Il premier vola in Russia, al XX forum internazionale di San Pietroburgo. E insieme a lui gli amministratori delegati di molte grandi aziende italiane, da Banca Intesa a Pirelli, e internazionali. Perché il business preme. E i russi sono convinti che, nonostante i nodi politici irrisolti, si vada verso un futuro senza sanzioni

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Un enorme hangar costruito ad hoc nel verde della campagna pietroburghese presso l’aeroporto di Pulkovo, che fa rimpiangere la vecchia sede sull’isola Vasilevsky, i tramonti sulla Neva nelle notti bianche. Ma è da qui, nella “serra” del XX Forum Internazionale di San Pietroburgo, che riparte il dialogo Russia-UE, lo sperato “disgelo” nei rapporti a due anni dal varo delle sanzioni, con l’Europa sempre meno compatta su Mosca.

L’Italia, paese “ospite d’onore” con il premier Matteo Renzi (la delegazione di più alto profilo), vi ha piantato già la bandierina tricolore, nel Padiglione in stile rinascimentale che ospita 22 aziende nei settori di meccanica-alta tecnologia, energia, agro-industria, infrastrutture e finanza; e spera di firmare “molti accordi”.

Ma la corsa a riabbracciare Putin è già partita, Renzi non è solo. L’Europa c’è, in ordine sparso: a partire dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, la cui presenza ha scatenato polemiche a Bruxelles, specie da parte della Polonia e dei Paesi Baltici. Poi Sarkozy, Ban-Ki-Moon, il vice cancelliere austriaco Mitterlehner. E molto business occidentale, pur senza delegazioni governative.

In vista c’è un futuro prossimo senza sanzioni: in Russia nessuno ha dubbi che da luglio verranno prorogate per altri sei mesi, ma dovrebbe essere l’ultimo rinnovo. Si va verso l’abolizione graduale, a dicembre, dopo il voto Usa, si attende quantomeno un ammorbidimento.

Nonostante i proclami degli hardliner (guidati da Merkel), sempre più membri UE spingono per mettervi fine: dal voto al senato francese, alle risoluzioni di Veneto e Liguria, e persino il ministro degli Esteri tedesco Steinmeier si è detto a favore di “una riduzione”, “passo dopo passo”, purché la Russia “soddisfi determinate condizioni”, il nodo degli accordi di Minsk, non adempiuti, resta.

Mosca ha fatto un grande sforzo di pubbliche relazioni, bombardando i giornalisti accreditati di mail e sms, e un lungo lavoro di lobby negli ultimi mesi per portare i più scettici dalla propria parte, dall’Ungheria alla Grecia a Parigi, ora “possibilista”. “Diplomazia creativa”, la chiama Bloomberg. Tutti aspettano di sentire cosa dirà Putin: in sessione plenaria domani con Renzi, chiederà una “normalizzazione” dei rapporti con la UE. Il messaggio: lasciamoci alle spalle il conflitto in Ucraina e torniamo al business. Il sottotesto: chi prima arriva, meglio sarà ricompensato. 

Dopo l’annessione della Crimea, le cancellerie occidentali avevano raccomandato ai dirigenti delle proprie compagnie di declinare l’invito in Russia. Molti avevano preferito tenersi nell’ombra. Quest’anno, nota il quotidiano finanziario Vedomosti, “Al Forum ci sarà molto più capitale straniero che negli ultimi due anni”: 500 compagnie straniere da 60 paesi e 600 russe, nel 2015 erano 319 e 486. E molte società straniere sono rappresentate ai massimi livelli, anche se la maggioranza ha scelto il low profile.

Incluse, è questo il sentore, alcune italiane. “Dal Dipartimento di Stato Usa – conferma Alexei Rodzianko, presidente della Camera di Commercio statunitense in Russia – due anni fa dissero chiaramente che gli alti quadri non dovevano venire. Quest’anno han detto: sarebbe bene non farsi notare troppo”. Proprio dagli Usa è atteso un big come l’AD di Exxon Mobil, Rex Tillerson. Con lui altri top manager: per l’Italia Fallico di Banca Intesa, Claudio Descazi di Eni, Simonelli di GE Oil e Gas, per Pirelli Marco Tronchetti Provera, per Enel Patrizia Grieco; poi gli Ad di Boeing, Carlsberg, Nestlé, BP, Royal Dutch Shell, Glencore, il presidente di Alibaba Jack Ma.

La Germania? L’analista russo Fiodor Lukianov ha commentato all’AGI: “Due mesi fa ho avuto un incontro a porte chiuse con rappresentanti del business tedesco che ci hanno detto: ‘Il Nord Stream 2 si fara’, meno ne parlate e meglio è. Facciamo tutto noi’”.

Per l’Italia, come per gli altri europei, c’è da risalire la china di due anni di pesanti perdite nell’interscambio (unica eccezione, la Francia, che è cresciuta), parallelo alla crisi economica russa: meno 31% per Roma dal 2014, con una perdita di 9,6 mld di euro. L’export Made in Italy, anche a causa delle contro-sanzioni russe, ha segnato 34 per cento. Le parole d’ordine sono due: “Made with Russia” e “importozameshenye”, cioè localizzazione: produrre in loco scambiandosi know-how e investimenti, invece di importare solo beni e servizi. Ma Berlino è più avanti: 3mila joint-venture coi russi, a fronte delle 150 italiane.

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