chirurgico. La parola chiave è “autodeterminazione”, perfino per i minorenni: tra gli ospiti ci sono due sedicenni irlandesi, Jayson e Seamus, apparecchio ai denti, zainetto e calzoncini, già legalmente maschi, uno di loro in cura ormonale con il consenso dei genitori. Mina Tolu, portavoce del Tgeu, spiega che se da un lato le persone trans puntano a superare la rigida binarietà di genere nei documenti e nel linguaggio, a partire dagli uffici Ue, e se tra gli obiettivi a breve c’è quello di “depatologizzare” (nelle carte Onu e Oms si parla ancora di “malattia”), dall’altro bisogna guardare a tutti quei paesi in cui le persone transgender sono vittime di violenza, e c’è l’assoluta necessità di includere chi sta ai margini e corre più rischi: i poveri, i detenuti, i sex workers, specie se donne e di colore.
Di emergenza rifugiati parla Nils Muižnieks, commissario per i diritti umani del Consiglio europeo, e indica come modello l’accoglienza offerta a Berlino: «Personale formato alle tematiche Lgbti e servizi specifici. Ci sforziamo perché lo stesso avvenga negli hotspot italiani e greci, a inizio luglio farò un monitoraggio in Turchia».
Max viene dalla Libia: vive da rifugiato politico a Reggio Emilia, ma per fuggire da Tripoli e completare la sua transizione ha più volte rischiato la vita. «Se tornassi nel mio Paese mi ucciderebbero: i jihadisti vogliono la mia testa. In famiglia non sono mai stato accettato, mi hanno imposto il velo. Per incontrare un medico che mi capisse ho dovuto travestirmi da uomo, poi sono fuggito in Egitto, vestito da donna: mi sono finto la moglie di un mio amico. Al Cairo ho cominciato a prendere gli ormoni, infine grazie a una ong italiana sono riuscito a entrare in Europa».
Peripezie simili le ha vissute
Farah Abdi, keniota, oggi rifugiata politica a Malta: «In Europa», dice, «non mi occupo solo dei diritti Lgbti ma lavoro per l’accoglienza dei migranti: devo dire che oggi mi sento più discriminata come nera che come trans».
Negli Usa nell’ultimo anno c’è stata un’impennata di omicidi di donne trans di colore, spiega Roz Lee, attivista statunitense: persone di basso reddito e ai margini, molto spesso sex workers giovanissime o comunque sotto i 30 anni. L’amministrazione Obama ha spinto molto sui diritti Lgbti ed è in causa con il governo della North Carolina per la difesa del diritto a utilizzare i bagni pubblici secondo il genere che ciascun cittadino ha scelto per sé. Randy Berry, nominato da Obama inviato speciale per i diritti umani delle persone Lgbti, tiene il suo speech durante il party finale, prima della torta per i dieci anni del Tgeu. Sostiene che «bisogna allargare le alleanze dai governi alle associazioni, fino alle imprese».
Un’area molto omotransfobica e con altissimi rating nel mancato rispetto dei diritti Lgbti è quella degli Stati post sovietici: Bielorussia, Ucraina, Armenia, Georgia, Moldavia, Kyrgyzstan «spesso negano la stessa esistenza delle persone trans», spiega Ashot Gevorgyan, attivista armeno. «Mancano endocrinologi aggiornati sulle cure ormonali, se vuoi operarti devi andare all’estero, raramente vengono dei chirurghi russi per brevi periodi. In diversi casi la polizia si è rifiutata di aiutare chi è vittima di attacchi transfobici. Nelle prigioni le persone trans sono costrette dagli altri detenuti a fare i lavori più sporchi, come la pulizia dei bagni, subiscono stupri e non li denunciano per paura di essere uccise».
Inna Iryskina, ucraina, racconta di essere stata aggredita da un gruppo di ragazzi alla fermata dell’autobus: «Mi hanno gettata a terra e picchiata, rompendomi un ginocchio, poi sono scappati via con la mia borsa. Non ho sporto denuncia alla polizia: temevo che mi deridessero». Inna accoglie i rifugiati dalle zone di guerra: molte persone Lgbti fuggono verso Kiev, perseguitate dalle milizie del Donbass. Gli attivisti di Labrys, organizzazione del Kyrgyzstan, riportano episodi di violenza ai danni di donne trans, soprattutto sex workers, nelle caserme e in prigione: «Le donne arrestate vengono denudate e sottoposte a un “check up” ai genitali, per classificare il loro genere. Alcune subiscono stupri, vengono insultate, chiamate “frocio”. Altre sono state filmate e ricattate: se non pagano una cifra in denaro, il video viene caricato in rete».
Non sembra meno grave la condizione delle
sex workers del Brasile, in assoluto il paese dove si contano più trans vittime di omicidio: 845 sulle 2115 calcolate in tutto il mondo dal gennaio 2008 all’aprile 2016. In Turchia, dove vengono denunciate violenze e abusi sulla strada e nelle prigioni, sono state 43, in Italia 34. «Solo in maggio in Brasile ne sono state assassinate altre 11», spiega l’attivista del Minas Gerais, Sayonara Nogueira. Aum Neko è thailandese: 22 anni, capelli lisci lunghissimi, sempre sorridente, dal suo paese è dovuta fuggire: `«Ho criticato la famiglia reale», spiega. «Rischio una condanna da 3 a 15 anni e se tornassi dovrei scontarla in una prigione maschile». Rifugiata politica a Parigi, si impegna per la tutela delle sex workers.
Sull’uscita dallo stereotipo trans si concentra l’italiano
Mit, Movimento di Identità Transessuale: «Grazie alle ultime sentenze oggi si può ottenere il cambio di sesso e nome sui documenti senza l’obbligo di operarsi », spiega la vicepresidente Cathy La Torre, «ma resta difficile l’accesso alle cure. In molte regioni non esiste neanche un consultorio, e gli interventi sono più lunghi del dovuto, con pesanti ricadute postoperatorie. Chiediamo da tempo un incontro alla ministra della Salute Lorenzin: vorremmo proporre l’istituzione di tre centri in Italia, al Nord, al Centro e al Sud, specializzati nella chirurgia di cambio del sesso».